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mercoledì 31 ottobre 2007

Le cose importanti, la sabbia... e il caffè!

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Ebbene sì, sono un collezionista di quella che una volta ho sentito definire con sufficienza "saggezza in cucchiai"... un po' sciropposa, mielosa o nutellosa che dir si voglia insomma! Un tipo di saggezza sbandierata da certa new age fino all'eccesso... eppure ammetto di apprezzarla, perché si tratta spesso di parabole moderne, efficaci, peer to peer, semplici... niente che richieda una profonda digestione cerebrale, solo pura e semplice osmosi di cuore!
C'è tanta gente che trova irritanti a priori le "catene" attraverso cui vengono veicolate queste piccole o grandi perle, allora mi diverto a liberarne il contenuto dalle "catene" del loro contenitori, come anche nel caso di questa storiella tratta da un file PowerPoint.


LA STORIELLA DEL BARATTOLO

Un professore, davanti alla sua classe di filosofia, senza dire parola, prende un barattolo grande e vuoto di maionese e procede a riempirlo con delle palle da golf.
Dopo chiede agli studenti se il barattolo è pieno. Gli studenti sono d'accordo e dicono di si.

Allora il professore prende una scatola piena di palline di vetro e la versa dentro il barattolo di maionese. Le palline di vetro riempiono gli spazi vuoti tra le palle da golf. Il professore chiede di nuovo agli studenti se il barattolo è pieno e loro rispondono di nuovo di si.

Il professore prende una scatola di sabbia e la versa dentro il barattolo. Ovviamente la sabbia riempie tutti gli spazi vuoti e il professore chiede ancora se il barattolo è pieno. Questa volta gli studenti rispondono con un sì unanime.

Il professore, velocemente, aggiunge due tazze di caffè al contenuto del barattolo ed effettivamente riempie tutti gli spazi vuoti tra la sabbia. Gli studenti si mettono a ridere in questa occasione.

Quando la risata finisce il professore dice:

"Voglio che vi rendiate conto che questo barattolo rappresenta la vita… Le palle da golf sono le cose importanti come la famiglia, i figli, la salute, gli amici, l'amore; le cose che ci appassionano. Sono cose che, anche se perdessimo tutto e ci restassero solo quelle, le nostre vite sarebbero ancora piene.
Le palline di vetro sono le altre cose che ci importano, come il lavoro, la casa, la macchina, ecc.

La sabbia è tutto il resto: le piccole cose.
Se prima di tutto mettessimo nel barattolo la sabbia, non ci sarebbe posto per le palline di vetro ne' per le palle da golf. La stessa cosa succede con la vita. Se utilizziamo tutto il nostro tempo ed energia nelle cose piccole, non avremo mai spazio per le cose realmente importanti.
Fai attenzione alle cose che sono cruciali per la tua felicità: gioca con i tuoi figli, prenditi il tempo per andare dal medico, vai con il tuo partner a cena, pratica il tuo sport o hobby preferito. Ci sarà sempre tempo per pulire casa, per tagliare le erbacce, per riparare le piccole cose... Occupati prima delle palline da golf, delle cose che realmente ti importano. Stabilisci le tue priorità: il resto è solo sabbia…"


Uno degli studenti alza la mano e chiede cosa rappresenta il caffè. Il professore sorride e dice: "Sono contento che tu mi faccia questa domanda. E' solo per dimostrarvi che non importa quanto occupata possa sembrare la tua vita, c'è sempre posto per un paio di tazze di caffè con un amico!"

martedì 30 ottobre 2007

L'India non è un paese facile

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Appena ne avrò l'occasione e soprattutto i mezzi andrò certamente in India. Perché è il regno della contraddizione. D'accordo, l'intero pianeta Terra è una contraddizione, ogni società umana è un compromesso che lega insieme mille contraddizioni. Ma l'India, da quello che ho sempre letto e sentito, lo è all'ennesima potenza, in un modo che sconvolge tutti i cinque sensi, cuore e mente alle persone di matrice europea in particolare.

Se ricordo bene c'è stato un periodo, forse nel XVIII secolo, in cui in certe parti dell'India
le culture induista e islamica hanno convissuto pacificamente, nella ricchezza e raffinatezza, con reciproco rispetto: poi tutto è imploso al punto che oggi l'India è allo stesso tempo una delle potenze tecnologiche emergenti e una nazione con grandi fasce di popolazione che versano in povertà, è dilaniata dalle lotte religiose tra indù e mussulmani, è divisa tra i movimenti laici popolar-democratici e quelli braminici difensori della stratificazione sociale in caste, è un faro della spiritualità per tanti occidentali e allo stesso tempo teatro di sofferenze quotidiane per tantissimi suoi abitanti, patria di yogi che risvegliano la kundalini e di militari che ostentano la bomba atomica...

Eppure l'esperienza di tanti viaggiatori dell'India testimonia che proprio questo caos è un humus fertile a fare spuntare alla coscienza l'armonia e la coerenza segreta che soggiace dietro al velo di Maya. Insomma, come un cieco ha bisogno di "ostacoli" per potersi orientare, allo stesso modo in India di "ostacoli" ne troviamo talmente tanti da guidarci a vedere Dio!
P.S. Mentre cercavo una foto da associare a questo post, mi sono imbattuto nel blog (intitolato IndianMonsoon) di una delle tante persone che sta viaggiando in India... le parole che vi ho trovato - caustiche, vivide, vere come possono esserlo quelle di chi è dentro ciò di cui parla - esprimono perfettamente quanto ho tentato - inadeguatamente - di esprimere io stesso: immaginare l'impatto di stare in India è ben poca cosa rispetto al viverlo.
Ecco il link al post di IndianMonsoon (da cui ho mutuato anche il titolo del mio post):
http://www.freeblogging.it/indianmonsoon/generale/L-India-non-un-paese-facile.html

lunedì 29 ottobre 2007

Questo è buono!

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Riordinando la posta elettronica ho ritrovato una email ricevuta da un'amica di mailing list un paio di anni fa. Aveva appena partecipato a una presentazione di un libro di Alejandro Jodorowsky (nella foto), personaggio incredibile ed eclettico, creatore della psicomagia, esperto di tarocchi (li legge gratuitamente da anni, ma per aiutarci a conoscere noi stessi, non per predire il futuro), scrittore, regista cinematografico. Le era rimasta impressa una storiella inerente al bene e al male che Jodorowsky aveva raccontato a proposito degli ostacoli della vita. L'ho cercata invano su internet; la riporto perciò (con minimi adattamenti) nella versione che m'è arrivata dalla mia amica.
C'era un villaggio sulle Ande con a capo un vecchio saggio. Un giorno uno del paese andò dal saggio dicendogli: le galline del villaggio sono tutte morte! Il vecchio saggio stette in silenzio e rispose: "Questo è buono!" L'uomo andò via sconsolato chiedendosi cosa ci fosse di buono nella morte delle galline. Il giorno dopo lo stesso uomo corse di nuovo dal vecchio saggio urlandogli e ansimando che tutti i cani del paese erano morti! Il vecchio saggio, pensò un attimo e rispose: "Questo è buono!" Il contadino non osò contraddire il saggio, ma era seriamente preoccupato della salute mentale del vecchio... "Cosa c'è di buono," si disse, "nella morte di tutti i cani? I bambini piangono! Gli adulti hanno perso i loro fedeli amici!" Il giorno dopo, questa volta veramente fuori di se, il contadino tornò dal vecchio saggio e con impeto gli urlò: "Vecchio non si riesce ad accendere il fuoco nelle case del villaggio, non c'è modo né di scaldarsi, né di nutrire i nostri figli!" Il saggio lo guardò attentamente e rispose: "Questo è buono!" Stavolta l'uomo sbraitò contro in vecchio urlandogli contro di tutto e di più e tornò al paese convinto che tutti dovevano far allontanare il vecchio saggio perché era impazzito. Il giorno dopo giunsero da lontano dei banditi che volevano depredare, derubare tutti gli abitanti del paese, ma guardandosi intorno notarono, le galline morte, i cani morti, i comignoli delle case che non fumavano... si guardarono perplessi e il capo banda disse: "Questo paese è disabitato! Andiamocene via!" L'universo ha un disegno perfetto: tutto quello che accade è perfetto sia nel bene che nel male! A buon intenditor...
Se questo post ti è piaciuto leggi anche La psicomagia di Jodorowsky.

domenica 28 ottobre 2007

Le quattro lezioni

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Ancora una delle tante "catene" che circolano sotto forma di e-mail o powerpoint allegati. Qualcuno le potrà trovare melense e buoniste, io le apprezzo per quel che sono: piccole parabole di buon senso che scaldano un po' il cuore.



