Alcuni passi intensamente spirituali della grande Emily Dickinson (1830-1886), tra i massimi lirici del XIX secolo, seppure dotata di un linguaggio e un gusto già da XX secolo. Me li ha segnalati l'amica Anna Paola Maestrini e li trovo fantastici per come "risolvono" con pochi semplici versi i temi "annosi" della vita eterna e della Fede in Dio.
La vasta opera omnia di Emily Dickinson - pubblicata quasi interamente postuma - è on line - con testo originale, traduzione italiana e note di Giuseppe Ierolli - su http://www.emilydickinson.it/.
[J 1121 (1868)]
Time does go on -
I tell it gay to those who suffer now -
They shall survive -
There is a Sun -
They dont believe it now -
Il tempo passa -
Lo dico gaia a quelli che soffrono ora -
Sopravviveranno -
C'è un Sole -
A cui essi non credono ora -
[da una lettera a Thomas Wentworth Higginson]
The Sailor cannot see the North, but knows the Needle can.
[da una lettera a Thomas Wentworth Higginson]
The Sailor cannot see the North, but knows the Needle can.
Il marinaio non può vedere il Nord, ma sa che l’Ago può farlo.
3 : commenti:
Mbacke Gadji
La vita eterna dell'animismo
Teorie e credenze della vita infinita
Morire è per gran parte dei popoli africani unirsi alla compagnia dei defunti. Morto vivente è la parola giusta per descrivere questa esistenza al di fuori del mondo fisico. Ciò non toglie il tratto dirompente della morte di fronte al quale l'uomo è del tutto impotente. I familiari di chi parte per la dimora dei defunti non possono aiutarlo a sfuggire dalla morte. I morti si piangono nella comunità animista e si organizzano veglie per attendere l'ultimo sospiro. Anche questo è un segno di impotenza. In alcune società la sepoltura è caratterizzata da lamenti di dolore, mentre in altre il defunto è accompagnato da canti e danze funebri.
Le parole per indicare la morte di una persona sono: "ha raggiunto il regno degli avi"; "se ne è andato", "è giunto alla fine del proprio respiro", concetti che non descrivono una scomparsa nel nulla, né prevedono cambiamenti radicali. La decomposizione del corpo è il principale cambiamento, ma lo spirito passa ad uno o più stadi di esistenza.
La morte per le popolazioni animiste africane è più vicina all'idea di un viaggio, al raggiungimento di un luogo, che alla scomparsa nel nulla o nel regno di un dio.
C'è chi crede alla netta separazione di questo luogo dal mondo dei viventi relegando l'aldilà dentro il fiume, dietro la collina, o in un altro luogo ostile, difficile da abitare per gli esseri umani. Il fiume e gli altri elementi della natura sono considerati soggetti spirituali, quindi assimilabili alla dimora dei morti viventi.
In alcune comunità invece un solo mondo unisce i viventi e i morti viventi. Nella prima di queste concezioni il morto compie un viaggio, arduo (si suppone) che richiede una preparazione adeguata. I defunti di queste comunità vengono seppelliti con strumenti che alludono alla sopravvivenza. Oltre al cibo da poter mangiare e alle coperte per le intemperie, si portano anche armi per la difesa personale, che potrebbero essere utili a compiere la famosa traversata, che come ogni traversata di un fiume o di una collina può essere sempre insidiosa.
Per le comunità che non preconizzano luoghi diversi d'esistenza fra i vivi e i morti viventi la sepoltura può essere in un cimitero fuori dei confini del villaggio per consentire ai defunti intimità e pace, oppure avvenire all'interno e in mezzo alle case dove i defunti hanno sempre vissuto. In questo modo di rapportarsi con la morte i vivi dimostrano di non gradire il cambiamento imposto dalla morte, ricercando una continuità maggiore fra questi due stati.
L'idea che tutti gli elementi della Natura abbiano un'anima e una esistenza eterna è il fondamento della credenza animista. Il cambiamento avvenuto con la morte non impedisce di sperare che i defunti continuino a vivere con noi e fra di noi. Nelle società che ammettono la sepoltura dei morti dentro i limiti delle abitazioni, il fondamento della vita spirituale è che i morti rimangono tali e quali erano da vivi. Le tombe sono guarnite e attrezzate per permettere questa continuità. Al capo villaggio, al capo spirituale al guerriero e a tutti gli altri membri della comunità dei defunti, la sepoltura e la tomba stessa preparano ad entrare nel mondo degli spiriti secondo il ruolo che avevano da vivi.
La religione animista africana non prevede alcun Giudizio dopo la morte. La morte è un prolungamento della vita in uno o più stati, o al limite un impegno fuori dei confini del mondo. Ciò non significa che si muore volentieri o che i defunti vengano considerati fortunati. Il motivo di serenità di fronte alla morte è l'idea di eternità e di vita nell'aldilà dei defunti. In vita l'animista onora il suo patto con gli elementi della Natura per trarne beneficio qui, e non altrove. Il bene e il male che regolano i nostri rapporti con tutto e tutti non si giudicano dopo la morte, ma immediatamente. La convinzione è che a chi semina il male, la legge degli uomini o quella, più ampia, della Natura, non tarderà a presentare il conto.
