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lunedì 8 giugno 2009

PDL = Papi Deve Lasciare!

Clamoroso! Scoperto il vero motivo del risultato inferiore alle aspettative del partito del nostro premier nelle Europee 2009: molte schede con voto al PdL sono state annullate in quanto le elettrici più ferventi avevano scritto "papi" accanto al simbolo.

P.S. Ma il Cavaliere si consoli, potrebbe sempre fondare un nuovo partito... il PdV, il Partito delle Veline ovviamente. :-)

10 : commenti:

pia ha detto...

Pieno oscurantismo: tutta l'Europa in nero. Bella roba.

Stella ha detto...

PDV favolosa battuta!;o)

la signora in rosso ha detto...

abbiamo cominciato...lo marchiamo a vista, ormai non può più scappare!

Daniele Passerini ha detto...

@Pia

È davvero inquietante Pia, concordo. Ed è sempre nei momenti di crisi che attecchiscono gli estremismi e i sentimenti negativi legati alla paura.

@Stella

Favolosa... eddai che esagerata! Senz'altro l'antagonismo risulta più evidente contrapponendo IDV-PDV che IDV-PDL, questo è vero, ahahah! :oD

@lasignorainrosso

Avanti così! Chi d'immagine ferisce d'immagine perisce! :o)

Anonimo ha detto...

Una loggia occulta , eversiva, golpista che usa il quotidiano "la Repubblica" come cassa di risonanza stà preparando altri gossip, altre vili imboscate al Presidente del Consiglio? Questi "signori" vogliono solo il male del Paese Italia.
Un politico perdente da sempre, ma leader del complotto come D'Alema, durante una trasmissione televisiva ha detto ai partiti di opposizione di stare pronti...
Forse ha avvertito tra le righe gli italiani che vi sarà un golpe? Forse in combutta con qualche magistrato politico o con il CSM hanno già pianificato una probabile pilotata caduta del Governo Berlusconi? Non dimentichiamo che un
fatto del genere è già avvenuto : il pool di Milano e Scalfaro fecero cadere un precedente Governo di centrodestra, con totale spregio del voto democratico.
Noi tutti, popolo della Lega, del Pdl, del centrodestra uniti, prepariamo una massiccia dimostrazione di piazza.
Tutti insieme riuniamoci, formiamo una folla oceanica e sotto il Tribunale di Milano, o all'interno del Tribunale stesso,poi sotto il palazzo dei Marescialli a Roma e sotto il Quirinale diamo una forte dimostrazione di forza e di popolo.
Ricordiamo una volta per tutte ai magistrati che essi sono soggetti solo alle leggi e non devono, non possono fare i politici. Rivolgiamoci poi all'Unione Europea, si apra un indagine sulla magistratura italiana, sul CSM,
oligarchie di intoccabili che illegalmente fanno politica e che colpevolmente hanno costruito una Giustizia che non funziona per la gente comune, ma funziona solo per i loro interessi di parte, per i loro interessi di casta.
Viva l'Italia

Daniele Passerini ha detto...

Caro anonimo che non ti firmi, le imboscate se le prepara Berlusconi da sé, semplicemente vivendo secondo le sue abitudini da sultano.
L'inchiesta di Bari è partita da toghe "nere": stavano indagando Comuni e ASL governate dalla sinistra ed è spuntata fuori la "Palazzo Grazioli connection".
Non c'è un conflitto tra destra e sinistra in atto, bensì trasversale, tra chi vuole vedere a capo di governo (di destra) un vero uomo di stato, rispettoso delle leggi, delle regole e dei diritti, e chi vuole un duce. Non si tratta più di uno scontro politico ma di uno scontro di civiltà e di buon senso.
La marcia su Milano che proponi, a me ricorda tanto quella su Roma. E sono io che dico Viva l'Italia, quella che amo, quella risorta libera dalle ceneri di una dittatura, che non vogliamo vedere di nuovo.

Daniele Passerini ha detto...

Il mio modo di interpretare questo "conflitto" l'ho già evidenziato: Lo scontro tra due rappresentazioni della realtà.

