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giovedì 6 dicembre 2012

NUOVE ENERGIE NELLA SCUOLA (V)
Domenico Cirillo: slides e intervista


Ricordate questo post?


Lo scrissi il 5 ottobre scorso per informare che il 14 novembre 2012, Domenico Cirillo avrebbe riferito degli ultimi esiti delle proprie ricerche in ambito LENR a San Diego, nel corso del 2012 Winter Meeting & Nuclear Technology Expo dell'American Nuclear Society.

Il 20 novembre, dopo avere sentito Cirillo, lasciai un breve resoconto della sua postiva esperienza oltreoceano nel post "La settimana scorsa a San Diego". Da questo istante è on line la sintesi (in italiano) di quanto riferito da Cirillo ai colleghi statunitensi:


Si tratta di una ventina di slides preparate per essere presentate al convegno dell'IIS Pirelli di martedì scorso (vedi web-cronaca); ma in quella sede non c'è stato tempo di mostrarle. Così come non c'è stato tempo di dare lettura dell'intervista che segue, rilasciata in esclusiva da Domenico Cirillo agli studenti dell'istituto Romano.

***

Da quali presupposti è partito? 


I presupposti che da cui sono partito e che mi hanno fatto concentrare sullo studio del plasma elettrolitico sono curiosità e interesse ad esplorare un fenomeno nuovo e poco noto. Da quei presupposti si è sviluppata un’articolata attività sperimentale che, fra prove, errori, modellazioni e correzioni, mi ha dato la possibilità di poter misurare evidenze inattese, di un fenomeno nuovo. 

Qual è la configurazione della cella? 


La cella da cui siamo partiti era costituita da catodo in tungsteno e anodo in grafite. Poi negli anni abbiamo ottimizzato questo schema aggiungendo dettagli e migliorando le condizioni di sperimentazione, i materiali, le soluzioni, ma la configurazione resta molto vicina a quella base. Un catodo, un anodo e una soluzione elettrolitica. 

Quale percorso operativo porta all’accensione del plasma? 


La cella al plasma è una cella elettrolitica. Il percorso sperimentale che porta all’accensione del plasma comincia sempre da condizioni elettrolitiche convenzionali. Il plasma si innesca quando le condizioni di alimentazione elettrica della cella escono dai limiti della elettrochimica convenzionale. Temperatura e conducibilità della cella, tensione di alimentazione, sono parametri chiave per differenziare il funzionamento elettrochimico dal funzionamento a plasma. 
Quando la densità di corrente al catodo supera una certa soglia (dipendente dalle caratteristiche del sistema), basta un minimo stimolo per attivare un fenomeno ‘a valanga’, ossia la ionizzazione dei gas presenti e tutti i fenomeni che ne sono generati. 

Come si possono schematizzare i fenomeni che avvengono al catodo? 


I fenomeni catodici che si determinano quando si raggiunge l’innesco del plasma sono molti e molto peculiari. Ne faccio giusto cenno perché, data la complessità del tutto, verrebbe fuori una risposta troppo prolissa. 
Il primo fenomeno è la formazione di un certo numero di ioni idrogeno ed elettroni (oltre ad altre specie) che, grazie al campo elettrico presente e alla conduzione elettrica della soluzione, resta stabile, mediamente, ed è in qualche modo gestibile controllandone la tensione dall’esterno. Quindi un plasma in soluzione elettrolitica. 
La presenza di questo plasma di ioni ed elettroni in prossimità del tungsteno, a sua volta fa da innesco a fenomeni ancora in fase di studio che si misurano solo se si raggiunge lo stato di plasma e solo se tale plasma ha determinate caratteristiche. 
I primi risultati sperimentali mostrano che un ruolo importante nella produzione di questi fenomeni nuovi è dato, oltre che dai parametri del plasma, dalle imperfezioni cristallografiche del tungsteno usato come catodo. Occorre la concomitanza di tali ‘imperfezioni’ e di ioni idrogeno, unite alle oscillazioni del campo elettromagnetico che si generano nel plasma, per dare luogo a condizioni sperimentali i cui risultati sembrerebbero richiedere interpretazioni fisiche nuove e inattese. 
Dalle evidenze sperimentali sembrerebbe che, se il mix di condizioni è rispettato, dal plasma e dalle sue oscillazioni, si possano innescare fenomeni nucleari di nuovo tipo, aventi il loro nucleo attorno alla generazione di neutroni lenti. 

