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venerdì 23 gennaio 2009

Israele parli anche con Hamas

di DAVID GROSSMAN

Come le volpi del racconto biblico di Sansone, legate per la coda a un'unica torcia in fiamme, così noi e i palestinesi ci trasciniamo l'un l'altro, malgrado la disparità delle nostre forze. E anche quando tentiamo di staccarci non facciamo che attizzare il fuoco di chi è legato a noi - il nostro doppio, la nostra tragedia - e il fuoco che brucia noi stessi. Per questo, in mezzo all'esaltazione nazionalista che travolge oggi Israele, non guasterebbe ricordare che anche quest'ultima operazione a Gaza, in fin dei conti, non è che una tappa lungo un cammino di violenza e di odio in cui talvolta si vince e talaltra si perde ma che, in ultimo, ci condurrà alla rovina.
Assieme al senso di soddisfazione per il riscatto dello smacco subito da Israele nella seconda guerra del Libano faremmo meglio ad ascoltare la voce che ci dice che il successo di Tsahal su Hamas non è la prova decisiva che lo Stato ebraico ha avuto ragione a scatenare una simile offensiva militare, e di certo non giustifica il modo in cui ha agito nel corso di questa offensiva. Tale successo prova unicamente che Israele è molto più forte di Hamas e che, all'occasione, può mostrarsi, a modo suo, inflessibile e brutale.
Allo stesso modo il successo dell'operazione non ha risolto le cause che l'hanno scatenata. Israele tiene ancora sotto controllo la maggior parte del territorio palestinese e non si dichiara pronto a rinunciare all'occupazione e alle colonie. Hamas continua a rifiutare di riconoscere l'esistenza dello Stato ebraico e, così facendo, ostacola una reale possibilità di dialogo. L'offensiva di Gaza non ha permesso di compiere nessun passo verso un vero superamento di questi ostacoli. Al contrario: i morti e la devastazione causati da Israele ci garantiscono che un'altra generazione di palestinesi crescerà nell'odio e nella sete di vendetta. Il fanatismo di Hamas, responsabile di aver valutato male il rapporto di forza con Tsahal, sarà esacerbato dalla sconfitta, intaserà i canali del dialogo e comprometterà la sua capacità di servire i veri interessi palestinesi. Ma quando l'operazione sarà conclusa e le dimensioni della tragedia saranno sotto gli occhi di tutti (al punto che, forse, per un breve istante, anche i sofisticati meccanismi di autogiustificazione e di rimozione in atto oggi in Israele verranno accantonati), allora anche la coscienza israeliana apprenderà una lezione. Forse capiremo finalmente che nel nostro comportamento c'è qualcosa di profondamente sbagliato, di immorale, di poco saggio, che rinfocola la fiamma che, di volta in volta, ci consuma. È naturale che i palestinesi non possano essere sollevati dalla responsabilità dei loro errori, dei loro crimini. Un atteggiamento simile da parte nostra sottintenderebbe un disprezzo e un senso di superiorità nei loro confronti, come se non fossero adulti coscienti delle proprie azioni e dei propri sbagli. È indubbio che la popolazione di Gaza sia stata "strozzata" da Israele ma aveva a sua disposizione molte vie per protestare e manifestare il suo disagio oltre a quella di lanciare migliaia di razzi su civili innocenti. Questo non va dimenticato. Non possiamo perdonare i palestinesi, trattarli con clemenza come se fosse logico che, nei momenti di difficoltà, il loro unico modo di reagire, quasi automatico, sia il ricorso alla violenza. Ma anche quando i palestinesi si comportano con cieca aggressività - con attentati suicidi e lanci di Qassam - Israele rimane molto più forte di loro e ha ancora la possibilità di influenzare enormemente il livello di violenza nella regione, di minimizzarlo, di