Prenditi un po’ di tempo, stai tranquillo/a e leggi attentamente queste bellissime parole e poi rifletti su ciò che hai appena letto, sicuro che avrai modo di capire molte cose...

PRIMA LEZIONE


...dopo qualche mese alla facoltà di medicina, il professore ci diede un questionario. Essendo un buon alunno risposi prontamente a tutte le domande fino a quando arrivai all'ultima che era: "Qual è il nome di battesimo della donna delle pulizie della scuola?" Consegnai il mio test lasciando questa risposta in bianco e, poco prima che finisse la lezione, un alunno domandò se l'ultima domanda del test avrebbe contato ai fini del voto. "E' chiaro!", rispose il professore. "Nella vostra carriera voi incontrerete molte persone. Hanno tutte il loro grado d'importanza. Esse meritano la vostra attenzione, anche con un semplice sorriso o un semplice ciao". Non dimenticai mai questa lezione ed imparai che il nome di battesimo della nostra donna delle pulizie era Marianna.

SECONDA LEZIONE


In una notte di pioggia c'era una signora di colore, al lato della strada, il temporale era tremendo. La sua auto era in panne ed aveva disperatamente bisogno di aiuto. Completamente inzuppata cominciò a fare segnali alle auto che passavano.
Un giovane bianco, come se non conoscesse i conflitti razziali che laceravano gli Stati Uniti negli anni '60, si fermò per aiutarla. Il ragazzo la portò in un luogo protetto, le procurò un meccanico e chiamò un taxi per lei. La donna sembrava avere davvero molta fretta, ma riuscì ad annotarsi l'indirizzo del suo soccorritore e a ringraziarlo.
Passati sette giorni, bussarono alla porta del ragazzo. Con sua grande sorpresa era un corriere che gli consegnò un enorme pacco contenente una grande TV a colori, accompagnata da un biglietto che diceva: "Molte grazie per avermi aiutata in quella strada quella notte. La pioggia aveva inzuppato i miei vestiti come il mio spirito e in quel momento è apparso Lei. Grazie a Lei sono riuscita ad arrivare al capezzale di mio marito moribondo poco prima che se ne andasse. Dio la benedica per avermi aiutato. Sinceramente, Mrs. King Cole"

TERZA LEZIONE

Qualche tempo fa quando un gelato costava molto meno di oggi, un bambino di dieci anni entrò in un bar e si sedette al tavolino. Una cameriera gli portò un bicchiere d’acqua.
"Quanto costa un Sundae?" chiese il bambino.
"Cinquanta centesimi" rispose la cameriera.
Il bambino prese delle monete dalla tasca e cominciò a contarle.
"Bene, quanto costa un gelato semplice?".
In quel momento c'erano altre persone che aspettavano e la ragazza cominciava un po' a perdere la pazienza.
"35 centesimi!" gli rispose la ragazza in maniera brusca.
Il bambino contò le monete ancora una volta e disse: "Allora mi porti un gelato semplice!".
La cameriera gli portò il gelato e il conto. Il bambino finì il suo gelato, pagò il conto alla cassa e uscì.
Quando la cameriera tornò al tavolo per pulirlo cominciò a piangere perché lì, ad un angolo del piatto, c'erano 15 centesimi di mancia per lei. Il bambino aveva chiesto il gelato semplice e non il Sundae per riservare la mancia alla cameriera
.

QUARTA LEZIONE

In tempi antichi un re fece collocare una pietra enorme in mezzo ad una strada. Quindi, nascondendosi, rimase ad osservare per vedere se qualcuno si prendeva la briga di togliere la grande roccia in mezzo alla strada.
Alcuni mercanti ed altri sudditi molto ricchi passarono da lì e si limitarono a girare attorno alla pietra. Alcuni persino protestarono contro il re dicendo che non manteneva le strade pulite, ma nessuno di loro provò a muovere la pietra da lì.
Ad un certo punto passò un campagnolo con un grande carico di verdure sulle spalle; avvicinandosi all’immensa roccia poggiò il carico al lato della strada tentando di rimuovere la roccia. Dopo molta fatica e sudore riuscì finalmente a muovere la pietra spostandola al bordo della strada.
Tornò indietro a prendere il suo carico e notò che c'era una piccola borsa nel luogo in cui prima stava la pietra. La borsa conteneva molte monete d'oro e una lettera scritta dal re che diceva che quell'oro era per la persona che avesse rimosso la pietra dalla strada.

Il campagnolo imparò quello che molti di noi neanche comprendono: "Tutti gli ostacoli sono un'opportunità per migliorare la nostra condizione".

sabato 27 ottobre 2007

Le vedove di Vrindavan

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Inserisco un articolo di Alessandra Muglia, dal Corriere della Sera del 20 agosto scorso, che ha per fonte un rapporto ONU. Fornisce dati recenti su Vrindavan e si occupa della condizione della vedova indiana, ovvero il tema toccato dalla mostra fotografica di Tamara Farnetani per la quale ho scritto le didascalie (liriche) delle foto e che - ormai posso sbilanciarmi - verrà inaugurata l'8 marzo 2008 a Perugia, si replicherà poco dopo ad Assisi e Spoleto, e poi spero riusciremo a portare in altre città d'Italia.


