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giovedì 16 ottobre 2008

È facile smettere di fumare (II)

(segue dalla prima parte)

Partita casualmente dal libro È facile smettere di fumare, prosegue la mia "indagine" di non fumatore da sempre per fare luce sull'andamento del consumo di sigarette in Italia negli ultimi anni. In altre parole per valutare l'efficacia delle misure adottate per contrastare il fenomeno. Mi riferisco all'entrata in vigore del divieto di fumo nei locali pubblici nel 2005, e alle scritte "minacciose" riportate sui pacchetti di sigarette a partire dal 1999. Come ho già documentato, le statistiche sul numero di fumatori mi hanno dato motivo di credere che tali misure si siano dimostrate inutili, e perfino a sospettare che possano costituire un incentivo al fumo per determinate fasce di popolazione. I dati sul consumo di sigarette, su cui mi soffermerò ora, confermerebbero i miei dubbi peggiori.

Partiamo da un breve report dell'Istituto Superiore di Sanità (che potete scaricare qui) di cui ho riportato il grafico più interessante. Si nota bene come, a partire dal 1997 fino al 2002, il consumo s'impenna in maniera abnorme! Uno si aspetterebbe un aumento epocale è invece facendo due conti si scopre che è "solo" del 15,4%, che non è poco certo, ma è meno di quello che suggerirebbe visivamente la curva. Questo deriva naturalmente dalla scala che è stata utilizzata sull'asse delle ordinate. Fatto sta che il report non accenna minimamente al trend di crescita dal 1997 al 2002, si sofferma solo sul crollo delle vendite dal 2002 al 2005 non senza una certa enfasi nel sottolineare che nel 2005 si è verificata "la più forte contrazioni di consumi osservata nell'ultimo triennio con una diminuzione di quasi 5 volte rispetto al 2002, in termini percentuali la flessione corrisponde al 9,8%." Ricapitoliamo, il grafico mostra che dal 1997 al 2002 il consumo di sigarette è aumentato (ricordo che nel 1999 sono state introdotte le scritte di pericolo sui pacchetti!) poi dal 2002 al 2005 è sceso, probabilmente a causa del divieto di fumo nei locali pubblici (prima per il solo annuncio e poi per l'effettiva entrata in vigore divieto). Però la realtà, che l'ISS si guarda bene dall'evidenziare, è che nel 2005 il consumo di sigarette era ancora del 4% maggiore che nel 1997! E dopo il 2005?

Ci viene ancora in aiuto l'Istituto Superiore della Sanità (IIS) con un'indagine condotta insieme alla DOXA nel 2008 (scaricabile, qui). In particolare a p. 4 leggiamo: "Analizzando il trend del consumo medio giornaliero si osserva che il numero delle sigarette fumate quotidianamente è rimasto pressoché stabile negli ultimi quattro anni, intorno alle 14 sigarette al giorno (vedi grafico)". Eppure il grafico indicato riporta i seguenti valori di n. medio di sigarette al giorno: 16,8 (2002) - 16,1 (2003) - 14,8 (2004) - 13,6 (2006) - 14,1 (2007) - 14,4 (2008). La legenda incredibilmente non spende una parola sull'aumento verificatosi dal 2006 al 2008 (+5,9%!), si salva in corner definendo pressoché stabile il periodo preso in esame visto che al contrario negli anni precedenti il consumo era stato in flessione: un autentico sofismo! Proprio vero che la statistica è quella scienza che insegna come, se un ricco possiede un pollo e un povero nessuno, entrambi in media hanno mezzo pollo! Inoltre, poiché a p. 1 leggiamo che "i dati del 2008 confermano quanto osservato dall’analisi del trend storico degli anni precedenti, secondo cui negli ultimi 50 anni si assiste ad una costante diminuzione dei fumatori", dovremmo forse concludere che in Italia ci sono meno fumatori, ma che i fumatori in attività consumano più sigarette di prima? Di sicuro, osservando tutti gli studi pubblicati che sono riuscito a trovare in rete, ho constatato:

