Perfeziono il discorso sul tempo, trattato nel precedente post, riportando l'inizio della Postilla Maya di Ventidue passi d'amore e inserendo a lato la scansione dell'ultima pagina del libro, con la tavola dei numeri maya da 1 a 22.
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L’uomo occidentale computa il tempo in modo quantitativo e lineare: si preoccupa soprattutto di collocare lungo la freccia temporale quel che accade, è accaduto, presume accadrà. Lo fa anno per anno, ricorrendo ad un farraginoso calendario gregoriano di 12 mesi, ciascuno formato da un numero di giorni variabile tra 28 e 31 (da ciò l’uso della nota filastrocca per rammentarli) sì da ricondurlo, con l’espediente dell’anno bisestile, al periodo che la Terra impiega a compiere una rivoluzione solare. Lo fa giorno per giorno, ricorrendo ad una sequenza di 24 ore di 60 minuti ciascuna. Lo fa per ragioni pratiche, ché la società moderna assume di fondarsi sulla certezza del tempo quanto su quella del diritto. Si tratta di un sistema basato sul numero 12 e suoi multipli. All’opposto gli antichi Maya erano interessati agli aspetti qualitativi e radiali del tempo: non a quanto prima o dopo un dato riferimento accade un evento, ma alla qualità intrinseca del giorno in cui accade(4). Tali qualità, che “colorano” con la propria sfumatura l’evento stesso, sono differenti manifestazioni nel mondo dello Spirito Creatore. Scaturiscono da 20 strutture energetiche archetipiche combinate con 13 modalità d’espressione (toni) a formare una matrice di 260 giorni-combinazioni chiamata tzolkin. Di più, queste differenti qualità ricorrono nel tempo secondo onde e ritmi che si dilatano all’infinito evocando un gioco di scatole cinesi, la geometria frattale, la peculiarità dell’ologramma di contenere in ogni sua parte, anche la più minuscola, il tutto. È in tale prospettiva che i Maya hanno costruito, con una precisione che lascia tutt’oggi a bocca aperta, il loro sistema calendrico. Non per imbrigliare il tempo e asservirlo agli scopi umani, ma per navigarci dentro, assecondando e interpretandone onde e qualità. In altri termini per sincronizzare le coscienze individuali e le azioni terrene ai cicli cosmici(5). Questo sistema è basato sui numeri 13 e 20.
(4) C’è analogia tra visione temporale Maya e quella del Taoismo cinese: come la prima enfatizza la qualità del giorno, la seconda enfatizza la qualità dell’attimo. Su quest’ultima si fonda l’I King, il libro divinatorio per antonomasia dell’antica Cina (di datazione incerta, forse anteriore al 3000 a.C.), costruito su un sorprendente sistema di 64 esagrammi, composti da linee intere ‘maschili’ (yang) o linee spezzate ‘femminili’ (yin), stabili o mutevoli nel loro opposto. Carl Gustav Jung scoprì racchiusa nell’I King una vera e propria cosmologia basata sul principio di sincronicità.
(5) Per questo sarebbe più corretto parlare di sincronario piuttosto che di calendario maya.
2 : commenti:
SUL CONCETTO DI TEMPO IN EINSTEIN
Fino ad Einstein, come noto, tempo e spazio erano separati e considerati oggettivamente, sulla base della geometria euclidea soprattutto. Lo spazio aveva tre dimensioni e il tempo era misurato con calendari di tipo solare o lunare.
Con Einstein tempo e spazio diventano una cosa sola, nel senso che, a causa della velocità della luce, essi s'influenzano reciprocamente. Il tempo ha smesso d'essere una questione oggettiva, indipendente dalle sensazioni e opinioni dell'uomo.
Einstein in pratica fa capire che quanto più aumenta la nostra velocità nello spazio (rapportata a quella della luce), tanto più il tempo rallenta.
Senza dubbio, tale formula, considerata astrattamente, è vera, ma solo se l'uomo si pone in una condizione spazio-temporale metastorica. Nel senso cioè che quella formula, che pur pretende d'essere vera sul piano “fisico”, può riferirsi a una “fisica” di cui l'uomo comune ha ben poco bisogno.