cercare di annullarlo. La recente offensiva non mostra però che qualcuno dei nostri vertici politici abbia consapevolmente, e responsabilmente, afferrato questo punto critico. Arriverà il giorno in cui cercheremo di curare le ferite che abbiamo procurato oggi. Ma quel giorno arriverà davvero se non capiremo che la forza militare non può essere lo strumento con cui spianare la nostra strada dinanzi al popolo arabo? Arriverà se non assimileremo il significato della responsabilità che gli articolati legami e i rapporti che avevamo in passato, e che avremo in futuro, con i palestinesi della Cisgiordania, della striscia di Gaza, della Galilea, ci impongono? Quando il variopinto fumo dei proclami di vittoria dei politici si dissolverà, quando finalmente comprenderemo il divario tra i risultati ottenuti e ciò che ci serve veramente per condurre un'esistenza normale in questa regione, quando ammetteremo che un intero Stato si è smaniosamente autoipnotizzato perché aveva un estremo bisogno di credere che Gaza avrebbe curato la ferita del Libano, forse pareggeremo i conti con chi, di volta in volta, incita l'opinione pubblica israeliana all'arroganza e al compiacimento nell'uso delle armi. Chi ci insegna, da anni, a disprezzare la fede nella pace, nella speranza di un cambiamento nei rapporti con gli arabi. Chi ci convince che gli arabi capiscono solo il linguaggio della forza ed è quindi quello che dobbiamo usare con loro. E siccome lo abbiamo fatto per così tanti anni, abbiamo dimenticato che ci sono altre lingue che si possono parlare con gli esseri umani, persino con nemici giurati come Hamas. Lingue che noi israeliani conosciamo altrettanto bene di quella parlata dagli aerei da combattimento e dai carri armati. Parlare con i palestinesi. Questa deve essere la conclusione di quest'ultimo round di violenza. Parlare anche con chi non riconosce il nostro diritto di vivere qui. Anziché ignorare Hamas faremmo bene a sfruttare la realtà che si è creata per intavolare subito un dialogo, per raggiungere un accordo con tutto il popolo palestinese. Parlare per capire che la realtà non è soltanto quella dei racconti a tenuta stagna che noi e i palestinesi ripetiamo a noi stessi da generazioni. Racconti nei quali siamo imprigionati e di cui una parte non indifferente è costituita da fantasie, da desideri, da incubi. Parlare per creare, in questa realtà opaca e sorda, un'alternativa, che, nel turbine della guerra, non trova quasi posto né speranza, e neppure chi creda in essa: la possibilità di esprimerci. Parlare come strategia calcolata. Intavolare un dialogo, impuntarsi per mantenerlo, anche a costo di sbattere la testa contro un muro, anche se, sulle prime, questa sembra un'opzione disperata. A lungo andare questa ostinazione potrebbe contribuire alla nostra sicurezza molto più di centinaia di aerei che sganciano bombe sulle città e sui loro abitanti. Parlare con la consapevolezza, nata dalla visione delle recenti immagini, che la distruzione che possiamo procurarci a vicenda, ogni popolo a modo suo, è talmente vasta, corrosiva, insensata, che se dovessimo arrenderci alla sua logica alla fine ne verremmo annientati. Parlare, perché ciò che è avvenuto nelle ultime settimane nella striscia di Gaza ci pone davanti a uno specchio nel quale si riflette un volto per il quale, se lo guardassimo dall'esterno o se fosse quello di un altro popolo, proveremmo orrore. Capiremmo che la nostra vittoria non è una vera vittoria, che la guerra di Gaza non ha curato la ferita che avevamo disperatamente bisogno di medicare. Al contrario, ha rivelato ancor più i nostri errori di rotta, tragici e ripetuti, e la profondità della trappola in cui siamo imprigionati.