Il problema vero è che chi ha interesse a farne una "guerra civile" (è che da molti anni lavora a ciò) oggi sta molto più a destra che a sinistra.

Marina Rossi ha detto...

Consigli ad anonimo
La personalità politica di Berlusconi, così come la natura dei suoi due governi (quello breve del 1994 e quello lungo iniziato nel 2001), hanno caratteristiche peculiari che, al di là del quasi totale monopolio televisivo-mediatico e dello stesso strapotere economico, devono essere approfondite e studiate. Il signor B. è una creatura in via di apparizione, vale a dire una sorta di apripista che inaugura, nel sempre effervescente laboratorio politico italiano, una stagione inedita della politica moderna? O è invece una nuova epifania dell'interminabile autobiografia della nazione italiana? È un absolute beginner o la "rivelazione" del ripresentarsi di ben note persistenze? Le parole, i fatti, i rischi, l'analisi, inevitabilmente, non sono disgiunte dalla critica e dalla denuncia. Queste ultime, anzi, hanno alimentato e fecondato l'analisi stessa, come risulta ben evidente dagli interventi, formidabili sul terreno etico-politico come su quello tecnico-dottrinale, di Franco Cordero e di Paolo Sylos Labini.

A questo tipo di pubblicistica critico-esplicativa, pur apparendo più quieto e distaccato, non si sottrae Paul Ginsborg che contiene una pacata ricostruzione dei fatti, una serie di osservazioni (talvolta rapsodiche, ma sempre assai acute) sulla specificità del fenomeno in questione, nonché alcune riflessioni sull'azione passata e sulle prospettive future dell'opposizione, anzi delle opposizioni (la sociale, la culturale-morale-movimentistica, la politica e parlamentare). Sono tuttavia le osservazioni su Berlusconi, e sulle ragioni del suo successo, la parte più importante del libro. Con al centro la forma di governo. La democrazia italiana, oggi, parrebbe infatti per Ginsborg appartenere - il condizionale è d'obbligo, data la fluidità del momento storico - alla famiglia delle democrazie elettorali più che a quella delle democrazie liberali. Indiscusso, senza dubbio, è il plebiscito personalizzato e il rispetto delle regole elettorali. La legge, tuttavia, non è eguale per tutti, non solo per la disparità dei mezzi mediatici ed economici in campo, ma perché la maggioranza ha promosso e approvato (trascurando tutte le emergenze) quasi esclusivamente misure che soddisfano gli interessi di pochi, anzi di pochissimi. La magistratura è poi minacciata nella sua indipendenza e quotidianamente vilipesa. Il sistema mediatico, infine, sempre secondo Ginsborg, è semplicemente il meno libero d'Europa, così come la concorrenza è sfigurata dai monopoli.

Il deficit, dunque, riguarda più il liberalismo che la democrazia. Ma senza le garanzie liberali, la democrazia diventa mera applicazione delle regole che periodicamente conducono alla formazione della rappresentanza ed esercizio personalizzato del potere. Curioso paradosso, se si pensa che qualcuno, nel 1994, aveva salutato la comparsa, in Italia, del primo "partito liberale di massa". La libertà privilegiata, in realtà, è solo la "libertà negativa", il "fare da sé", l'affrancarsi da ogni interferenza e ostacolo (la burocrazia, le leggi, l'etica pubblica, i vincoli ambientali, il senso dello stato, lo stato stesso). Alla libertà positiva, vale a dire alla realizzazione degli individui nel contesto pubblico, non viene invece dedicata, negli stessi discorsi di Berlusconi, una grande attenzione. Ciò favorisce, come si è detto, la democrazia personalizzata. Ci vuole il carisma, tuttavia, per tenersi in sella su tale democrazia.

Marina Rossi ha detto...

