POSTATO DA BETTY
Un giorno una persona, cercando di descrivermi con una parola, mi definì una “realizzatrice”… Fu la prima volta in cui mi sentii descrivere così. Rimasi profondamente colpita. Chi come me non ha il dono della sintesi si sorprende che con una sola parola si possa esprimere un mondo, rendere così semplice, tangibile e comprensibile ciò che è difficile da interpretare: è una scoperta che lì per lì sconcerta, poi sbalordisce e infine, se viene "metabolizzata", lascia un segno indelebile e la gioia di aver colto un ulteriore tassello del senso del nostro passaggio.
L’intervento di Daniele Non passerò più per questa strada - l'argomento che tratta, l’uso di alcune parole… - è un altro di quei segnali che mi colpiscono, inaspettato, eppure così in sintonia con tanti riferimenti personali di questi giorni, di queste ore. Avevo promesso a Daniele che presto avrai parlato di un argomento a me caro, la sincronicità ma non sapevo ancora quando, cosa mi avrebbe ispirata... Poi ho letto quel “post” che parte dalla citazione di un missionario quacchero di cui non avevo mai sentito parlare... Proprio la sera prima, tra amici, dicevo le stesse cose, usavo le stesse parole! Così faccio un volo concettuale e cerco di convogliare i due argomenti – l'unicità della strada e la sincronicità - in uno solo, poiché li sento profondamente uniti.
Credo che la sincronicità con cui ci accadono certi eventi e la capacità di saperli decodificare, sia strettamente legata proprio all’unicità di ogni vita. “Non passeremo mai più per questa strada”. Non accadrà più la medesima coincidenza. Se non sapremo captare i messaggi criptati nell’intreccio del “romanzo” della nostra vita, quella strada l’avremo già percorsa, saremo giunti alla sua fine con passi distratti e frettolosi, senza impegnarci e godere la qualità del cammino. Perché aggirare gli ostacoli senza affrontarli? cercare scorciatoie o vie dimezzo? accantonare opportunità che si presentano adesso? Perché idealizzare un’altra vita, passata o futura, per giustificare il nostro cattivo operato o rivalerci sulla presunta ingiustizia che nel presente non ci permette di realizzarci ed essere felici?
La citazione di Grellet mi ricorda un libro molto caro, che lessi rapita, tanti anni fa “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera. Ne cito un piccolo brano per spiegare il nesso tra “strada” e “trama di vita”: “Non si può quindi rimproverare al romanzo di essere affascinato dai misteriosi incontri di coincidenze (…), ma si può a ragione rimproverare all’uomo di essere cieco davanti a simili coincidenze nella vita di ogni giorno, e di privare così la vita della sua dimensione di bellezza”.
La vita di ognuno di noi si fonda sul raccontare. I bambini, per esempio, vivono in un mondo di storie e le raccontano. Noi tutti raccontiamo costantemente qualcosa. Lo scrittore, come dice Kundera, scrive un romanzo, ma in fondo quale differenza vi è concretamente tra il romanzo e noi? Quando sogniamo, per esempio, non raccontiamo forse una storia? E se di quel sogno, non fossimo gli autori, ma fossimo davvero il personaggio? Come potremo sapere se in quella storia ci stiamo o se quella storia la raccontiamo? Soltanto qualcuno, qualcosa inseritosi da fuori potrebbe dare al personaggio (ipoteticamente ognuno di “noi) il significato della storia che sta vivendo. Un tale evento, per quanto straordinario, non basterebbe da solo, dovrebbe appartenere alla storia stessa, avere un significato in rapporto ai suoi personaggi, alla sua trama, al suo inizio e alla sua fine.
Ogni giorno ci accadono eventi che chiamiamo coincidenze. Alcune, quelle che definiamo “semplici coincidenze”, non ci toccano né emotivamente né intellettualmente. Altre, più rare, sono tanto “accidentali” quanto profondamente significative per l’intreccio della nostra storia. La loro sostanziale caratteristica è la “sincronicità”: riflettono la nostra condizione interiore con tale precisione da impedirci d’ignorarne l’impatto e negarne la rilevanza. Gli eventi sincronistici - se riconosciuti, accettati, decodificati - ci costringono a prendere atto, talvolta, che le storie che raccontiamo sul nostro conto non sono necessariamente quelle che siamo destinati a vivere. E infatti, spesso, si trova forte resistenza nel voler riconoscere gli elementi che sarebbero stati parte importante dell’ “intreccio”, li lasciamo indietro su quella “strada”.