India, la città delle vedove rifugio delle ripudiate senza diritti né famiglia
Le più coraggiose vi arrivano da sole, sognando di raggiungere moksha, il paradiso, dove saranno liberate dal ciclo della morte e della reincarnazione. Ma la maggior parte viene accompagnata, o meglio «scaricata» a sua insaputa, dalla famiglia del marito, ormai defunto. Con lui del resto hanno perso tutto, persino il cognome da sposate: diventano dasi, discepole di Krishna, così come vuole la religione indù. Eppure a portare a Vrindavan migliaia di donne ogni anno non è tanto la fede, ma la disperazione.
Questa cittadina dell'Uttar Pradesh, 150 chilometri a sud-est di Nuova Delhi, da 500 anni è un rifugio per le donne spogliate di tutto che qui vivono, se va bene, di elemosine e offerte, cantando per ore negli ashram, comunità consacrate a Krishna.
Proprio in questo luogo il «dio dell'amore» fece una promessa: «Fortunato chi muore qui perché rinascerà libero dai peccati». Non ultimo quello di sopravvivere al proprio marito. Un lungo purgatorio in terra, un viaggio senza ritorno verso l'oblio: a casa non arriverà neanche la notizia della loro morte.
Vrindavan, una città santa quasi tutta per loro: su 56 mila anime, quasi 15 mila sono vedove. Un abitante su quattro. Cinquemila in più rispetto a dieci anni fa. Nell'India che ha bruciato gli Stati Uniti con il suo primo presidente donna, questo retaggio non soltanto resiste ma cresce di anno in anno. A lanciare l'allarme è il rapporto del Fondo di sviluppo dell'ONU per le donne e Guild of Service, organizzazione umanitaria laica indiana.
Rifiutate dalle famiglie d'origine, diventate un peso per quella del marito, praticamente impossibilitate a risposarsi, le vedove si ritrovano a vagare come fantasmi tra i templi per guadagnarsi da vivere: tre rupie (6 centesimi di euro) e una ciotola di riso per 4 ore di canti e preghiere al giorno. È anche per questo che Vrindavan è segnalata dalle guide: le donne avvolte nei loro sari bianchi, che mendicano nelle strade polverose e cantano «hare Krishna» nei 5 mila templi della città, sono diventate senza volerlo delle attrazioni.
Molte sono giovanissime, andate in sposa da bambine a uomini più vecchi con il culto (diffuso) delle vergini: una bocca da sfamare in meno in casa. A Vrindavan 2 su 5 sono convolate a nozze prima dei 12 anni e quasi una su tre è rimasta vedova prima dei 24. Del resto si stima che nel Subcontinente 1 indiana su 4 convoli a nozze prima dei 18 anni previsti dalla legge e che quasi 1 su 5 prenda marito sotto i 10. Rimaste sole, un tempo le bruciavano sulla stessa pira dell'uomo. Ora, almeno, vivono. Rifugiate negli ashram. Dove però soprattutto se giovani vengono sfruttate sessualmente da chi dovrebbe proteggerle.
Ad accomunare le vedove di Vrindavan è anche la provenienza: l'80% arriva dal Bengala Occidentale, dove la legge indù che esclude le vedove dalla spartizione dell'eredità non è in vigore. Per questo le famiglie le allontanano, temono che possano accampare diritti sulle proprietà. E loro si lasciano portare via, ignare del fatto che se restassero a casa godrebbero di un sussidio più alto che in qualsiasi altro Stato indiano, l'equivalente di 10 euro al mese.
«Il governo ha fallito nel controllare il fenomeno » accusa la curatrice dell'indagine, Usha Rai, sul Times of India. Spiega al Corriere Mohini Giri, cognata dell'ex presidente indiano V.V. Giri e presidente di Guild of Service, che a Vrindavan gestisce due case alloggio (120 vedove in una, 500 nell'altra): «In India ci sono oltre 40 milioni di vedove ma soltanto il 3% di loro percepisce la pensione, il 25% a Vrindavan: abbandonate, sole, spesso analfabete, non conoscono i loro diritti e sono comunque indifese contro i funzionari corrotti che dovrebbero distribuire i soldi. La situazione sta cambiando, ma molto lentamente» riferisce Giri, 66 anni, di cui 40 dedicati all'emancipazione femminile, anche come presidente della Commissione nazionale. Un lavoro duro in una società dove la donna è considerata un costo (a partire dalla dote), le signore hanno un'identità soltanto se «figlie di» o mogli e vengono costrette ad abortire se incinte di bambine (5 milioni di casi all'anno), e dove il 90% dei neonati abbandonati è femmina.
«In India le donne istruite — un'esigua élite — hanno persino più chance che in Occidente, ma per le altre c'è ancora molto da fare» spiega Giri. «Nelle nostre case-alloggio aiutiamo le vedove a prendere coscienza dei propri diritti e a imparare un mestiere». Savita Ma è stata una loro ospite: rimasta vedova a 13 anni, dopo qualche tempo passato a mendicare e cantare nei templi, ha fatto un corso da infermiera e oggi che di anni ne ha 16 gestisce un ostello per donne. Un cambiamento che si riflette anche nel look: via il sari bianco-fantasma, rimpiazzato da quello rosa o azzurro. Come dire: la vita ha ripreso colore.

Questo articolo mi ha richiamato alla memoria un libro, In India di William Dalrhymple, pubblicato nella Biblioteca Universale Rizzoli che lessi qualche mese fa. Si tratta di una raccolta di reportage di un giornalista inglese, profondo conoscitore e viaggiatore dell'India, che - al di là delle opinioni personali dell'autore - riesce a dare un efficace spaccato del molteplice caleidoscopio di punti di vista da cui può essere osservata l'india. Il capitolo intitolato La città delle vedove inizia così:
L'OCCHIO DELLA FEDE PUO' vedere cose che sfuggono al non credente. Alla maggior parte dei visitatori secolari Vrindavan può sembrare soltanto una città-bazar sottosviluppata dell'India settentrionale, con le sue strade polverose affollate di mendicanti, mucche, biciclette, risciò. Ma per il pio pellegrino è il luogo in cui risiede Krishna e quindi - in quel senso almeno - è un paradiso in terra immerso nel profumo dei tamarindi e degli alberi di arjuna.
E si conclude così:

"Questa non è vita" disse un'anziana donna che mi apparve davanti uscendo dall'ombra e chiedendomi una rupia. "Siamo tutte morte il giorno in cui morirono i nostri mariti. Come si può descrivere il nostro dolore? I nostri cuori sono divorati dalla pena. Ora aspettiamo il giorno in cui tutto questo finirà."


La mia amica Tamara ha passato diverse settimane a Vrindavan (e proprio in questi giorni si trova nuovamente lì), a scattare fotografie e a parlare, grazie all'aiuto di un interprete hindi, con le donne che incontrava: è emerso un panorama estremamente variegato e difficilmente generalizzabile. Accanto a donne cacciate di casa, alle vedove bambine, a quelle giovani che si prostituiscono (sarebbe il tema del film Water, sicuramente più romanzesco che antropologico) ce ne sono altre che continuano ad avere rapporti con la famiglia e sono li per libera scelta.

La cultura indù, le caste, l'accettazione del dharma (i principi che guidano la vita) e del karma (la legge metafisica di causa ed effetto) sono temi estremamente delicati da affrontare. Gli occidentali hanno in genere dell'India l'idea di un luogo spirituale e misticheggiante, in realtà oggi anche una cultura laica, atea e protesa alla rivoluzione sociale si è molto diffusa accanto a quella permeata di religione e tradizione ed entrambe le visioni cercano d'imporsi sull'altra. Si tratta di una nazione in cui la maggioranza della popolazione vive in condizioni di indigenza e precarietà, questo è innegabile ma non tout court conseguenza dell'induismo, in cui coesistono visioni più conservatrici e retrograde (che spesso hanno colluso con i coloni inglesi) e altre più illuminate né più né meno che in tutte le religioni. Riporto il pensiero di Ester Gallo, antropologa che ha insegnato nell'università di Perugia e attualmente in quella del Sussex, Inghilterra (e che collabora alla mostra delle foto di Tamara):


Le donne indiane sono oggi, come in passato, protagoniste della tradizione e del cambiamento. La comprensione del ruolo complesso che esse rivestono nell’India contemporanea ci richiede di mettere in discussione i nostri valori e il nostro punto di vista. Questo significa abbandonare l’idea di un’India “tipica”, esotica e affascinante per guardare agli effetti prodotti dal colonialismo e della globalizzazione. Le vedove di Vrindavan sono il simbolo di un paese in profonda trasformazione e le loro storie testimoniano la diversità delle esperienze, famiglie in mutamento, situazioni di precarietà ma anche scelte consapevoli e un ruolo attivo nella società a cui appartengono.


Come ho già detto, l'argomento è vasto è complesso. Ed è naturale che le storie di vita che s'intrecciano a Vrindavan siano passibili di differenti interpretazioni, ognuna valida rispetto a presupposti e principi che ne sono a monte.

venerdì 26 ottobre 2007

L'odore della pioggia

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Ecco una delle tante "catene" che circola nel web, arrivatami oggi da Mario e Marcella... Era tradotta in un italiano assai approssimativo, così mi sono preso la libertà di eliminare almeno gli errori di forma e grammatica più macroscopici, lasciando il più possibile invariato il testo originale.