  1. una certa manipolazione dei dati, sì da piegarli ad accentuare le fasi di diminuzioni del fenomeno del tabagismo e a mettere in ombra quelle di crescita; 
  2. l'uso confusivo delle variabili utilizzate per monitorare il fenomeno, ora valutato dalla vendita di pacchetti, ora dal numero medio di sigarette fumate giornalmente, ora dal numero di fumatori esistenti - quasi a volere utilizzare quella che più gioca a favore di quel che si vuole dimostrare: ovvero che in Italia la lotta al fumo è un successo. A me pare tutto il contrario. 

Osserviamo tutti che i fumatori fumano nonostante le scritte sui pacchetti e nonostante i divieti nei locali. Se decidono di smettere è sempre per altre motivazioni di carattere per lo più personale. Anche se non posso dimostrarlo, sono ragionevolmente convinto che i fumatori incalliti, quelli che non hanno nessuna intenzione di smettere di fumare (alla Camilleri insomma!), siano addirittura spinti a fumare di più dalle restrizioni in atto. Fatto grave, che comportabbe un aumento di incidenza di tumori nella popolazione dei fumatori. Ho dubbi anche riguardo la diminuzione del numero di nuovi fumatori, penso ad esempio agli adolescenti per natura attirati a provare tutto ciò che è proibito, a maggior ragione se il consumo è legale seppur regolato. Riporto a questo punto un breve articolo, preso dal sito Help Consumatori, che sembra essere in linea con le mie valutazioni.
SALUTE. Fumo: in Italia il consumo di tabacco rialza la testa (22/05/2007 ) 
Se non si darà un nuovo impulso alla lotta contro il fumo, le più fosche previsioni relative all'aumento dei decessi da tabacco nei prossimi anni potrebbero venire confermate nel breve-medio termine. Dopo un lieve calo seguito alla raffica di divieti nei locali pubblici, il consumo di sigarette è infatti tornato a salire in Italia (+1% rispetto alle stime precedenti), dove vengono stimati circa 13 milioni di fumatori, di cui il 27% uomini e il 20% donne. Ma il dato più allarmante riguarda gli adolescenti-tabagisti sotto i 17 anni di età, anno entro cui inizierebbe a fumare l'85% dei fumatori. Sono questi i dati emersi dalla presentazione della ricerca su "Fumo e adolescenti", presentata oggi al Circolo della Stampa di Milano per iniziativa della LILT, la Lega italiana per la lotta contro i tumori, secondo la quale nel medio periodo almeno un fumatore su tre morirà prematuramente a causa del fumo, pari a circa quattro milioni di persone. Nel secolo in corso per contro nel mondo potrebbe registrarsi - secondo i dati LILT - un miliardo di morti da fumo. "L'aumento dell'1% di consumo di sigarette potrebbe sembrare poco significativo, ma è invece da considerare un'emergenza", ha dichiarato Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, "le guerre sono niente in confronto e i produttori di armi possono essere quasi considerati dei "benefattori" rispetto a chi vende tabacco", ha aggiunto Garattini, richiamando anche la classe politica alle proprie responsabilità. "I nostri politici dovrebbero stare in seduta permanente per capire cosa si può fare. Invece non facciamo nulla per occuparci di milioni di persone a rischio". Ma quali misure mettere in campo per affrontare la ripresa del tabagismo in Italia? Secondo Garattini occorre sicuramente un cambio di mentalità, ma anche misure forti, in grado di affrontare l'emergenza-fumo. "Servono misure concrete, da avviare subito, come un aumento shock di almeno 1 euro a pacchetto di sigarette. Se in Inghilterra un pacchetto costa circa 7 sterline (10 euro circa, ndr), dovremmo arrivare almeno a 5 euro", ha continuato Garattini, anticipando così l'obiettivo di una diminuzione almeno del 20% del numero di fumatori nei prossimi cinque anni. "L'aumento del prezzo del tabacco servirebbe a scoraggiare soprattutto i giovani, il 23% dei quali continua a comperare pacchetti da 10 sigarette, che andrebbero invece aboliti", ha aggiunto Piergiorgio Zuccaro, direttore dell'Ossfad, l'Osservatorio fumo, alcol e droga dell'istituto superiore di sanità. Secondo la ricerca congiunta di Doxa e Ossfad su "Fumo e giovani" presentata oggi, i fumatori tra i 15 e i 24 anni sono saliti al 19,9%, con punte maggiori al Nord e Centro Italia, e inferiori al Sud e nelle isole, mentre il 26,6% inizierebbe prima dei 15 anni, il 58,2% tra i 15 e i 17, il 12% tra i 18 e 20 anni e solo il 2,1% oltre i 20. "Oltre ai problemi di salute bisogna aggiungere i costi economici di farmaci e ricoveri, tutte risorse sottratte alla società. Gli idoli dei giovani facciano campagne perché abbiamo bisogno di modelli positivi", ha concluso Garattini.
In conclusione non so se veramente esista un complotto delle multinazionali del tabacco (necessariamente con la connivenza di tutti i governanti) per fingere di contrastare il tabagismo e mirare invece a stabilizzarne la diffusione a dei livelli accettabili per le industrie coinvolte. Sento però una gran puzza di bruciato... pardon, di sigaretta!