C'è chi s'inquieta a riconoscere il parallelismo tra l’improbabilità di un evento e il suo sconcertante collegamento con la nostra condizione interna. Jung definiva le sincronicità “sequenze accidentali e significative ma tra loro collegate di eventi insoliti”. A qualcuno potranno sembrare stupidaggini, pure casualità, ma l’importanza sta nel significato che acquisiscono nella nostra storia, lungo la nostra strada e l’effetto che possono avere, qui e ora, se le captiamo e ne realizziamo il significato. Robert Hopcke, nel libro “Nulla succede per caso” riassume le caratteristiche degli eventi sincronistici così: “In primo luogo essi sono collegati in modo acasuale, e non grazie a una catena di cause ed effetti in cui un individuo possa riconoscere il frutto di una decisione intenzionale. In secondo luogo il loro verificarsi è sempre accompagnato da una profonda esperienza emotiva che di solito si manifesta contemporaneamente all’evento. In terzo luogo il contenuto dell’esperienza sincronistica, ciò che l’evento è, ha un carattere invariabilmente simbolico che è quasi sempre, come ho scoperto, legato al quarto aspetto: queste coincidenze si verificano in concomitanza con cambiamenti di vita importanti. Molto spesso un evento sincronistico segna una svolta nelle storie della nostra esistenza.”
Ho scoperto e sperimentato, nel corso d’importanti frangenti di vita, la misteriosa naturalezza, il tempismo, la coincidenza con cui gli eventi esterni s'intrecciano alla nostra condizione interna, proprio nel corso di momenti di transizione, quando si è (a volte ancora inconsapevolmente) sulla soglia di un nuovo modo di essere. Riconoscere che la mia “storia” contiene molti più elementi di quelli che credevo e che anche quelli apparentemente più negativi fanno parte della trama dell’esistenza, mi ha permesso di sentirmi appartenente ad una più grande totalità, ricordandomi la preziosità di due caratteristiche esclusivamente umane: sentire e immaginare. Viviamo una vita pianificata, rigidi dentro schemi, scopi, destini, ruoli prefissati? Ci sembra che tutto sia già segnato e incontrovertibile? Ci rammarichiamo che “questa vita ormai è così”? Ci consoliamo dicendo che “prima” di questa vita già eravamo stati (o che “dopo” questa saremo) ciò che qui e ora nemmeno proviamo a realizzare? pure quando incrociamo “coincidenze” che portano in sé significati così significanti che è quasi impossibile non vedere? La sincronicità ci ricorda che le nostre vite sono organizzate, consciamente o meno, come una storia, possiedono una loro coerenza, direzione, ragione d’essere, una loro bellezza, e che in fondo ogni storia può potenzialmente essere un’opera d’arte.
Un giorno una persona, cercando di descrivermi con una parola, mi definì una “realizzatrice”… Fu la prima volta in cui mi sentii descrivere così. Rimasi profondamente colpita. Chi come me non ha il dono della sintesi si sorprende che con una sola parola si possa esprimere un mondo, rendere così semplice, tangibile e comprensibile ciò che è difficile da interpretare: è una scoperta che lì per lì sconcerta, poi sbalordisce e infine, se viene "metabolizzata", lascia un segno indelebile e la gioia di aver colto un ulteriore tassello del senso del nostro passaggio.
L’intervento di Daniele Non passerò più per questa strada - l'argomento che tratta, l’uso di alcune parole… - è un altro di quei segnali che mi colpiscono, inaspettato, eppure così in sintonia con tanti riferimenti personali di questi giorni, di queste ore. Avevo promesso a Daniele che presto avrai parlato di un argomento a me caro, la sincronicità ma non sapevo ancora quando, cosa mi avrebbe ispirata... Poi ho letto quel “post” che parte dalla citazione di un missionario quacchero di cui non avevo mai sentito parlare... Proprio la sera prima, tra amici, dicevo le stesse cose, usavo le stesse parole! Così faccio un volo concettuale e cerco di convogliare i due argomenti – l'unicità della strada e la sincronicità - in uno solo, poiché li sento profondamente uniti.