Marzo, un freddo vento soffiava contro una finestra di un ospedale di Dallas, in quel momento entrava un dottore nella camera di Diana.
Suo marito, David, le teneva stretta la mano mentre attendevano notizie. Il pomeriggio prima, il 10 Marzo, delle complicazioni avevano costretto i medici a praticare un parto cesareo alla 24esima settimana pur di far nascere la figlia della coppia, Dana Lu.
I neo genitori sapevano che la neonata pesava 708 grammi e raggiungeva 30 centimetri e mezzo di lunghezza, che era ancora immatura, ma non si aspettavano queste parole: "Non credo che la bambina abbia molte probabilità di sopravvivere," disse loro il dottore più delicatamente che poté.
"C'è solo il 10 per cento di probabilità che sopravviva alla notte, ed anche se per qualche miracolo ciò accadesse le probabilità che abbia complicazioni future è molto alta."
Paralizzati dalla paura marito e moglie ascoltavano tutti i problemi che la neonata avrebbe dovuto affrontare. Non essere mai in grado di camminare, parlare, vedere. Essere ritardata mentale e molto altro ancora.
Diana, David e Dustin, il loro figlioletto di 5 anni, avevano sperato tanto che un giorno Dana Lu allietasse la loro famiglia. Ed ora, nel giro di poche ore, vedevano tutti i loro sogni e desideri allontanarsi per sempre.
Ma i guai non erano finiti. Il sistema nervoso della piccola non era ancora sviluppato. Quindi qualunque carezza, bacio o abbraccio era pericoloso per Dana Lu. I famigliari sconsolati non potevano neanche trasmetterle il loro amore, dovevano evitare di avvicinarsi a lei. Tutto quello che potevano fare era pregare il Signore che si prendesse cura della piccola, che la cullasse e la facesse sentire amata.

Non credettero ai loro occhi quando Dana
Lu cominciò a migliorare. Passavano le settimane e continuava a prendere peso e diventare più forte. Finalmente, quando Dana Lu compì 2 mesi i suoi genitori poterono abbracciarla per la prima volta.

Dopo altri due mesi, con i dottori che avvertivano che avrebbe potuto peggiorare in qualunque momento, Dana
Lu uscì dall'ospedale e finalmente andò a casa con la sua famiglia.

Cinque anni dopo Dana, era diventata una bambina serena che guardava verso il futuro con fiducia e tanta voglia di vivere. Non c'erano segni di
deficenza fisica o mentale, era una bambina normale che viveva una vita normale. Ma questa non è la fine della nostra storia.

Un caldo pomeriggio del 1996 Dana
Lu era seduta in braccio alla mamma, erano in un parco non lontano da casa (Irving, Texas) dove suo fratello Dustin giocava a calcio con i suoi amici.
Come sempre chiacchierava felice con la mamma, quando all’improvviso si zittì. Si abbracciò e chiese alla mamma "Lo senti?"
Diana sentendo nell'aria che si avvicinava la pioggia rispose "Si. Profuma come quando sta per piovere."
Dana Lu chiuse gli occhi e ridomandò "Lo senti?"
Ancora una volta la mamma gli rispose "Mi sa che tra un po' saremo tutte bagnate, sta per piovere."
Dopo un po', Dana Lu, alzò la testa e accarezzandosi le braccia disse "Profuma come quando Dio ti abbraccia forte."
Diana cominciò a piangere calde lacrime mentre la bambina raggiungeva le sue amiche per giocare con loro. Le parole della figlia avevano confermato ciò che sapeva in cuor suo, da tanto tempo ormai.

Durante tutto il periodo in ospedale, mentre la piccola lottava per la sua vita, Dio si era preso cura di lei abbracciandola così spesso che il suo profumo era rimasto impresso nella memoria di Dana
Lu.

A proposito di blog

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Il blog è oggigiorno l'emblema del cosiddetto web 2.0, lo spazio virtuale in cui la distinzione tra editore-propositore di contenuti e lettore-fruitore sfuma, poiché i contenuti sono creati, condivisi e messi in circolo dagli stessi navigatori.
I motivi per cui si scrive un blog possono essere i più disparati. Mi piace molto l'idea che un blog permanga (salvo l'autore lo cancelli), metta in comunicazione le persone al di là del tempo e dello spazio (per lo meno all'interno di un'area linguistica), abbia - ciascuno nel suo piccolo - un'utilità sociale, faccia informazione e cultura. Voglio però limitare il discorso ai blog pubblici. Un blog privato - a cui si può accedere solo su invito dell'autore - è praticamente un diario. I blog pubblici non sono diari. Certo, nulla vieta che qualcuno ci scriva dentro i fatti propri, intimi e personali, e li abbandoni alla mercé di tutti, però è una cosa che comprendo poco: chi lo fa mi pare un esibizionista verbale e i suoi lettori semplicemente dei voyeur. Blog siffatti sono una sorta di onanistico Grande Fratello (povero Orwell, che finaccia ha fatto il suo 1984!): non lo vedo in TV e non ne cerco surrogati su internet. Su un blog pubblico non si scrive quello che capita, serve in primis a
  • pensare a voce alta solo a ciò che - a torto o a ragione - si suppone possa interessare qualcun altro;
  • fare da ripetitore a contenuti, scritti da altre persone, che siamo contenti di contribuire a diffondere;
  • creare propri contenuti né più né meno di quando si scrive un libro o un articolo.
Il trate d'union è rivolgersi idealmente al nostro prossimo per proporgli qualcosa che sentiamo interessante, qualcosa che ci stimola al punto di dedicare un po' del nostro tempo per condividerlo. Non dubito che una persona con inclinazioni e interessi diametralmente opposti ai miei potrà trovare tutt'altro che stimolanti le questioni che appassionano me, è nel gioco delle cose. Ma spero che qualche visitatore di Ventidue passi d'amore e dintorni vi trovi proprio quello che stava cercando su Google o, meglio ancora, qualche bella sorpresa, così come capita a me con altri siti o blog. Per dirla in poche parole: qualunque blog è la meta della mappa del tesoro di qualcuno! Però un po' più d'interattività qui dentro ci vorrebbe proprio: commenti e post altrui da quest'estate languono! Perciò se qualcuno trova su queste pagine, non dico un tesoro ma almeno qualche monetina, lasci qualche parola di mancia per gli altri navigatori, grazie. :-)

E Dio disse no

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Setacciando il web alla ricerca di approfondimenti e testimonianze su Vrindavan (su cui creerò senz'altro più di un post) mi sono imbattuto in una preghiera assai bella ed ispirata. In italiano non risulta in nessuna altra pagina web. Potrebbe averla scritta, oppure tradotta da un'altra lingua, proprio l'autore del blog da cui la copio (Army Of One): gli rivolgo perciò un pensiero di ringraziamento e l'augurio di avere trovato quello che noi tutti cerchiamo, chi più chi meno consapevolmente... i suoi ultimi post provenivano dall'India, proprio da Vrindavan.
Leggendo al volo i primi e gli ultimi mesi del suo blog - che inizia nel 2003 e s'interrompe senza preavvisi nel 2006 (?!) - ho messo insieme pochi pezzi di puzzle di questo blogger, che oggi dovrebbe avere circa 32 anni: viveva a Milano o dintorni, praticava sin da ragazzo lo skateboard a buon livello, usava un computer Mac per lavoro (grafica? editoria? informatica? chissà...), aveva sposato tra i 20 e i 25 anni la fede Hare Krishna, cercava profondamente il senso della vita...

E Dio disse no

Chiesi a Dio di liberarmi dall'orgoglio
e Dio disse: “No”.
Mi disse che non era Lui che doveva farlo,
ma che ero io che dovevo lasciarlo.

Chiesi a Dio di far guarire la mia bambina down
e Dio disse: “No”.
Mi disse che il suo spirito è integro,
e il suo corpo è solo temporaneo.

Chiesi a Dio di darmi pazienza e Dio disse: “No”.
Mi disse che la pazienza è un
prodotto della tribolazione.
Non è assicurata, bisogna meritarla.