L’accensione del plasma risulta anche, oltre che visivamente, anche da rilevazioni elettriche? 


L’innesco del plasma elettrolitico è misurabile facilmente attraverso due rilevazioni di base. 
La prima, più semplice e immediata, è la misura della corrente di alimentazione della cella. Attraverso questa misura e dalla forma del grafico della corrente e della tensione nel tempo, si può riconoscere l’istante esatto attraverso in cui il comportamento elettrico della cella cambia. La corrente assorbita crolla drasticamente e le condizioni di scarica (che porterà allo stato di plasma) cominciano a essere riconoscibili dall’osservazione della luminosità del catodo. La luminosità tuttavia è un parametro relativo, che dipende dal tipo di soluzione e dai cationi impiegati. 
La seconda rilevazione è quella relativa alla variazione dello spettro elettromagnetico ambientale. Dotandosi di analizzatore di spettro o strumento analogo è possibile riconoscere frequenze elettromagnetiche tipiche, dapprima nell’ordine delle decine di megahertz, successivamente nelle centinaia di megahertz. 

Come sono collocati gli strumenti di misura? 


Fare misure e rivelazioni mentre il plasma è attivo è un lavoro estremamente complesso e richiede un allestimento meticoloso. Il plasma è di per sé una sorgente di ‘rumore elettromagnetico’ che va conosciuto, analizzato, gestito e filtrato. Ogni misura deve presentare almeno una ridondanza di confronto, per essere certi che ciò che si sta misurando lo si sta misurando correttamente e non sia un falso positivo generato dai disturbi elettromagnetici. Questo aspetto è un problema assai complesso visto che l’assoluta maggioranza degli strumenti di misura utilizzati oggi è di natura elettronica. Il limite non è la collocazione degli strumenti di misura, quanto piuttosto la loro gestione in termini di immunità ai disturbi elettromagnetici. 
Accostare strumenti di tipo analogico a quelli di tipo elettronico/digitale è norma necessaria. 
Tarare le misure e filtrarle in modo opportuno è assolutamente necessario. 
Per tale motivo, nel team di ricerca, è presente un gruppo dedicato a questo genere di controlli e misure. 

Come funziona il rilevatore di neutroni? 


Esistono diversi tipi di rilevatori di neutroni, a scintillazione, tipo Geiger-Muller e altri, che sfruttano reazioni nucleari in cui sono coinvolti i neutroni. 
Nel rilevatore tipo Geiger Muller con elio3 si sfrutta l’elevata sezione d’urto dell’elio3 nei confronti dei neutroni termici (per ‘sezione d’urto’ si intende, semplificando molto, ‘attitudine a reagire’) per generare trizio e protoni in grado di attivare la misura nel tubo a gas. 
Nel rilevatore a scintillazione un neutrone reagisce con l’elemento ‘scintillatore’ (che può essere di vario tipo, ma sempre sensibile ai neutroni) che emette un fotone di un certo tipo. Tale fotone è rilevato da un fotomoltiplicatore che ‘amplifica’ il segnale del fotone e lo rende rilevabile. 
Oltre questi, vi sono altri sistemi che sono in grado di rilevare i neutroni. Tutti questi dispositivi però non sempre sono ‘immuni’ ai disturbi elettromagnetici generati dal plasma anzi, molto spesso, non sono progettati per misurare nelle condizioni di elevato disturbo presentate dal plasma. 
Tuttavia, in soccorso delle misure, esistono anche metodi di rilevazione dei neutroni di tipo ‘indiretto’. Tramite questi metodi è possibile eseguire misure senza l’ausilio di strumenti elettrici o elettronici, evitando quindi misure errate dovute ai disturbi elettromagnetici. A tale scopo esistono dosimetri di vario tipo, metodi di attivazione… in tutti questi metodi si pone il mezzo ‘sensibile’ ai neutroni in presenza degli stessi e, successivamente, a plasma spento, si analizza tale parte sensibile per vedere se c’è stata emissione di neutroni oppure no. 
Onde poter aggirare il problema dei disturbi elettromagnetici, negli ultimi esperimenti che abbiamo eseguito in merito alla rilevazione dei neutroni, siamo ricorsi a metodi di tipo indiretto, utilizzando le proprietà del CR39 di essere sensibile alle particella alfa e del Boro10, isotopo con elevata sezione d’urto nei confronti dei neutroni termici e che, dall’interazione con essi, genera una reazione nucleare con emissione di particella alfa. 
Con tale metodo è stato possibile aggirare il problema dei disturbi elettromagnetici e misurare una probabile attività di emissione di neutroni da parte del plasma. 