Credo che la sincronicità con cui ci accadono certi eventi e la capacità di saperli decodificare, sia strettamente legata proprio all’unicità di ogni vita. “Non passeremo mai più per questa strada”. Non accadrà più la medesima coincidenza. Se non sapremo captare i messaggi criptati nell’intreccio del “romanzo” della nostra vita, quella strada l’avremo già percorsa, saremo giunti alla sua fine con passi distratti e frettolosi, senza impegnarci e godere la qualità del cammino. Perché aggirare gli ostacoli senza affrontarli? cercare scorciatoie o vie dimezzo? accantonare opportunità che si presentano adesso? Perché idealizzare un’altra vita, passata o futura, per giustificare il nostro cattivo operato o rivalerci sulla presunta ingiustizia che nel presente non ci permette di realizzarci ed essere felici?
La citazione di Grellet mi ricorda un libro molto caro, che lessi rapita, tanti anni fa “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera. Ne cito un piccolo brano per spiegare il nesso tra “strada” e “trama di vita”: “Non si può quindi rimproverare al romanzo di essere affascinato dai misteriosi incontri di coincidenze (…), ma si può a ragione rimproverare all’uomo di essere cieco davanti a simili coincidenze nella vita di ogni giorno, e di privare così la vita della sua dimensione di bellezza”.
La vita di ognuno di noi si fonda sul raccontare. I bambini, per esempio, vivono in un mondo di storie e le raccontano. Noi tutti raccontiamo costantemente qualcosa. Lo scrittore, come dice Kundera, scrive un romanzo, ma in fondo quale differenza vi è concretamente tra il romanzo e noi? Quando sogniamo, per esempio, non raccontiamo forse una storia? E se di quel sogno, non fossimo gli autori, ma fossimo davvero il personaggio? Come potremo sapere se in quella storia ci stiamo o se quella storia la raccontiamo? Soltanto qualcuno, qualcosa inseritosi da fuori potrebbe dare al personaggio (ipoteticamente ognuno di “noi) il significato della storia che sta vivendo. Un tale evento, per quanto straordinario, non basterebbe da solo, dovrebbe appartenere alla storia stessa, avere un significato in rapporto ai suoi personaggi, alla sua trama, al suo inizio e alla sua fine.
Ogni giorno ci accadono eventi che chiamiamo coincidenze. Alcune, quelle che definiamo “semplici coincidenze”, non ci toccano né emotivamente né intellettualmente. Altre, più rare, sono tanto “accidentali” quanto profondamente significative per l’intreccio della nostra storia. La loro sostanziale caratteristica è la “sincronicità”: riflettono la nostra condizione interiore con tale precisione da impedirci d’ignorarne l’impatto e negarne la rilevanza. Gli eventi sincronistici - se riconosciuti, accettati, decodificati - ci costringono a prendere atto, talvolta, che le storie che raccontiamo sul nostro conto non sono necessariamente quelle che siamo destinati a vivere. E infatti, spesso, si trova forte resistenza nel voler riconoscere gli elementi che sarebbero stati parte importante dell’ “intreccio”, li lasciamo indietro su quella “strada”.