Chiesi a Dio di darmi la felicità
e Dio disse: “No”.
Mi disse che Egli da benedizione.
La felicità dipende da me.

Chiesi a Dio di risparmiarmi la sofferenza
e Dio disse: “No”.
Mi disse che “la sofferenza ti distoglie dal mondo
e ti avvicina a Me”.

Chiesi a Dio di far crescere il mio spirito
e Dio disse: “No”.
Mi disse che dovevo farcela da solo.
Ma che Egli mi aiuterà nel mio sforzo.

Chiesi a Dio di aiutarmi ad amare gli altri
tanto quanto Egli mi ama.
E Dio disse: “Finalmente hai capito”.

Chiesi forza
e Dio mi diede difficoltà per rendermi forte.

Chiesi saggezza
e Dio mi diede problemi da risolvere.

Chiesi coraggio
e Dio mi diede pericoli da superare.

Chiesi amore
e Dio mi diede persone in difficoltà da aiutare.

Chiesi a Dio dei favori
e Dio mi diede opportunità.

Non ho ricevuto niente di quello che volevo.
Ho avuto tutto quello di cui avevo bisogno.
La mia preghiera è stata ascoltata.

Questa preghiera - a quel che vedo sconosciuta - affronta lo stesso tema di quella - citata spesso - intitolata Tutto quello di cui ho bisogno che pubblicai lo scorso 25 febbraio, ma non mi sembra meno intensa e profonda.

mercoledì 24 ottobre 2007

Appuntamento a UmbriaLibri2007

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Be', visto che ogni tanto mi ricordo che questo blog l'ho aperto anche per promuovere i miei libri, ne approfitto per annunciare che - in occasione di UmbriaLibri2007 - giovedì 8 novembre a Perugia, presso il Centro Espositivo della Rocca Paolina (nella foto), dalle ore 16.00 alle 17.00 Marcella Bravetti e Rosella De Leonibus mi aiuteranno a presentare Ventidue passi d’amore e Sospensioni di gravità.

Rosella
De Leonibus è una nota psicologa e psicoterapeuta perugina, con cui mi sono trovato spesso a lavorare insieme ai progetti di peer education nelle scuole dell'Assisano (Assisi, Bastia Umbra, Bettona, Cannara, Valfabbrica). Con una solida formazione gestaltica alle spalle, Rossella è socia fondatrice del
CIFORMAPER (Centro Italiano di Formazione Psico-Eco-Relazionale) ed è professionalmente ed umanamente una delle persone più in gamba che conosco... perciò mi sento molto sollevato quando mi capita di presentare i miei libri insieme a lei!

Marcella Bravetti è Presidente del Comitato Internazionale 8 Marzo, associazione perugina con cui sto collaborando alla realizzazione della mostra fotografica DONNE DI VRINDAVAN (foto di Tamara Farnetani) di cui ho scritto i testi: l'inaugurazione è fissata alla Rocca Paolina di Perugia (presso l'ex bookshop) dall'8 al 16 marzo 2008 dopodiché la mostra toccherà altre città d'arte dell'Umbria e altre metropoli italiane... se poche o tante dipende dagli sponsor che troveremo! Marcella è stata la prima persona a dare fiducia al progetto della mostra su Vrindavan, un progetto in cui credo molto e di cui spero di avere presto parecchie occasioni per parlare.

Insomma siete tutti invitati e anche se non vi interessano i libri del sottoscritto, vale sempre la pena di partecipare per ascoltare Rosella e Marcella! :-)

Questo è il commento inserito nel programma di UmbriaLibri:
I libri di Passerini c'invitano nel luogo dove poesia e prosa, parole e numeri, passione e riflessione convivono senza imbarazzi. "Sospensioni di gravità – spiega la scrittrice Chicca Morone – viene dopo l'esordio di Ventidue passi d'amore, il primo percorso magico attraverso emozioni e sensazioni di un uomo immerso nel mare dei sentimenti, ma non annegato, per cui consapevole dell'evolversi della propria storia e come tale lucido, non solo nella espressione verbale". Energia, incanto, imprevedibilità, facilità e difficoltà del contatto tra maschile e femminile sono alcune delle ispirazioni predilette del 42enne autore perugino. Ventidue passi – definito da Enrico Vaime "semplicemente delizioso" – racconta la rapida parabola d'un grande amore nato tra le rovine maya di Palenque. Sospensioni è un caleidoscopio d'incontri e innamoramenti di tutti i giorni, dedicato a luna, mare e dea che vivono in ogni donna, nel segno delle 4 fasi lunari e del 7, i numeri che dagli astri si specchiano nel ritmo delle vite.

lunedì 22 ottobre 2007

Libertà di espressione nel web (II)

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Ritorno brevemente sul tema del disegno di legge che equiparerebbe tutti i blog - persino questo! - a siti come quello de La Repubblica, de Il Corriere della Sera ecc. Fioccano le dichiarazioni, del Ministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni in primis, che suonano a mo' di "scusate tanto, ci siamo sbagliati e porremo rimedio". Ma ad ogni buon conto - non si sa mai! - chiunque voglia può firmare l'apposita petizione al seguente link: http://www.petitiononline.com/noDDL/petition.html

domenica 21 ottobre 2007

W Enzo "Robin Hood" Rossi!

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Una favola? No, sembra che sia tutto vero! Un industriale marchigiano ha deciso di provare per un mese a sbarcare il lunario con lo stesso stipendio dei suoi dipendenti e dopo quest'esperienza ha deciso di dare aumenti a tutti. Come sarebbe bello se tutti i ricchi togliessero a se stessi per dare ai poveri come a fatto Enzo "Robin Hood" Rossi...
Prendo pari pari l'articolo che si occupa di questa vicenda dal sito de La Repubblica e lo metto nel blog poiché rientra nello spirito della sua categoria "positività dal mondo". E in questo caso il "mondo" e qui ad appena un centinaio di chilometri da dove abito.

Mi sorge spontanea una proposta: facciamo fare la stessa esperienza per un mese ai nostri parlamentari?! :-)

Industriale vive da operaio
"Il 20 avevo già finito i soldi"

"L'ho fatto anche per le mie figlie, che non hanno mai provato privazioni"


(articolo di JENNER MELETTI)

CAMPOFILONE (Ascoli Piceno) - Per un mese ha provato a vivere con lo stipendio di un operaio. Dopo 20 giorni ha finito i soldi. Enzo Rossi, 42 anni, produttore della pasta all'uovo Campofilone, ha deciso allora di aumentare di 200 euro al mese, netti, gli stipendi dei suoi dipendenti, che sono in gran parte donne. Ha dichiarato di essersi vergognato, perché non è riuscito a fare nemmeno per un mese intero la vita che le sue operaie sono costrette a fare da sempre. Ha detto che "è giusto togliere ai ricchi per dare ai poveri".

Signor Rossi, per caso non sarà comunista?
"No. Non sono marxista. Sono un ex di destra. Ex perché quelli che votavo non sanno fare nemmeno l'opposizione".

Perché allora questo mese da "povero" e soprattutto la decisione di aumentare i salari a chi lavora per lei?
"Perché stiamo tornando all'800, quando nella mia terra c'erano i conti e i baroni da una parte ed i mezzadri dall'altra, e si diceva che i maiali nascevano senza coscia perché i prosciutti dovevano essere portati ai padroni. Negli ultimi decenni il livello di vita dei lavoratori era cresciuto e la differenza con gli altri ceti era diminuita. Adesso si sta tornando indietro, e allora bisogna rimediare".

Aveva bisogno davvero di provare a vivere con pochi soldi? Non poteva chiedere a chi è costretto a farlo, senza scelta?
"Certo, sapevo come vivono le donne che lavorano per me. Ma ho fatto questa esperienza soprattutto per le mie figlie, che non hanno mai provato le privazioni. Ho voluto fare toccare loro con mano come vivono la grandissima parte delle loro amiche".