E Ginsborg, pur essendo stato preceduto da altri, ha il merito di insistere su tale categoria weberiana. Chi ha carisma? Oggi, moltiplicandosi e degenerando l'uso della parola stessa, si assiste, grazie ai media, a una supposta, e ciò nondimeno tangibile, carismaticità diffusa, cui non vengono ritenuti estranei calciatori o conduttori televisivi. Ha insomma carisma, così si dice sui rotocalchi e in tv, chi ha successo e/o faccia di bronzo. Per lo stesso Weber, del resto, il potere carismatico, per sua natura sovversivo nei confronti del potere tradizionale e di quello legale-razionale, non esiste in quanto tale. È riconosciuto dai seguaci. Nel nostro caso dagli elettori e "spettatori". Per questo chi ha la ventura di possedere il carisma è condannato a vincere. Un politico come Rumor poteva perdere, ammetterlo e risollevarsi. L'uomo di Arcore può solo vincere. Se registra una sconfitta, o fa una gaffe, grida che non è vero. O addebita la causa a un complotto. Il portatore di carisma deve poi, per Weber, essere ritenuto, anche se ricchissimo, del tutto disinteressato quando è in gioco il potere. Ciò spiega la disperata battaglia dell'esecutivo contro la giustizia. Non è in gioco solo un caso personale. É in gioco quel che lo stesso Weber, in Politik als Beruf , definiva Führerdemokratie. Il fatto è che Berlusconi non è un leader, vale a dire il prodotto di una competizione-selezione politica, ma un boss, un capo, vale a dire il prodotto politico, e nel contempo umoralmente "antipolitico", di una improvvisa comparsa che si vuole soteriologica e appunto carismatica (la "discesa in campo" di "un uomo solo al comando"). La direzione dei partiti e dei governi da parte di capi plebiscitari determina del resto, sempre per Weber, la rinuncia dei seguaci alla propria anima o, anche, la loro "proletarizzazione spirituale". Seguaci e alleati devono infatti obbedire. Devono essere "macchina".

Da dove deriva il carisma berlusconiano? Torniamo a ciò che espone Ginsborg. Per il quale tale carisma deriva da un amore totale verso se stesso, da un mix di chic (io direi piuttosto kitsch) mediterraneo e di "stile Dallas", dalla capacità di generare autoidentificazione e proiezione dei propri desideri. Berlusconi non è solo un venditore, come aveva sostenuto in un bel libro il compianto Giuseppe Fiori . È l'incarnazione di un esibito potere patrimoniale, necessario per forgiare un carisma adatto all'età del consumismo indotto (ma i consumi sono vertiginosamente calati e ciò preoccupa il "capo", evidentemente non per ragioni solamente economiche). Berlusconi è insomma soprattutto un compratore: "di beni e di imprese, di ville e di calciatori, di reti televisive e di gente di spettacolo, di supermercati e di case editrici, forse anche di giudici (benché sia necessario attendere gli esiti dei processi)". Il suo carisma, che si affianca al reincantarsi del mondo attraverso il "virtuale", non è cioè contiguo all'etica protestante, e intramondana, di Weber. Ma a quel lusso cattolico e a quella rapace mentalità acquisitiva che furono per Sombart i veri presupposti, morali e materiali, dell'accumulazione capitalistica originaria. Ed è anche contiguo, mi pare, alla Scomparsa dell'Italia industriale, come recita il titolo di un recente, illuminante e drammatico volumetto di Luciano Gallino . Un volumetto che andrebbe letto insieme a quello di Ginsborg. E che ci consente di vedere in Berlusconi il sintomo del declino di quella grande e produttiva classe borghese italiana che è stata determinante al tempo della "rivoluzione industriale di massa" e del famoso "miracolo". Nessuno, del resto, definisce Berlusconi un "borghese". Piuttosto un parvenu. All'immaginazione dei sociologi lasciamo in ogni caso il compito di definirlo in modo acconcio.

Marina Rossi ha detto...

Il volumetto di Ginsborg è stato comunque licenziato prima delle non eccellenti prove elettorali della tarda primavera. Prima del cosiddetto "lodo Schifani". Prima dei dissapori nella maggioranza. Cresce probabilmente la disaffezione. Val la pena di chiedersi quanta disaffezione può sopportare il carisma esibizionistico del compratore.

Anonimo,un consiglio:
frequenti una buona palestra politica,si documenti ed esca fuori dal circuito demagogico-parolaio del quale si auto-compiace.
Da me che la commisero.

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