C'è chi s'inquieta a riconoscere il parallelismo tra l’improbabilità di un evento e il suo sconcertante collegamento con la nostra condizione interna. Jung definiva le sincronicità “sequenze accidentali e significative ma tra loro collegate di eventi insoliti”. A qualcuno potranno sembrare stupidaggini, pure casualità, ma l’importanza sta nel significato che acquisiscono nella nostra storia, lungo la nostra strada e l’effetto che possono avere, qui e ora, se le captiamo e ne realizziamo il significato. Robert Hopcke, nel libro “Nulla succede per caso” riassume le caratteristiche degli eventi sincronistici così: “In primo luogo essi sono collegati in modo acasuale, e non grazie a una catena di cause ed effetti in cui un individuo possa riconoscere il frutto di una decisione intenzionale. In secondo luogo il loro verificarsi è sempre accompagnato da una profonda esperienza emotiva che di solito si manifesta contemporaneamente all’evento. In terzo luogo il contenuto dell’esperienza sincronistica, ciò che l’evento è, ha un carattere invariabilmente simbolico che è quasi sempre, come ho scoperto, legato al quarto aspetto: queste coincidenze si verificano in concomitanza con cambiamenti di vita importanti. Molto spesso un evento sincronistico segna una svolta nelle storie della nostra esistenza.”
Ho scoperto e sperimentato, nel corso d’importanti frangenti di vita, la misteriosa naturalezza, il tempismo, la coincidenza con cui gli eventi esterni s'intrecciano alla nostra condizione interna, proprio nel corso di momenti di transizione, quando si è (a volte ancora inconsapevolmente) sulla soglia di un nuovo modo di essere. Riconoscere che la mia “storia” contiene molti più elementi di quelli che credevo e che anche quelli apparentemente più negativi fanno parte della trama dell’esistenza, mi ha permesso di sentirmi appartenente ad una più grande totalità, ricordandomi la preziosità di due caratteristiche esclusivamente umane: sentire e immaginare. Viviamo una vita pianificata, rigidi dentro schemi, scopi, destini, ruoli prefissati? Ci sembra che tutto sia già segnato e incontrovertibile? Ci rammarichiamo che “questa vita ormai è così”? Ci consoliamo dicendo che “prima” di questa vita già eravamo stati (o che “dopo” questa saremo) ciò che qui e ora nemmeno proviamo a realizzare? pure quando incrociamo “coincidenze” che portano in sé significati così significanti che è quasi impossibile non vedere? La sincronicità ci ricorda che le nostre vite sono organizzate, consciamente o meno, come una storia, possiedono una loro coerenza, direzione, ragione d’essere, una loro bellezza, e che in fondo ogni storia può potenzialmente essere un’opera d’arte.
4 : commenti:
Grazie Betty, un ottimo e originale modo di introdurre la sincronicità Jungiana... però devi impegnarti di più a lavorare sulla sintesi: non è un dono innato bensì una qualità che si può senz'altro imparare! :-)
Ne approfitto per introdurre la nuova etichetta "sotto il velo di Maya" (penso che l'aggiungerò anche a qualche post già scritto): per parlare di come psicologie, filosofie, religioni insegnano a vedere al di là delle apparenze o meglio ancora di come ognuno di noi traduce frammenti di questi "saperi" in atteggiamenti e comportamenti concreti.
Ognuno nella propria esperienza soggettiva ha potuto constatare strane coincidenze che risaltano per l'elevato contenuto simbolico e di significato che hanno presentato relativamente all'esperienza stessa del soggetto.
Quando si parla di sincronicita' viene spontaneo far riferimento ad eventi legati da un filo misterioso che non puo' essere spiegato in termini di causa e effetto.
Il concetto di sincronicita', difficilmente accettabile in una concezione scientifica occidentale, e' particolarmente caro alle concezioni filosofiche orientali e nella filosofia antica.
Alcune pratiche esoteriche considerano il principio di sincronicita' come ovvio e sottinteso, per esempio l'astrologia.
Il concetto di sincronicita' viene interpretato come una modalita' di funzionamento dei processi conoscitivi della mente: la tesi consiste nell'osservare come tutti i processi conoscitivi si basino sulla coincidenza di segni che poi divengono significativi tramite un processo di selezione che ne sottolinea la pertinenza. Sostanzialmente il cervello funziona come un potente selezionatore di coincidenze e quindi le sincronicita' acquistano una particolare rilevanza per le funzioni conoscitive.
Il passaggio successivo consiste nell'ipotesi che il principio di sincronicita' abbia una propria consistenza nel mondo reale meccanusmi propri che sono stati individuati tramite gli studi di intelligenza artificiale. Tali modelli di strutturazione dei processi cognitivi vengono costantemente messi in rapporto con il principio di sincronicita'.