3 : commenti:

Anonimo ha detto...

Mi complimento di nuovo per questo secondo post.
E faccio alcune riflessioni rapide su i tuoi dubbi.
Le variazioni sul numero medio di sigarette fumate sono significative? Se ci riferiamo ai dati basati su un campione dovremmo capire qual'è l'intervallo di confidenza. L'indagine doxa cui ti riferisci si basa su un campine abbastanza ampio (3000 rispondenti)dove però i fumatori sono circa 670.
Un secondo dubbio mi viene su come venga stimato questo cambiamento, non vedo traccia infatti della metodologia usata negli anni precedenti.
La vendita di sigarette è invece un dato assoluto. Ed ecco un terzo dubbio, ma può darsi che sia una grossa bischerata, ovvero il cambiamento dell'universo di riferimento. La popolazione residente di immigrati è aumentata in maniera considerevole, è possibile stabilire con certezza che non vi siano differenze tra gli immigrati e gli italiani rispetto all'acquisto di sigarette?
Quarto dubbio molte sigarette vengono vendute di contrabbando, è possibile che variazione del mercato illegale influenzino quello legale, trattandosi di dipendenze ognuno si sceglie il suo pusher.
Hai ragione quando scrivi che i dati vengono usati in maniera quanto meno disinvolta, sopratutto riguardo alla confusione sugli indicatori.
Comunque davvero un ottimo lavoro, il tuo. Lo linko al più presto.

Anonimo ha detto...

Anche io mi occupo di dipendenze (dal punto di vista storiografico e socio-culturale, preferibilmente), e sono assolutamente d'accordo con te sull'utilità della peer education.
Rispetto alla legge del 2005, mi pare che le sue motivazioni ufficiali fossero più che altro di rispettare chi non fuma: da fumatore, è forse l'unica legge di quel governo che ho condiviso, al di la del fatto che il fumo passivo faccia davvero così male o meno. Nei locali si respira meglio (anche se andare fuori a fumare è una palla).
Inoltre, studi sul rapporto tra legislazione e consumo di sostanze (lecite e illecite) hanno dimostrato che la diffusione o contrazione dei consumi non dipende dalla situazione legale (un esempio: http://www.cedro-uva.org/lib/reinarman.limited.html)
Che siamo persi nelle statistiche è ormai assodato, dalla politica alla ricerca; i numeri ci sembrano così chiari ed inequivocabili, e aiutano a lasciare da parte analisi più profonde. Sono il simbolo di una società complessa che si autoesamina con superficialità. Basta un esame attento come il tuo e i nodi vengono facilmente al pettine. Ma nessuno si prende mai la briga di farlo (lo stesso vale per le sostanze illecite).