da www.repubblica.it (20/01/09) - traduzione di A. Shomroni

9 : commenti:

Antonio Candeliere ha detto...

ottima analisi

Donnachenina blog ha detto...

Ciao Daniele,
io non ho assolutamente fiducia che qualcosa di davvero straordinario possa accadere in certe situazioni, e ciò lo dico per diversi motivi che sarebbe troppo lungo percorrere...ma il discorso è molto profondo e riguarda le lrelazioni che possono essere sia quelle dei singoli, ma che di riflesso sono anche quelle dei popoli.
A nessuno piace sentirsi inferiore, e nessuna relazione può esistere individualmente o collettivamente se si dichiara o peggio ancora si insua nel nostro interlocutore la sua inadeguatezza e la sua inferiorità, in base a che cosa poi?
Ho sentito in questo periodo, in quelli che pretendevano di difendere le posizioni di Israele dire "Ma Israele, è una democrazia compiuta è depositaria di una cultura meravigliosa etc. etc.", ma quello se vogliamo ammetterlo è un punto di vista, che può essere ribaltato dall'altra parte.
Purtroppo temo, che per ora di pace se ne vedrà ben poca, come a livello individuale se io mi relaziono con qualcunbo che si dichiara o mi fa passare per via traverse che lui è superiore (non diverso...)è chiaro che prima o poi sarà guerra, perchè anche come nel caso delle relazioni individuali dapprima si può provare ammirazione e fascino verso qualcuno, se questo non è reciproco la relazione diventa sbilanciata e sono pochi quelli che desiderano sentirsi dominati, la relazione esiste solo dove ci si può sentire alla pari.
Ecco perchè non ho fiducia, nell'esito di pace di questo conflitto, è ancora il discorso dell'11 settembre....i terroristi appartengono a un mondo da noi giudicato in maniera negativa (e naturlamente lo è )nei paesi dove non esiste la democrazia, certe cose sono espressamente proibite, nelle democrazie in teoria si gode di molta libertà, ma è una libertà illusoria...in pratica siamo molto manipolati...
In questo ultimo scntro tra Palestina e Israele, si è pèoco indagato sul fatto che Israele è a pochi mesi dalle elezioni...ecco dove sta la manipolazione, io credo poco a certe casuali coincidenze, un po' come in Italia, quando certi scandali li fanno esplodere come bombe ad orologeria...è una storia molto lunga.
Intanto anche dalle aspettative grandiose che alcuni avevano con la vittoria di OBAMA, ne portiamo a casa una condanna a morte dell'altro ieri, e seconda nel 2009, e Obama stesso si è dichiarato d'accordo sulla pena di morte in alcuni casi, già a partire da questo io sono lontana...e mi piacerebbe sapere se questo è il sentire di Obama, o se anche lui non può permettersi nulla di veramente rivoluzionario...niente di nuovo sootto il sole, di Cristi che vogliono crocifiggersi ce ne sono pochi, oppure qualcuno vuole salire in croce ma con un solo btaccio e non con tutto il corpo.
Sono forse andata fuori tema, ma è venuto fuori così, il mio lo definisco non un pessimismo, ma bensì un sano realismo, e l'incapacità di fermarmi al già detto e saputo, l'individuazione dei popoli non segue una strada diversa da quella che segue il singolo individuo, e a livello mondiale credo che siamo ancora lontani dalla presa di coscineza dell'Obra colletiva che ogni popolo e nazione si porta dietro.
Il cammino è ancora molto lungo, spero però che la strada verso cuyi l'umnità si sta incamminando sia quella della consapevolezza e non quella di trovare sempre all'esterno qualcuno alla quale attribuire la colpa.
Ma se anche da parte ci fosse maggiore responsabilità nell'aver procurato verso la colletività situazioni di guerra e di disagi e tutto quello che ci vuoi mettere dentro, sempre tornando al parallelo della relazione individuale, non è il malato che contiene il sdano, ma il sano che contiene il malato, chi si vuole arrogare la sua superiorità deve gestire la situazione con maggiore responsabilità e non con maggiore forza, almeno che quella fora non sia usata in maniera strategica avendo capito che è quello che ci porterà in secondo tempo all'accordo, altrimenti ripeto ancora resterà solo lo scontro infinito.
Se la Palestina, è un paese che per sua disdgrazia ha dovuto mettersi nelle mani di un terrorista, non è sottolieneando questo che se ne escerà, se Israele ama il suo popolo, ma sa amare anche un'altro popolo che non sia il suo (piuttosto che essere mosso da un complesso di potere)deve umilmente accettare un dialogo anche con quel mondo e con quegli uomini.
Ma questo a livello politico avviene solo quando non si riesce più a sostenere la lotta,ma non avviene con il processo che ho descritto io (cioè mettendo l'interlocutore sullo stesso piano)insomma lo si fa in maniera ipocrita, e le cose che non sono autentiche non ottengono risultati, come nelle relazioni umane, la Politica è il luogo dove più di ogni altro avviene la degenerazione dell'Eros, in potere.
Prima delle nostre ultime elezioni, ero andata a sentyire Cacciari, che è uno dei pochi che apprezzo...però ha anche una visione ingenua..lui sottolineava che abbiamo bisogno di più Eros, vale a dire passione civile e politica...ma è come mettere un goloso in una pasticceria,difficile astenersi dal non farsi una abbuffata.
Io non credo più assolutamente alla politica, e credo che l'avvenire del mondo non gli possa più essere affidato, almeno nel modo che noi conosciamo...è inevitabile la "Catastrofe", ma intesa nella maniera più approipriata del termine, così come è già stata trattata da alcuni filosofi, tra cui Salvatore Natoli, in un suo libro di qualche anno fa.
Basta tanto non serve a niente parlarne oltre, ma qui è venuto fuori il mio Eros, che purtroppo può ben poco se non farmi essere più accorta verso la realtà e non farmi travolgere a mia volta da quello che mi circonda.
Un saluto affettuoso