Le sincronicità sono caratterizzate dall'unione di universale e particolare che si realizza in una coincidenza di fatti.
L'essenza dell'universo viene anche rilevata in campo scientifico, in cui strutture, simmetrie e leggi matematiche fungono da elementi di interconnessione fra numerosi fatti specifici. La scienza ha convenzionalmente accettato che tali leggi matematiche siano in natura puramente descrittive; è, tuttavia, possibile che al di là dei fenomeni del mondo materiale vi sia un ordine generativo e formativo chiamato intelligenza oggettiva.
È possibile che al di sotto della coscienza e dell'inconscio personale freudiano esista un livello mentale collettivo e universale.
A questo proposito Jung sostiene l'esistenza di un inconscio collettivo. Esattamente come le particelle elementari sono supportate da una danza che trascende il mondo materiale, la mente esiste grazie alla dinamica presente ad un livello più profondo.
Al di là della mente e della materia vi sono strutture e simmetrie che hanno effetti generativi e stimolatori. Durante una sincronicità è possibile, per un istante, sfiorare questi livelli profondi.Nella congiunzione di coincidenze è racchiuso qualcosa di veramente universale, che tocca l'essenza della creazione e dei ritmi basilari dell'esistenza.
Le particelle elementari hanno una conoscenza dello stato occupato da altre particelle,come è possibile che questa interazione avvenga, su quali canali informativi si basa?
Quale potrebbe essere il lato obiettivo di una "correlazione acausale"?
Si può ipotizzare che una struttura relativa ad esperienze interiori ed esteriori può scaturire da un ordine comune a entrambe.Le sincronicità originano in un sostrato che giace a un livello più profondo rispetto a quello delle categorie di conoscenza e sfida ogni tentativo di porre limiti e divisioni mentali fra i vari settori dell'esperienza. In altri termini le sincronicità sono manifestazioni nella mente e nella materia, di un sostrato sconosciuto che le origina.
È probabile che esistano degli ordini analoghi sia nella coscienza che nella materia.Il parallelismo riscontrabile fra aspetti oggettivi e soggettivi non scaturirebbe da connessioni causali, ma da una dinamica nascosta comune a entrambi. Le sincronicità ci sfidano a tentare la costruzione di un ponte con un'estremità saldamente radicata nell'obiettività della scienza e con l'altra ancorata, invece, nella soggettività dei valori personali.
La semplice osservazione di due oggetti o due azioni, in qualche modo correlati, non può implicare un'idea di potere o di connessione causale esistente fra loro.
Se osserviamo i meccanismi di percezione ci rendiamo conto che, al contrario, è proprio questa la supposizione che viene fatta, ed eventualmente in seguito confutata, dal giudizio intuitivo.
L'osservazione di una coincidenza porta il pensiero intuitivo a creare una connessione tra eventi che esula per significato la contingenza dell'atto osservativo.
Il ragionamento basato sulla concatenazione di elementi causali si basa su alcune convinzioni:
1) Due fatti sono distinti l'uno dall'altro senza alcuna possibilità di dubbio ed hanno esistenza propria come, ad esempio, due corpi dai limiti ben definiti.
2) Contatti, forze o influenze vengono trasmessi da un corpo o da un fatto all'altro.
3) Fra la causa avvenuta nel passato e l'effetto che si verifica nel presente passa chiaramente un certo lasso di tempo.
Viceversa il mondo soggettivo non risponde a queste convinzioni, ma piuttosto:
1) I fatti non sono chiaramente distinti né indipendenti.
2) Non vi è una precisa influenza esercitata da un fatto su di un altro.
3) Il tempo non è lineare né privo di ambiguità.
Finché oggetti ed eventi sono netti e distinguibili, finché le forze sono ben definite e il tempo scorre, collettivamente e senza turbamenti allora la concezione di causalità non crea problemi di sorta.