L'affermazione di Garattini "le guerre sono niente in confronto e i produttori di armi possono essere quasi considerati dei "benefattori" rispetto a chi vende tabacco" mi pare davvero esagerata e tipica di chi è esageratamente "dentro" il problema che sta affrontando. Con la sigaretta ammazzo me, al limite, e son fatti miei. Con le armi è un pochino diverso... Fintanto che il discorso pubblico sulle droghe (lecite e illecite) avrà questi toni da farsa ipermorale credo che le cose non potranno che peggiorare. Da fumatore consapevole dei rischi, non voglio essere trattato come un imbecille che non sa quello che fa, e preferisco che i nostri politici si mettano in seduta permanente contro la mafia, per dire.
d'accordo sull'aumento dei prezzi: ritengo che la sigaretta debba essere considerata un bene di lusso. Vorrei però essere sicuro che i soldi guadaganti con il monopilio di stato venissero davvero redistribuiti, ma non nelle tasche dei parlamentari: altrimenti le sigarette le voglio gratis, dal nervoso che mi viene.
In ogni caso, perdersi sul costo delle sigarette e su quante ne trovi nel pacchetto vuol dire fermarsi sulla punta dell'iceberg.

Complimenti per il lavoro che hai fatto.

Daniele Passerini ha detto...

Ringrazio entrambi per i complimenti, però sono un po' esagerati. Se avessi voluto fare un lavoro con un minimo di pretesa di scientificità, ci avrei meditato sopra più a lungo. Entrambi i post invece li ho ho scritti quasi di getto, mentre cercavo su internet un po' di dati contro o pro le mie prime ipotesi. Insomma sono semplici riflessioni con qualche dato a sostegno.

Riguardo il discorso di un aumento del consumo dovuto all'aumento della popolazione straniera... non è improbabile, però considerato che in prospettiva trattasi di popolazione che verrà naturalizzata, l'allarme per l'aumento di consumo resta.

Per quel che riguarda la quota di consumo in "nero" del contrabbando, sì, ci avevo pensato: ma a quello che ho letto - non ricordo più dove - il fenomeno viene dato in flessione a fronte di mezzi di lotta sempre più efficaci. Certo, fare affidamento sui dati resi pubblici è sempre un rischio!

Sì, i divieti nei locali e luoghi di lavoro tutelano in primis i non fumatori. Però ho l'impressione che abbiano avuto un effetto boomerang su chi fuma: mi colpisce in particolare il vero e proprio rito che è diventato il fumare fuori da un locale. Dieci anni fa, uno che avesse proposto di uscire dalla pizzeria fuori in pieno inverno a fumare, gli amici lo avrebbero preso per matto; oggi è diventato un momento conviviale. Sono tutte valutazioni da non fumatore che osserva.

Sono ovviamente favorevole alla lotta contro il fumo, però osservo con sconcerto che le campagne a diffusione nazionale sono veramente ingenue: le scritte orrorifiche sui pacchetti a mio parere non servono proprio a niente. A chi fuma non fanno né caldo né freddo e per chi si avvicina alla prima sigaretta, come ho scritto sul blog, trattandosi di divieti di un comportamento a rischio invece che promozione di un comportamento positivo per la salute, l'esperienza insegna la loro inefficacia.

Micro-interventi diffusi di peer education, ad esempio, probabilmente funzionerebbero più dei divieti generalizzati... ma all'orizzonte purtroppo non vedo trippa per gatti!

P.S. La statistica studiata all'università me la sono dimenticata da un pezzo, salvo i concetti generali, e in ufficio gli operatori più sofisticati che mi capita di usare sono la media aritmetica o al massimo la media ponderata! :-)

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