Come si è svolto l'esperimento?
"E' stato semplice. Io mi sono assegnato 1.000 euro, e altri 1.000 sono arrivati da mia moglie, che lavora in azienda con me. Duemila euro per un mese, tante famiglie vivono con molto meno. Abbiamo fatto i conti di quanto doveva essere messo da parte per la rata del mutuo, l'assicurazione auto, le bollette... Con il resto, abbiamo affrontato le spese quotidiane. Il risultato è ormai noto: dopo 20 giorni non avevamo un soldo. Mi sono vergognato, anche se ero stato attento a ogni spesa. Sa cosa vuol dire questo? Che in un anno intero io sarei rimasto senza soldi per 120 giorni, e questa non è solo povertà, è disperazione".

Signor Rossi, lei è mai stato povero?
"Sì, anche se ero già un piccolo imprenditore. Nel 1993 - erano già nate le mie figlie - ho dovuto chiedere soldi in prestito agli amici per mantenere la famiglia. Non mi vergogno a dirlo, tanto quei soldi li ho restituiti. E' anche per questo che nell'esperimento ho coinvolto la famiglia. Volevo che le mie figlie vivessero in una famiglia con pochi mezzi, per trovare difficoltà e provare a superarle".

Il momento peggiore?
"L'ultimo giorno, quando ho deciso di arrendermi. Entro nel bar con 20 euro in tasca, gli ultimi. Sono conosciuto in paese, siamo 1.700 abitanti in tutto e gli imprenditori non sono tanti. Mentre entro un pensiero mi fulmina: e se trovo sei o sette amici cui offrire l'aperitivo? Non ho abbastanza soldi. Ecco, ci sono tanti operai che, quando tocca il loro turno, debbono pagare da bere agli altri, perché non è bello fare sapere a tutti che si è poveri. Sono in bolletta e non lo dicono a nessuno. In quel momento ho pensato: tanti di quelli che sono qui sono poveri davvero e non per un mese. Mi sono sentito come quando sei immerso in mare a 20 metri di profondità e scopri che la bombola è finita".

E allora ha deciso di aumentare i salari.
"E' il minimo che potevo fare. Secondo l'Istat, il costo della vita è aumentato di 150 euro al mese. Per quelli come me non sono nulla. Per gli operai 150 euro al mese in meno sono quasi 2.000 all'anno, e questo vuol dire non pagare le rate della macchina o non comprare il computer al figlio. E poi, lo confesso, io ho aumentato i salari anche perché sono un egoista. Secondo lei, come lavora una madre di famiglia che sa di non poter arrivare a fine mese? Se è in paranoia, dove terrà la testa, durante il lavoro? Le mani calde delle mie donne che preparano la pasta sono la fortuna della mia azienda. E' giusto che siano ricompensate".

Se aumenta gli stipendi, vuol dire che l'azienda rende bene.
"Nel 1997, quando ho preso il pastificio Campofilone, il fatturato era di 90 milioni di lire. Quest'anno arriveremo a 1,6 milioni di euro. Da due anni le cose vanno davvero bene, e mi posso definire benestante. Non è giusto che sia solo io a goderne. Il valore aggiunto derivato dalla trasformazione della farina e delle uova deve portare benefici sia ai contadini che mi danno la materia prima che ai lavoratori della fabbrica".

Come l'hanno presa, i suoi colleghi industriali?
"Mi sembra bene. Alcuni mi hanno telefonato per sapere se l'aumento di 200 euro è uguale per tutti e altre cose tecniche. Forse vogliono imitarmi e questa è una cosa buona. Io ho spiegato che sarebbe giusto non fare pagare alle aziende i contributi relativi a questo aumento. Se il governo capisce (mi ha telefonato anche Daniele Capezzone, della commissione imprese) l'idea di prendere ai ricchi per dare ai poveri non resterà soltanto un manifesto".

(21 ottobre 2007)

sabato 20 ottobre 2007

Libertà di espressione nel web (I)

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Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni. (art. 21 C.)
Mi unisco a quanti stanno diffondendo nella rete l'ultimo post del blog di Beppe Grillo (che riporto qui sotto) nel chiedere semplicemente il rispetto dell'art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana.
Riccardo Franco Levi, braccio destro di Prodi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha scritto un testo per tappare la bocca a Internet. Il disegno di legge è stato approvato in Consiglio dei ministri il 12 ottobre. Nessun ministro si è dissociato. Sul bavaglio all’informazione sotto sotto questi sono tutti d’accordo. La legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al ROC, un registro dell’Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro. I blog nascono ogni secondo, chiunque può aprirne uno senza problemi e scrivere i suoi pensieri, pubblicare foto e video. L’iter proposto da Levi limita, di fatto, l’accesso alla Rete. Quale ragazzo si sottoporrebbe a questo iter per creare un blog? La legge Levi-Prodi obbliga chiunque abbia un sito o un blog a dotarsi di una società editrice e ad avere un giornalista iscritto all’albo come direttore responsabile. Il 99% chiuderebbe. Il fortunato 1% della Rete rimasto in vita, per la legge Levi-Prodi, risponderebbe in caso di reato di omesso controllo su contenuti diffamatori ai sensi degli articoli 57 e 57 bis del codice penale. In pratica galera quasi sicura. Il disegno di legge Levi-Prodi deve essere approvato dal Parlamento. Levi interrogato su che fine farà il blog di Beppe Grillo risponde da perfetto paraculo prodiano: “Non spetta al governo stabilirlo. Sarà l’Autorità per le Comunicazioni a indicare, con un suo regolamento, quali soggetti e quali imprese siano tenute alla registrazione. E il regolamento arriverà solo dopo che la legge sarà discussa e approvata dalle Camere”. Prodi e Levi si riparano dietro a Parlamento e Autorità per le Comunicazioni, ma sono loro, e i ministri presenti al Consiglio dei ministri, i responsabili. Se passa la legge sarà la fine della Rete in Italia. Il mio blog non chiuderà, se sarò costretto mi trasferirò armi, bagagli e server in uno Stato democratico. P.S.: Chi volesse esprimere la sua opinione a Riccardo Franco Levi può inviargli una mail a : levi_r@camera.it
L'ho fatto, ecco il testo della mail che ho inviato: Da: Daniele Passerini Data: 20 ottobre 2007 12:29:39 GMT+02:00 A: levi_r@camera.it Oggetto: libertà di espressione nel web In merito a quanto diffuso in questi giorni dai mass media relativamente al disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 12/10/07 (Nuova disciplina sull'editoria...), esprimo il mio totale dissenso da cittadino, utente di internet e curatore di "blog", a che venga istituito un obbligo di registrazione all'Autorità delle Comunicazioni per qualsivoglia pagina web ed un obbligo di controllo su eventuali contenuti diffamatori ai sensi degli artt. 57 e 57bis del codice penale. Confidando si tratti di un falso allarme dovuto ad erronea interpretazione delle intenzioni del legislatore e auspicando che lo stesso provveda a chiarire con sollecitudine il rispetto delle garanzie previste dall'art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana, cordiali saluti. Dr Daniele Passerini Via dell'Uva 1, Ponte San Giovanni 06135 PERUGIA (http://22passi.blogspot.com)

venerdì 19 ottobre 2007

La vera confusione è non essere consapevoli

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Una breve scambio di parole ieri con Maria Rita, grande appassionata di arte ed eventi culturali, mi ha dato lo spunto per tornare a riflettere sul rapporto - abbastanza conflittuale - che ho con l'ambiente culturale, i suoi riti e le sue regole.

