Come ho scritto da poco (Il Natale è un germoglio di Primavera), ho sempre considerato i giorni che vanno dal solstizio d'inverno al capodanno un momento propizio alla consapevolezza e a piantare propositi e semi per l'anno nuovo. Del resto un'amica mi ha fatto notare che un anno fa, in occasione della salita in Cielo di Eluana Englaro, spiegai che il segno del Capricorno, la cui energia permea queste settimane, ha la simbologia di una vera e propria "porta" che connette Terra e Cielo. Forse abbuffate, tombolate e giochi, sono un trucco demoniaco per remare contro questa possibilità di apertura e crescita.
Veniamo a quello a cui sto pensando da un po' di giorni. Ogni anno che passa mi trovo faccia a faccia coi limiti sempre meno vasti della mia memoria. Incontro spesso persone che mi riconoscono e che io non riconosco. Gli amici mi raccontano per filo e per segno cose che ho fatto, detto e scritto, ma che io non ricordo. E in tutto ciò mi resta la sensazione strana che il ricordo in effetti c'era e ora è scomparso, come sfogliassi un libro a cui molte pagine sono state strappate e mi restassero, visibili, soltanto i loro lembi, strappati a filo della rilegatura.
Sin da adolescente notavo come i miei compagni di scuola si portassero dietro una "storia personale" di anno in anno più voluminosa e io soprattutto un presente: un po' la differenza che c'è tra un libro e una canzone, o tra un rotolo di carta che spira su spira diventa sempre più voluminoso e un disco che resta in dimensione sempre uguale a se stesso.
E questo spiega perché quando conosco qualcuno mi trovo sempre un po' spiazzato a rispondere alle domande su di me, mentre molto più volentieri ascolto le sue esperienze di vita. Perché per me è importantissimo scrivere: mi serve a conservare ricordi che altrimenti perderei per sempre. Perché ogni volta che prendo la chitarra in mano è come se dovessi imparare a suonarla da capo: solo alcune partiture sono sempre a portata di esecuzione delle mie dita, tante altre che sapevo suonare benissimo sono completamente obliate. Perché anche se canto una canzone centinaia di volte, continuo a dimenticarne le parole se non ho lo spartito sotto gli occhi.
Siccome parto dal presupposto (o se volete dalla consolazione) che ogni "handicap" cela la contropartita di un dono - come Steveland Hardaway Judkins, nato cieco, che sin da bambino diventa il grande musicista Steve Wonder - mi chiedo in cosa possa aiutarmi a vivere il fatto di essere così poco zavorrato di memoria. Se dimenticassi solo le cose spiacevoli sarebbe fantastico, ma scordo in uguale misura i ricordi belli e quelli brutti. E spesso, essendo la scia che mi lascio alle spalle così poco persistente nei miei ricordi, io stesso devo fermarmi un attimo a ricordarmi chi sono, cosa desidero, cosa cerco.
Per me è facile, persino troppo facile, far tacere la mente. Da quando l'ho capito mi aspetterei che libero del rumore di fondo dei pensieri possa udire qualcosa di più sottile e lontano. Va bene, qualche poesia è arrivata così, ma troppe poche.
Insomma se sulla carta, avere pochi pensieri potrebbe essere un vantaggio, a livello di vita quotidiana, sociale e lavorativa, finora non mi ha aiutato per nulla, anzi mi complica sempre più ogni mia attività.
Se dovessi chiedere al 2010 una sola cosa, ancora più dell'amore, chiederei di trovare una strada in cui quel che più manca è la vera "ricchezza". Tutto il resto conseguirebbe.
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