Ma quando la scienza sonda più a fondo un universo di flussi interiori e di evoluzioni dinamiche, di sottili influenze e criteri cronologici che si intersecano tra loro, le concatenazioni causali non possono più essere analizzate e ricondotte a connessioni lineari di singoli fatti. Il concetto stesso di causalità inizia a vacillare e a perdere un po' della sua efficacia.
La fisica moderna ha modificato la posizione dell'osservatore, non più esterno ai fenomeni ed assolutamente obiettivo ma esso stesso partecipe degli eventi che osserva. L'azione di osservare perturba il sistema quantistico sino al punto che non è più possibile trascurare l'interazione dell'osservatore con il fenomeno osservato.
Le equazioni d'onda che governano il comportamento delle particelle elementari sono rigorosamente deterministiche nella loro formulazione matematica, ma gli eventi che descrivono sono per loro natura statistici, ovvero singolarmente imprevedibili. È difficile riflettere sugli stati e gli eventi mentali, perché questi non possono essere osservati direttamente, e perché non sono affatto cose fisiche e tangibili.
Esiste un punto di vista secondo il quale l'esperienza garantisce una comprensione della vita mentale.
All'inizio il metodo principale di studio delle cognizioni era l'introspezione; si pensava che osservando la propria mente dall'interno fosse possibile scoprire in che modo si svolgono le attività cognitive.
L'introspezione non si è però dimostrata efficace nella comprensione dei processi mentali in genere. Anzitutto, molte delle nostre capacità appaiono del tutto indipendenti dall'esperienza cosciente.
Consideriamo i processi di memoria: non sapete come recuperate i nomi dalla memoria, eppure deve esistere un processo che ha per effetto il recupero delle informazioni dalla memoria. La sensazione che un nome è stato recuperato esattamente deve avere una modalità di conferma a noi del tutto sconosciuta.
Consideriamo il linguaggio: noi comprendiamo il linguaggio parlato, eppure non sappiamo in che modo avvenga la comprensione, anzi non riusciamo nemmeno ad immaginare un algoritmo che produca lo stesso effetto; possiamo definire il processo di comprensione solo sulla base delle risposte e non cosa esso sia in essenza.
L'approccio dell'elaborazione dell'informazione incorpora di solito l'assunzione che ciò che potremmo chiamare "attività mentale" ha luogo nel cervello, e che ogni compito che eseguiamo, ogni decisione che prendiamo, sono effetto dell'attività del cervello di cui si sa ben poco del modo esatto in cui molte funzioni sono realizzate.
Chiedo scusa a Daniele per la prolissità del commento,sono sempre stato affascinato,fin da quando frequentavo l'università e da successivi studi personali,dai principi scientifici del paradigma olistico, il principio d' indeterminazione,la coerenza elettrodinamica e il principio di non-località.
Non devi scusarti Stefano... hai sviluppato ordinatamente un discorso di per sè sterminato - spaziando dalla filosofia alla psicologia, da Jung al cognitivismo, dall'introspezione alla fisica quantistica - cosicché il commento è certo lungo ma non prolisso. Val la pena di leggerlo fino in fondo!
Attenzione Stefano, sul blog vige una regola imperativa: citare sempre la fonte!
Per pura distrazione, immagino, ti sei dimenticato di far presente che il tuo commento è un estratto del libro SINCRONICITÀ - UN PARADIGMA PER LA MENTE - Riflessioni sull'intelligenza artificiale di Oscar Bettelli, "uno dei testi più interessanti sulle nuove frontiere dell'intelligenza artificiale. A che punto è la ricerca cibernetica, la robotica, la personalità virtuale? In un prossimo futuro (non poi tanto lontano) potremo dialogare con il nostro computer come se parlassimo con un amico? quali sono le problematiche da affrontare, sia tecniche che tematiche, a quanti quesiti si è già risposto? Un calcolatore potrà avere "coscienza" dei propri calcoli? avrà emotività? su vari e complessi quesiti Oscar Bettelli (che lavora presso l'Università di Bologna) con questo libro affonda il proprio bisturi rivelando una capacità introspettiva lucida e profonda, ed una preparazione superlativa. Un libro scritto con uno stile lineare, affascinante e che troverà senz'altro ampio riscontro anche verso un pubblico di non specialisti."
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