Peraltro Einstein cercò di applicare quella formula anche al livello metafisico, elaborando una propria concezione della relatività.
Si può accorciare il tempo? Si, relativamente, cioè sino a un certo punto. Lo si può fare oggettivamente? No di certo. Se io mi sposto da un fuso orario a un altro, posso accorciare o allungare il tempo, ma è sempre in riferimento al mio tempo iniziale: nessun altro si accorgerà di questo mutamento.
Il tempo non dipende unicamente dalla nostra percezione soggettiva: esso ha una propria oggettività il cui significato ultimo, per il momento, ci sfugge, poiché tutti noi siamo suoi “figli” e suoi “padri”. Come non riusciamo a vedere l'inizio del tempo, così non ne vediamo la fine.
Non esiste un punto di riferimento preciso che non sia la nostra nascita personale, che peraltro non è dipesa da noi. Noi non possiamo prendere come punto di riferimento neanche la nostra morte, al fine di chiudere, con un segmento, i due punti della nostra vita.
L'unico tempo veramente oggettivo che possiamo esaminare è quello degli altri che ci hanno preceduti e che sono morti. Noi ci dobbiamo rapportare a questi morti (coltivando una forte memoria storica) e vivere il nostro tempo, conformemente alle sue specifiche esigenze: un tempo (presente) che sicuramente risulterà molto più chiaro a chi verrà dopo di noi. Nessuno può pretendere di vivere oltre il proprio tempo: sono i posteri che devono decidere se in che misura lo meritiamo.
Einstein, se vogliamo, non ha scoperto la quarta dimensione dell'universo, ma ha evidenziato che nell'epoca contemporanea gli uomini hanno una grande angoscia del tempo (che passa). Sempre più infatti ci si chiede che senso abbia lo scorrere del tempo, visto che questo fluire spesso è foriero di immani catastrofi, come ad es. le due guerre mondiali.
Gli esseri umani hanno perso il senso del tempo, proprio perché hanno perso il senso della storia e il significato della loro stessa vita. Gli uomini vorrebbero ridurre a un nulla il tempo, proprio perché sanno che il fluire di questa dimensione implica un'assunzione di responsabilità, cioè il bisogno di aumentare l'impegno personale e collettivo nel cercare di risolvere i problemi dell'umanità.
Il tempo insomma è una dimensione in cui l'uomo deve giocarsi la sua libertà. In un certo senso è il tempo stesso, col suo carattere di unidirezionalità, che costringe l'uomo a tener conto ch'esiste un irreversibile processo in avanti.
Il tempo non è una condizione che ci obbliga, fatalisticamente, a fare determinate cose. E' soltanto una dimensione vincolante, all'interno della quale possiamo muoverci con relativa libertà (la libertà “assoluta”, storicamente parlando, non esiste).
Chi tiene conto del tempo e lo vive in uno spazio adeguato (necessariamente “sociale” e in sintonia con le esigenze della società), non resta indietro, ma è conforme alla velocità del tempo.
Mettere in rapporto la propria velocità a quella della luce non ha senso per l'uomo di questo mondo. Lo spazio in cui l'uomo deve vivere resta quello euclideo. Il resto è speculazione arbitraria.
Non a caso le teorie di Einstein portano a credere che il tempo, in ultima istanza, non esista, in quanto esiste solo la percezione soggettiva che ne abbiamo. Il tempo è uguale all'eternità e questa è uguale al nulla. Siamo in pieno nichilismo.
Di conseguenza, anche il movimento della massa (o materia) è illusorio, irreale, in quanto -secondo Einstein- non esistono punti di riferimento oggettivi in grado di misurare la velocità della luce.
E così il cerchio si chiude: Einstein è tornato alla fissità astratta di Parmenide e alle assurdità delle ipotesi di Zenone.
Grazie Ideavagante per aver pubblicato integralmente l'articolo di Enrico Galavotti da www.homolaicus.com.
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