Un articolo di Jacopo Fo che racconta come il ciclo della violenza e la reiterazione del dolore possano essere spezzati. Nuove idee, soluzioni diverse: per uomini nuovi in un mondo migliore.
Quando Nelson Mandela capitanò l'ultima protesta contro l'apartheid in Sudafrica e il regime razzista cadde egli capì che doveva porre ai suoi connazionali una grande e difficile domanda. Una domanda impossibile da porre ad un popolo occidentale. Incomprensibile addirittura per i nostri schemi mentali. Egli chiese: cosa dobbiamo fare a chi ci ha torturato, ucciso, tenuto in catene, umiliato? Cosa facciamo a chi ha ucciso i nostri padri, violentato le nostre madri, le nostre mogli, le nostre figlie? Cosa facciamo a quei cani che ci hanno azzannato per tutta la vita? Nessuno metteva in dubbio che un ladro o un assassino dovessero essere messi in prigione per impedir loro di compiere un altro reato e perché venissero sottoposti ad un percorso di rieducazione. Ma nel caso dei carnefici e dei loro mandanti che avevano torturati il popolo per decenni sembrò che non si potesse usare la stessa logica punitiva. Il crimine era troppo immenso perché potesse essere punito. Quindi, dopo moltissime discussioni si decise di non punire i colpevoli delle più tremende e barbariche violenze compiute in Sudafrica. Questi neri hanno ancora una forte componente dell'antica cultura matriarcale che riconosce al suo centro, come fulcro, l'idea del valore spirituale dell'esperienza e l'interconnessione stretta tra tutti i fenomeni. E questa cultura porta più facilmente a identificarsi nelle vittime per comprendere quale è la loro esigenza più forte e profonda. Se hai subito l'abominio, una semplice vendetta non è soddisfacente. Non cambia l'orrore che hai vissuto, le stigmate dell'umiliazione, il tormento dei ricordi e dei rimpianti. Anche se ammazzi il tuo torturatore e lo fai morire in modo lento e doloroso, la tua percezione dell'orrore vissuto non cambia. Nella cultura bantù esiste un concetto che ha un valore maggiore della vendetta: la consolazione della vittima. Così essi si chiesero che cosa potesse veramente modificare lo stato mentale delle vittime. Riscattare almeno in parte l'ingiustizia subita. E dissero: rinunciamo alla vendetta perché l'unico medicamento che dà sollievo al dolore delle vittime è la comprensione. Il dolore viene arginato solo dalla sua condivisione collettiva. Quando il torturato torna nel suo villaggio e racconta di aver subito 100 frustate anche i suoi amici si chiedono se, magari, non stia esagerando un po'. Non mettono in dubbio che sia stato frustato ma si chiedono se le frustate siano state proprio 100 oppure "solo" 70. Il torturato invece desidera innanzitutto di essere creduto totalmente e che la misura del suo dolore sia riconosciuta. Questa è l'unica possibile, piccola consolazione. E allora il governo dei neri inventa un istituto legale incredibile: i Tribunali del Perdono. Per anni sono andati avanti a tenere udienza in questi tribunali speciali. Le vittime si presentano e raccontano tutto quello che hanno patito e fanno i nomi dei loro carnefici. I quali sono obbligati a presentarsi e a confessare pubblicamente raccontando per filo e per segno quali crimini hanno commesso e come. Se ammettono le colpe non vengono puniti in nessun modo. Così si ottiene e che nessuno possa negare la verità di quei fatti. Non esisterà mai nessuno in Sudafrica che potrà mettere in dubbio la misura dei crimini commessi perché vittime e carnefici hanno testimoniato e le loro dichiarazioni sono state filmate e trasmesse in televisione. Ci sono voluti anni per elencare, descrivere e comprovare l'enorme mole dei crimini commessi. Oggi c'è chi nega i crimini nazisti, stalinisti, di Pinochet, dei colonnelli greci o argentini. Questa situazione è legata proprio al tentativo di punire in modo vendicativo i colpevoli. Un procedimento che genera automaticamente una difesa che cerca di negare le colpe. E questa negazione degli orrori del passato, restando più o meno latente, semina odi e rancori e inestinguibili. Ma attenzione, non si tratta di rinunciare all'azione, di fronte agli orrori non si può non reagire, ma di sostituire l'azione della vendetta con quella della presa di coscienza degli orrori.P.S. (14/03/2009) Andate ora a leggere qui la spiegazione che l'Arcivesco Desmond Tutu dà del concetto africano ubuntu e tutto diventerà una conseguenza necessaria!
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