Come sono state fatte le calibrazioni e le misurazioni? 


Le calibrazioni degli strumenti di misura di tipo elettrico/elettronico sono operazioni che spesso vengono eseguite dagli stessi fornitori degli strumenti di misura che, a periodi ben definiti e scadenzati, controllano e aggiornano gli strumenti da loro prodotti. 
Riguardo le misure calorimetriche, le tarature vengono eseguite in fase di collaudo e, di norma, ad ogni test. Dapprima si eseguono misure ‘bianche’ con sistemi noti dei quali si controlla la conformità coi dati delle strumentazioni. Successivamente si esegue un test innescando il plasma, valutando i risultati in uscita sempre in relazione a quanto ha fornito il test ‘bianco’. 
Per la calibrazione del sistema dosimetrico (indiretto) impiegato per la rilevazione dei neutroni, si è prima sottoposta una famiglia di campioni a un flusso noto di neutroni termici, caratterizzandoli per tempi e flusso. In seguito si sono usati i dati provenienti dai dosimetri per dare una misura a quelli provenienti dal plasma, tramite confronto. 

Quali le conclusioni? 


Le conclusioni a cui siamo pervenuti in questi anni, più che conclusioni sembrano delineare un nuovo inizio. 
Dagli esperimenti condotti sulle celle al plasma elettrolitico emerge una serie di anomalie in termini di trasmutazioni nucleari, emissioni di neutroni e, talvolta, anomalie calorimetriche che richiedono certamente approfondimento. Approfondimento per capirne l’entità, il peso, per caratterizzarne al meglio i parametri e, non ultimo, scovare possibili errori o abbagli. 
Il percorso che presenta una ricerca di questo genere è complesso e pieno di insidie. Il futuro non è noto. Occorre sperimentare, misurare, concentrandosi sul problema. 
Al momento, i risultati sperimentali emersi mostrano che c’è ancora molto da scoprire e da caratterizzare attorno a questo fenomeni e i primi indizi emersi, se non smentiti, delineano un panorama di indagine estremamente interessante e inatteso. 

8 : commenti:

bertoldo ha detto...

Fondamentalmente quello che ancora non hanno capito gli studiosi è come intrappolare l'eccesso che viene dall'etere .In un tubo di gray questo eccesso viene bloccato con dei diodi e l'energia in surplus viene trasformata direttamente in energia elettrica senza bisogno di altro .Ovvio che non si critica la ricerca di base ma se si vuole arrivare in fretta ad un risultato la strada è già tracciata .

comRED ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=6HemVHo99SY

Mahler ha detto...

Scusate l'OT. Ma visto che in questo blog si è parlato molto di origine-della-vita/evoluzione e visto che non avevo mai avuto il tempo per soffermarmici con la dovuta calma, per chi fosse interessat@, nel blog di Franchini (dove sono in moderazione perenne) ho postato un lungo e diffuso commento che espone il mio punto di vista sull'argomento.
Saluti (e scusate di nuovo per l'OT).

Mahler ha detto...

@bertoldo

> Fondamentalmente quello che ancora non hanno capito gli studiosi è come intrappolare l'eccesso che viene dall'etere.

Meno male che ci stai te a spiegarglielo allora!

bertoldo ha detto...

almeno potevi riportare il commento completo e dire la tua sultubo di gray .Da perfetto disinformatore hai evitato di dover scendere in particolari limitandoti alle tecniche suggerite in "come screditare proprio tutto" .

bertoldo ha detto...

Per tua informazione poi ...ogni cosa che ho riportato si è puntualmente verificata .Prima di parlare taci .

tia_ ha detto...

>Prima di parlare taci

Bertoldo, tutti tacciono prima di parlare

bertoldo ha detto...

ottima deduzione .

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