Per i defunti animisti non sono previsti né ribaltoni né sconvolgimenti notevoli nell'aldilà, l'esistenza nella vita spirituale è acquisita. Per la comunità la questione è quando e come arrivare nel regno degli spiriti e poi entrare nella vita eterna o diventare un grande spirito.
Alcuni comportamenti delle comunità invocano un ritorno alla vita, in altre parole, una reincarnazione. Nell'animismo non vi sono tracce sostanziose o teorie chiare sul concetto di reincarnazione dei defunti. L'esempio di qualche comunità con pratiche specifiche può far pensare all'idea di un bisogno di reincarnazione, anche se parziale. I nomi dei nuovi "arrivati", dei neonati, dedicati ai defunti potrebbero lasciar intendere una invocazione al ritorno dei propri morti. Dopo un periodo passato a vivere da spiriti, vale a dire una realizzazione dello spirito nell'aldilà, i defunti possono tornare a vivere fra noi nei nuovi membri della comunità. Questo tempo di transizione è indefinito, non certamente descritto in anni o mesi. Oggettivamente parlando sembra che il tempo trascorso come spirito sua definito dai cari in vita. La capacità del gruppo di rigenerarsi e soprattutto l'importanza avuta dal defunto nella comunità da vivo, determinano la possibilità di avere un omonimo nella comunità. L'idea che il morto debba svolgere qualche lavoro spirituale prima di tornare tra i membri viventi, però, non compare né nella pratica spirituale delle comunità, né in nessuno studio scientifico valido.
Sul concetto della vita nell'Aldilà, l'autorevole antropologo ugandese John S.Mbiti nel suo Oltre la magia sostiene che la questione della reincarnazione è marginale nella teoria della morte e dell'aldilà nelle società animiste africane. I punti saliente sviluppati in questa opera notevole sono 1) il desiderio di vita eterna dei popoli animisti, anche se sotto forma di spiriti, dunque invisibili; 2) la continuità dell'attività svolta fra lo stato di vivi e di morti viventi; 3) la totale assenza del concetto di giudizio successivo alla morte.
Il senegalese Ousmane Sembene ha affrontato il tema della morte e dell'aldilà in chiave poetica. Nel suo racconto Sarze (Sergente) si ritiene che non vi sia alcuna certezza circa la reincarnazione dei morti in nuovi esseri viventi. I testi parlano di luoghi fisici dove si trovano i defunti, invocano la loro presenza e permanenza fra noi vivi e anche negli elementi della natura (l'acqua, fuoco, il corpo umano). L'autore riconosce però al defunto un ruolo fondamentale nella società dei viventi come fonte di energia vitale per i famigliari. Parla anche della loro vita eterna in forma di spiriti.
Dare al figlio il nome di un caro defunto non può da solo giustificare la presenza di un concetto complesso come la reincarnazione. Però... Io personalmente sono cresciuto con la convinzione di essere la copia, per non dire l'incarnazione, del fratello di mio padre; le sue sorelle hanno sostenuto con insistenza questa ipotesi. Queste signore non hanno mai accettato la perdita del beneamato fratello e ne hanno visto, con la mia nascita, il ritorno. Non solo porto il suo nome, ma sembra che io agisca secondo le sue motivazioni, secondo il suo stile. Visioni o tracce di una cultura perduta nel corso degli anni? (per saperne di più su questa storia vi invito a leggere il libro delle Edizioni dell'Arco diffuso per strada da extracomunitari Lo spirito delle sabbie gialle).
L'idea della vita oltre la morte è presente in tante comunità africane, la forma e la sostanza di queste resurrezioni cambia secondo le impostazioni religiose. Per gli uni è un proseguimento senza rottura sostanziale della vita vissuta prima della morte, per gli altri, come insegna l'Islam e il cattolicesimo, l'onnipotente e misericordioso dice l'ultima (e quale!) parola; in ognuno di questi concetti l'uomo cerca e aspira affannosamente all'eternità.
Mbacke Gadji, senegalese di Nguith, ha lasciato l'Africa nel 1986. Dopo la Francia, è arrivato in italia nel 1994 dove lavora come pubblicista e narratore. Scrive in italiano
Caro Ideavagante, pubblico volentieri il brano che hai riportato: un pregevole estratto su un argomento che mi interessa. Tuttavia, al di là dei contenuti in gioco, mi affascina il contrasto tra la sintesi dei versi della Dickinson (e del mio stesso post che ad essi fungeva da veicolo) da una parte, e il saggio etnografico dall'altra... mi suona simile alla differenza tra comprensione e conoscenza: la comprensione intuitiva non è detto possa essere tradotta in una conoscenza condivisibile, così come una conoscenza meticolosa non è detto comporti una vera comprensione dell'oggetto. Insomma, per mia inclinazione ammiro più la demon-iaca "pigrizia mentale" del poeta che la consequenziale genialità dello scienziato... ma la verità è che al mondo servono sia poeti che scienziati!
"Per quanto l'uomo possa espandersi con la sua consocenza, apparire a se stesso obiettivo, alla fine non ne ricava nient'altro che la propria biografia"
Friedrich NIetzsche
"Umano Troppo Umano"
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