"Ma come - mi ha più o meno detto Maria Rita - pubblichi libri e poi non ti interessi delle tante iniziative culturali che la tua stessa città offre?". Non ho avuto modo di risponderle. E' vero, sono spettatore di pochissime di queste kermesse... e non solo perché non mi avanza tempo: degli avvenimenti culturali
la maggior parte (ci sono sempre ottime eccezioni e certo col mio atteggiamento ne perdo parecchie) li trovo noiosi, autoreferenziali, autocelebrativi e soprattutto troppo cerebrali. A parte il fatto che non ci mangio dentro, non sto sputando nel piatto dell'arte: magari semplicemente non sono all'altezza di capire certe sue forme. L'immagine qui accanto invece mi piace (il riferimento all'autore è in calce al post): sento che in qualche modo corrisponde al mio essere e a quello che sto scrivendo ora.

Torniamo alla mia alterità rispetto all'agone culturale. Non è detto che abbia una sufficiente cultura di base per poterci "competere"... pure se ho fatto il liceo classico e mettendo insieme la laurea specialistica in scienze politiche, la laurea breve in servizio sociale, il biennio di ingegneria ho sostenuto e superato 53 esami universitari (raccogliendo pure qualche 30 e lode). Questa formazione è chiaramente incoerente, meno qualitativa che quantitativa: piuttosto che una campo coltivato secondo appezzamenti regolari somiglia ad un orto seminato come ha voluto un vento di spirito incostante.


Dio avrà avuto i suoi buoni motivi a darmi una memoria discontinua e lunatica che di fatto mi rende impossibile possedere una cultura non dico nozionistica ma tale da sostenere una conversazione con un po' di tono e le parole giuste messe nel contesto giusto. So di saper scrivere discretamente; riconosco di non brillare nella conversazione! E non sono nemmeno particolarmente intelligente: quando feci i test del QI al liceo ottenni esattamente il punteggio corrispondente alla media, mentre molti compagni e compagne di classe la superavano.


Anche il mio approccio alla musica è coerente all'incoerenza che mi porto dentro. Ho imparato da autodidatta a suonare la chitarra, molto meglio che un principiante ma ovviamente molto peggio di chi lo fa per mestiere o vocazione. Canto in un coro di discreto livello (quello dell'Università di Perugia) ma non ho una voce tale da potermi permettere pezzi da solista. Riesco a seguire su uno spartito una parte che già conosco, per il resto non ho mai imparato sul serio a leggere il pentagramma.


E non ho manco saputo fare fruttare il primo talento che mi si è manifestato da bambino. Dalle elementari alle superiori son sempre stato il più bravo della classe a disegnare, tratteggiare vignette e caricature dei miei compagni per ridere, ma soprattutto lavori più artistici per appagare il mio bisogno di essere creativo: avrei potuto farne qualcosa di più di un passatempo ma la cosa è morta lì, tanti anni, fa e adesso ho perso la "mano".


Persino in religione son fatto a modo mio: mi considero cristiano (esoterico) ma assolutamente non cattolico. Mi esalto nelle convergenze che vedo nel misticismo di diversi credi. Cerco in ognuno di loro una diversa sfaccettatura che l'uomo ha colto del Divino. Non mi va di appartenere ad una determinata fede perché sento con tutto me stesso che nessuna è completa.

Insomma il leitmotiv della mia vita è spaziare in orizzontale attraverso mille interessi senza mai trovare la voglia di approfondirne in verticale qualcuno in particolare. Per molti anni me ne sono fatto un cruccio, ora lo accetto.

Per usare un'immagine, la mia vita sembra una casa costruita da un muratore ubriaco: niente pareti perpendicolari e angoli a 90°... però mi piace così. Non è un freddo esercizio di design, la sento davvero mia e in tutta la sua serena confusione e inquieta incompletezza mi trasmette comunque calore.

Ho 42 anni e solo due anni fa mi è capitato di pubblicare un libro e fare il bis un anno dopo. Sto cercando tuttora di capire quali novità, profonde, mi porta questa avventura editoriale. Non mi considero un artista, è una parola troppo seria: sono uno che scrive perché gli piace e lo fa stare bene.
Mi sento un pesce fuor d'acqua nei "salotti letterari". Amo presentare i miei libri soltanto se si tratta di una chiacchierata informale tra gente normale, altrimenti preferisco starmene zitto. Son contento quando un lettore mi dice che gli ho trasmesso emozioni: non c'è nulla che mi motivi più di questo a continuare a scrivere.

Questo post è venuto così... il quadro
che ho inserito in cima è "Confusione" di Carla Petricht... questo è il link per la home del suo interessante sito: navigavo per tutt'altre mete quando una folata di Google mi ha portato sulle sue rive. Mi è parso un bel posto da esplorare e l'ho segnato sulle mie mappe.

La green guerrilla di Critical Garden

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Grazie alla segnalazione di Beatrice ho scoperto oggi l'esistenza di una fantastica iniziativa denominata Critical Garden: un tipo incruento di guerriglia urbana finalizzata a fare spuntare un po' di verde e colore ovunque ci sia un'aiuola abbandonata a se stessa, una fioriera non curata, una zona di verde pubblico incolto. Insomma, invece di lamentarci che il nostro Comune non rende strade e parchi cittadini abbastanza belli, i promotori di Critical Garden invitano ognuno di noi ad adottare un qualsivoglia angolo di città dove possa essere piantato qualcosa, e provvedere... cum grano salis ovvio!
"Casualmente" la segnalazione di questa iniziativa mi arriva a pennello proprio dopo i post che ho scritto in occasione del Blog Action Day sull'ambiente... davvero una perfetta sincronicità.
Non si finisce mai di imparare!

come costruire un critical garden

MANUALE DEL GIARDINO ABUSIVO

Qui di seguito ci sono un po’ di consigli su come dedicarsi ai Critical Gardens, riassunti in un elenco di undici punti base su cui meditare. Non sono regole, sono solo alcuni suggerimenti di giardinaggio urbano.

1. Individuate un terreno abbandonato nella vostra zona.
Vi sorprenderà scoprire quanti piccoli appezzamenti di suolo abbandonato e pubblico ci siano. Aiuole trascurate, fioriere di cemento piene di rifiuti nelle quali le piante crescono senza controllo, zone abbandonate… Sceglietene uno vicino a casa, che magari vedete tutti i giorni andando a lavorare o a fare la spesa, e adottatelo. Sarà molto più facile prendersene cura.

2. Pianificate la vostra missione.
Scegliete un giorno e segnatelo sulla vostra agenda come come la giornata giusta per partire all’attacco con il vostro Critical Garden. Invitate amici che vi sostengono oppure arruolate degli sconosciuti con condividono le vostre idee annunciando l’attacco sul sito www.criticalgarden.com

3. Trovate un fornitore locale di piante.
Più a buon mercato, meglio è. Per chi abita in città, rivolgetevi a negozi di fai da te, supermercati e grossisti locali. Le piante che costano meno sono quelle gratis. Capita che dei vivai abbiano delle piante in più da donarvi per la causa. O fatevi amico qualcuno con un giardino. Pensate a questi luoghi come a dei campi di addestramento per raccogliere sementi, talee e piante adatte alla grande avventura del crescere nel selvaggio suolo pubblico. Se vi avanza del materiale, rendetelo disponibile ad altri Critical Gardeners della vostra zona mettendo un avviso nella pagina web.

4. Scegliete le piante per la battaglia in prima linea.
Pensate a piante robuste – in grado di resistere alla mancanza di acqua e al freddo e, in alcune zone, di essere calpestate dai passanti! Per buona parte del tempo queste piante devono saper badare a se stesse. Pensate ad un impatto visivo – colori, fogliame da sempreverdi, dimensioni. Queste piante devono poter creare un’area verde per buona parte dell’anno. Visitate la pagina web per per condividere le vostre conoscenze di orticultura.