Daniele Passerini ha detto...

@Antonio

Piacere di conoscerti Antonio. Sì, ho riportato fedelmente questo intervento di Grossman perché ha sempre espresso posizioni ragionevolissime sulla questione e le condivido in pieno.

@Donnachenina

Ehm... questa è una vera e propria occupazione militare dello spazio commenti da parte delle tue parole! ;o)

Non posso entrare nel merito di tutte le questioni che sollevi. Dico solo che se ho parlato di Gaza nel blog è stato solo per dare spazio alle posizioni dei pacifisti israeliani. E non è stato per follia che vi ho apposto anche l'etichetta "positività dal mondo". A me sembra che le parole di Grossman, che stimo immensamente come scrittore e altrettanto come persona, siano le più ragionevoli che abbia ascoltato in queste settimane. Non metterei mai infatti sul blog le opinioni di un politico sul conflitto tra Israele e Hamas... non dimenticare che Grossman ha perso pure il figlio - che era stato richiamato alle armi - in Libano pochi anni fa, ma continua coerentemente a condannare la politica militare del proprio paese... questo mi dà fiducia per il futuro perché so che non è l'unico israeliano a pensarla così.
Che l'azione contro Gaza sia stata dettata da motivi elettorali non è vero che non viene detto, chi è informato lo sa bene... ma potrebbe anche risultare un boomerang! Staremo a vedere.

Un abbraccio e... calma! :)))

Donnachenina blog ha detto...

Ciao Daniele, sì hai ragione, purtroppo, mi sono resa conto alla fine, che avevo spaziato come se parlassi tra me e me, ma oramai avevo già inviato il commento e non avrei potuto cancellarlo.
Alla base di tutto il mio argomentare, ci sta lo sconforto, dovuto all'aver capito di come certe cose si muovono, e di quanto poco possono fare chi in minoranza avrebbe l'atteggiamento giusto, ma poca parte in casua.
Una buona giornata come sempre e un caro saluto.

artemisia ha detto...

Io amo Grossman.
Lo amo proprio, nel senso che so che se lo incontrassi me ne innamorerei in maniera folle: lo stimo come scrittore, come uomo, come persona, sento che ha dentro un mondo che è il mio, insomma spero di non incontrrlo mai perchè sarebbero guai sicuri.

Questa è una cosa che sanno tutti quelli che mi conoscono e per la quale accetto di buon grado di venir presa in giro.