5. Procuratevi dei sacchi.
Sacchetti di plastica e sacchi della spazzatura non solo vi aiutano a non sporcarvi le scarpe, ma sono essenziali per eliminare i detriti. Rifiuti, vasi da fiore e sassolini vanno portati via. Per i detriti più piccoli riutilizzate sacchetti trasportati dal vento; per quelli più consistenti riutilizzate sacchi da compostaggio o da materiali edili. La loro spessa plastica non si strappa e potete usarli per trasportare un bel po’ di materiali al più vicino contenitore per rifiuti.

6. Innaffiate regolarmente.
Una delle responsabilità del Critical Gardener è quella di continuare a prendersi cura dei propri interventi. Il Critical Gardener di solito si porta dietro l’acqua per innaffiare (a New York si possono utilizzare idranti dei vigili del fuoco della starda); si possono usare le taniche per la benzina, ideali per trasportare liquidi. L’unico problema è che a volte dei passanti possano scambiarvi per piromani notturni.

7. Bombe di semi.
Per le aree ad accesso difficile o dove non è possibile scavare, utilizzate una “bomba di semi”, costituita da semi e terreno avvolti in una capsula “esplosiva”. Le istruzioni sono state scritte nel 1973 dal New York’s Green Guerrillas e sono state gentilmente fornite da Donald Loggins.

8. Passate parola.
Fate sapere cosa avete fatto infilando dei volantini informativi sotto le porte dei residenti della zona di guerra del Critical Gardens, affiggeteli sulle cabine telefoniche od alle fermate degli autobus, conficcate un cartello nel terreno. Cercate di parlarne con i passanti, portatevi dietro degli attrezzi da giardinaggio di scorta. Accogliete con favore stampa e media locali, in particolare se contribuiranno ai costi dell’iniziativa, cosa che spesso fanno.

Citando le fonti di questo post vi lascio due link da visitare:

  • ho trovato la foto in un articolo sui guerrilla-gardeners intitolato GREEN INVADER.
  • Il decalogo (anzi endecalogo) di green guerrilla proviene direttamente dal sito di CRITICAL GARDEN.

mercoledì 17 ottobre 2007

Güssing: l'utopia a portata di mano

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Güssing è un paese austriaco di circa 4000 abitanti (nella foto) dove il sole, il legno, il mais, i rifiuti bastano per alimentare tutti gli autoveicoli, fornire di energia e riscaldamento ogni abitazione o aziende: i pannelli solari termici riscaldano l'acqua, quelli fotovoltaici generano elettricità. Un piccolo paese, d'accordo... ma se tutti i piccoli paesi imboccassero questa strada... se ogni città cominciasse ad avere uno, due, tre quartieri autosufficienti per quel che riguarda l'approvvigionamento energetico... avremmo cominciato a cambiare il mondo.

Quando il "vecchio" sistema diventa insostenibile e l'utopia diventa possibile si è alle soglie di un punto di svolta. Oramai la tecnologia è matura, le transition town diventano un modello sempre più generalizzabile è questione soprattutto di volontà, civile e politica.


Viaggio nell'utopia di Güssing
il paese a emissioni zero


L'ideatore: "Un sistema perfetto, è per questo che le grandi lobby non lo vogliono"

(articolo di CINZIA SASSO dal sito di La Repubblica - 17/10/2007)

GÜSSING - La città dell'utopia è arrampicata sulle colline del Burgerland, nell'Austria più profonda, ai confini con l'Ungheria, tra campi di mais e foreste di pini. Si chiama Güssing, ha quattromila abitanti e un profeta: Rheinard Koch, 46 anni, un ingegnere alto due metri e quattro che giocava a basket nella nazionale austriaca e che ha realizzato il sogno di trasformare il paese dove è nato in un'isola pulita che produce da sé, con quello che la natura gli mette a disposizione, tutta l'energia di cui ha bisogno. Il sole, il legno, il mais, i grassi vegetali, i rifiuti, a Güssing si trasformano in riscaldamento, elettricità, gas, carburante per le auto. Dice Koch: "Certo che è un sistema perfetto, ed è per questo che le grandi lobby non lo vogliono. Parliamo di molti soldi, e molti soldi vuol dire molto potere. Se ogni comunità facesse come noi, quel potere verrebbe meno".

L'uso dell'energia alternativa ha permesso alla città di ridurre del 90% le emissioni di biossido di carbonio e di guadagnare ogni anno, dalla vendita alla rete nazionale del surplus energetico, 500 mila euro che vengono reinvestiti in nuovi progetti. Dal '95 ad oggi, le emissioni sono state ridotte del 93% mentre la città svedese che ha vinto il premio per la Sustainable Community, Vaxjo, ha tagliato i veleni nell'aria del 25% negli ultimi dieci anni. E Al Gore ha auspicato una riduzione del 90% entro il 2050.

In Europastrasse, là dove ha la sua sede il Centro Europeo di Energia Rinnovabile, hanno dovuto costruire anche un albergo, il Com Inn, per le comitive che arrivano da tutto il mondo: dall'Ocse di Vienna, con i cinquanta diplomatici guidati dal direttore degli affari economici Bernard Snoy, agli scienziati giapponesi; dai ricercatori del Canada alle comitive di contadini scozzesi, quasi 5.000 visitatori solo l'anno scorso. "Questa città - dicono - ha saputo coniugare la crescita economica con la sostenibilità ambientale". Aggiunge Peter Vadasz, un ex professore che ora è sindaco: "Non avremmo mai sognato di raggiungere simili risultati: la montagna di denaro che prima lasciava la città, adesso rimane qui".

È una storia che comincia nel 1989, quando Güssing era solo la capitale di una delle regioni più povere del paese. Non c'era altro che lavorare nei campi e il 70% della popolazione era costretta ad emigrare. Anche Koch aveva dovuto andare a Vienna, finché Herr Krammer, il sindaco di allora, pensò di offrirgli un posto come tecnico comunale. Racconta Koch: "Ci siamo chiesti che cosa si poteva fare per creare lavoro e ricchezza. E per prima cosa abbiamo realizzato che qui c'erano molti soldi: tutti quelli che la gente doveva spendere per procurarsi energia. Erano 36 milioni l'anno per la regione, 6 per Güssing. E così abbiamo pensato di creare da noi l'energia, sfruttando le nostre risorse".

Quei soldi sono rimasti nella zona e hanno creato lavoro. Negli ultimi dieci anni sono nate 60 aziende per 1.200 posti di lavoro. "Abbiamo scalato la classifica della povertà e siamo diventati i primi produttori al mondo di gas naturale". Ora Güssing è completamente autosufficiente. Negli otto diversi impianti produce 22 megawattora di energia l'anno, compresi 8 megawatt di surplus che vende. Contro la sagoma del vecchio castello della nobiltà ungherese che è il simbolo del paese, si stagliano adesso montagne di segatura e cattedrali di tubi. Verena, i capelli dritti in testa per il gel, lavora in un altro dei nuovi alberghi: "Sì, adesso vengono un sacco di persone, pare che tutti siano curiosi di sapere come abbiamo fatto". E Ullriche, che va a far la spesa con il cesto di vimini: "Questa era una città morta, adesso cercano sempre nuovo personale".

Il paese dell'eco-energia è cambiato: ci sono le case pastello con i tetti spioventi e i nidi di cicogna, ma anche le palazzine con le parabole sui balconi. Il Rathaus, il municipio, ha la scritta gotica e la facciata di pietra tirata a lucido e per le strade viaggiano i Renault Traffic della Biomasse Fernheizwerk Güssing. "La cosa più difficile - spiega Koch - è stata quella di convincere la gente che la nostra energia era buona come quella delle multinazionali". Ma la gente si è convinta e l'energia costa dal 30 al 40% in meno che nel resto del Paese. Al festival del teatro, quest'estate, hanno messo in cartellone il Don Chisciotte. Proprio come Koch, l'ingegnere che è diventato ricco facendo prima diventare ricco il suo paese. "Dice che sono un visionario? Sì, forse. Ma le mie visioni sono diventate realtà".
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