Però. Non condivido, esattamente per lo stesso motivo di Donnachenina, il discorso della "superiorità" di Israele (anche se capisco che Grossman la intende anche come maggiore responsabilità). Non lo condivido perchè il dialogo, qualsiasi dialogo, deve essere tra parti uguali: diverse quanto vuoi, ma di pari dignità, pari responsabilità, pari valore. Altrimenti fallirà.
E un'altra cosa: manca, nel discorso di Grossman, qualsiasi accenno alle condizioni di spaventosa povertà di Gaza, di grande recinto dove la popolazione civile è stata rinchiusa e bombardata senza possibilità di scampo. Grossman equipara la distruzione, come se fosse della stessa entità. i palestinesi "avevano a disposizione molte vi eper protestaree manifestare il loro disagio"?? E quali, di grazia? Quali vie può trovare chi nasce e cresce nella povertà e nella segregazione, con gruppi fanatici che inculcano odio, dove l'unica prospettiva di fututo per i bambini è lanciare un razzo contro Israele?

Proprio per l'amore che ho per Grossman, e pur apprezzandone l'infinita intelligenza e la sua dolorosa storia, ne vedo tutti i limiti.

Anonimo ha detto...

Parole strepitose.
Tra varie cose, in questo momento leggo il suo ultimo libro, "Ad un cerbiatto assomiglia il mio amore".
E' emozionante. E ogni volta mi viene nostalgia.

Daniele Passerini ha detto...

@ggugg e Artemisia

Ciao ggugg, bello risentirti. Pure io trovo strepitose quelle parole.

Devo essere sincero Artemisia, ho riletto e riletto il brano e non ci sento quello che sia tu che Donnachinina avete captato... Leggo piuttosto che Grossman ha voluto rivolgersi ai suoi concittadini, israeliani che in maggioranza o appoggiano l'operato del loro governo a Gaza o "si turano il naso" e comunque appoggiano. Quello che voi sentite come "superiorità" a me pare più che altro un accorato (e disperato) tentativo di appellarsi a quella civiltà e umanità che Israele dovrebbe avere nel suo stesso DNA, ma che abbiamo visto tutti sacrificate a una cieca ragion di stato.

artemisia ha detto...

Nessun popolo ha più civiltà e umanità "nel DNA" di un altro popolo, questo è un pensiero molto pericoloso, e all'origine di infinite guerre.

Il tentativo di DG è senza dubbio onesto, accorato e disperato. Ma, purtroppo, limitato e limitante pur nella sua bellezza.

Daniele Passerini ha detto...

Ok, mi sono espresso male. Mettiamola così: ci sono nazioni che storicamente sono più alla ribalta internazionale e altre che lo sono meno, non per un discorso di meriti, superiorità e compagna bella, ma per questioni geopolitiche, storiche e contingenti. Non volevo dire altro che questo, e penso che lo stesso valga per Grossman. Adesso uso un esempio forte che Grossman non userebbe proprio per non provocare immediata "rimozione" delle sue parole dalla coscienza dei suoi concittadini che hanno incorporato la "nevrosi dell'accerchiamento" e ormai sfiorano la psicosi. Conoscendo la storia si inorridisce dell'orrore che la Germania nazista ha scientemente realizzato, ma si deve prendere atto che tutto è stato conseguenza delle terribili premesse poste dal 1933 in poi. Personalmente invece constinuo a stupirmi di come Israele, mutatis mutandis e con i dovutissimi distinguo di proporzione, continui a dare dimostrazione (in modo sempre più cruento) di non avere altri strumenti per regolare le "questioni di confine" e "buon vicinato" all'infuori della forza militare: in assenza di cambi di rotta l'esito può essere solo l'escalation della violenza tra le parti contrapposte.
Ho letto e amo qualche libro di Grossman (lo ritengo uno dei massimi scrittori viventi) e ho seguito spesso le interviste che ha rilasciato sulla politica estera israeliana... e non riesco a leggere tra le righe di quest'ultimo suo appello quello che leggi tu, se non la sua disperazione di vedere Israele sulla via di un vicolo cieco senza ritorno. Ma continua a provarci a risvegliare le coscienze! Probabilmente nessuno di noi due "sbaglia", ma ognuno enfatizza, sulla base della sua esperienza, un determinato aspetto e non scorge l'altro.

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