P.S. del 1/1/09 Ulteriori precisazioni "semiserie" su questa questione da Accademia della Crusca, nelle mie risposte ai commenti lasciati in questo post.
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giovedì 30 aprile 2009
Alt zero duecento (Alt 0200)
P.S. del 1/1/09 Ulteriori precisazioni "semiserie" su questa questione da Accademia della Crusca, nelle mie risposte ai commenti lasciati in questo post.
mercoledì 29 aprile 2009
Il campo di Arischia
L'istituzione totale è il luogo in cui gruppi di persone risiedono e convivono per un significativo periodo di tempo.
I tratti distintivi di detta istituzione sono:
- l'allontanamento e l'esclusione dal resto della società dei soggetti istituzionalizzati
- l'organizzazione formale e centralmente amministrata del luogo e delle sue dinamiche interne
- il controllo operato dall'alto sui soggetti-membri
Le modalità di accesso ad una istituzione totale sono fondamentalmente due [nel nostro caso ci interessa la prima]:
- la piena identificazione di un soggetto con le tensioni e le finalità espresse dalla situazione comune, come nel caso di luoghi di convivenza continua tipo i conventi e le caserme, in cui lo status di persona istituzionalizzata è di fatto una scelta;
- la costrizione derivante dall'essere considerato un soggetto pericoloso per la società, come nel caso delle carceri e dei manicomi, in cui lo status di persona istituzionalizzata è di fatto imposto.
Miserie umane e sovrumane virtù
martedì 28 aprile 2009
La sorgente
filo, o gocce
la sorgente consegue le stagioni.
Ma il recipiente
sotto la fonte
trabocca calmo, colmo, pieno, piano.
domenica 26 aprile 2009
un binario...
.......................................
un binario...........................
due vite che non s'incontrano mai
condannate a rimanere disgiunte?
o una coppia eternamente unita
e per antonomasia inseparabile?
due rotaie in perpetuo parallele:
un binario..........................
.......................................
.......................................
sabato 25 aprile 2009
La Maison en Petits Cubes
Cartoni animati come questi sono autentica poesia per immagini... vedere per credere!
venerdì 24 aprile 2009
L'ombra della luce
Difendimi dalle forze contrarie,
la notte, nel sonno, quando non sono cosciente,
quando il mio percorso, si fa incerto
E non abbandonarmi mai...
Non mi abbandonare mai!
Riportami nelle zone più alte
in uno dei tuoi regni di quiete:
è tempo di lasciare questo ciclo di vite
E non abbandonarmi mai...
Non mi abbandonare mai!
Perché, le gioie del più profondo affetto
o dei più lievi aneliti del cuore
sono solo l'ombra della luce.
Ricordami, come sono infelice
lontano dalle tue leggi;
come non sprecare il tempo che mi rimane.
E non abbandonarmi mai...
Non mi abbandonare mai!
Perché, la pace che ho sentito in certi monasteri,
o la vibrante intesa di tutti i sensi in festa,
sono solo l'ombra della luce.
giovedì 23 aprile 2009
Padre e figlia
P.S. L'autore di questo poetico e commovente cartone è l'olandese Michaël Dudok de Wit.
Compromessi esplosivi
mai
mai mai
immaginato
di poter vivere
nella menzogna.
Ma senza l'amore
non si sopravvive.
Siamo diventati
due bugiardi:
giusto per
amore.
Noi.
Vagabloggare...
martedì 21 aprile 2009
Incomprensioni
P.S. In questi giorni ho tutt'altro per la testa, ad esempio un amico "binario parallelo" improvvisamente partito per la tangente!
lunedì 20 aprile 2009
Signore delle cime
Con questo pezzo (ben interpretato nel video da non so quale ensemble) ieri il coro dell'Università di Perugia ha aperto il concerto a Todi: abbiamo dedicato Signore delle cime ai caduti del terremoto in Abruzzo, facendolo seguire da un minuto di raccoglimento.
venerdì 17 aprile 2009
Vorrei invecchiare con te
Tu:
martedì 14 aprile 2009
Quel che so di Jodorowsky... (I)
Una testimonianza che parla da sola...
"Io, medico ferito e sfollato dico:
l'allarme alla città andava dato"
di MASSIMO GALLUCCI
professore e direttore UOC di Neuroradiologia Università-ASL dell'Aquila
"Da gennaio, quasi settimanalmente si faceva sentire. Ma, un po' come nel film X-men 2, il verme divoratore era sotto controllo. Così ci era stato detto più e più volte dalla stampa e dalle televisioni locali. E così parcheggio, senza particolari precauzioni, nel piazzale alberato a 100 metri da casa. Casa: una palazzina cielo-terra di 3 piani e piccolo attico, di stesura settecentesca, manipolata più volte in seguito, e da noi restaurata 12 anni fa. Per strada, davanti il mio ingresso, gli studenti che alloggiano in affitto negli appartamenti di fronte in cemento armato. Sono una decina, in strada. Una ragazza piange: "non ne posso più, ho paura voglio andare via". Un ragazzo l'abbraccia protettivo. Stai tranquilla. Sono scosse di assestamento. Ormai ci siamo abituati. Così ci prepariamo, come ogni sera quasi tranquilli. A letto. Io, mia moglie e mia figlia. Un letto d'epoca, veneziano, con una spalliera piuttosto alta, che avrà un ruolo in questa storia. Stranamente essenziale e per questo bellissimo. Lascio la luce dell'abat-jour accesa. All'una circa sono svegliato da un'altra scossa. O l'ho sognata? Resto sveglio. Dopo un po' ne arriva un'altra.
Alle 3 e mezzo il letto salta, si muove. Non c'è più luce elettrica, polvere dovunque, si fa fatica a respirare tra la polvere e l'odore acre, inconfondibile del gas di città, e il ballo continua, accelera, è forsennato, sale il rumore, quel borborigmo che diventa un ululato rotto dagli allarmi delle auto e da grida, grida, grida attorno. Virginia chiama. Mi butto su di lei per ripararla dalla pioggia di calcinacci e urlo: "Non preoccuparti, è finito, è finito!" Ripeto istericamente quella frase per 22 secondi. E' finito! Grido finalmente per l'ultima volta e "ordino" a mia moglie e mia figlia di seguirmi, di scappare via, subito. Scendo dal letto. Macerie sul pavimento. Polvere e odore di gas. Urla da fuori. Non si vede nulla. Cerco a tentoni la porta, ma non riconosco la camera da letto: la stanza è cambiata. O almeno il letto è in un'altra posizione. La trovo. Si apre. A tentoni raggiungo la rampa delle scale con la sensazione di non trovare le pareti al posto giusto. La rampa non c'è: è un cumulo di macerie.
A piedi nudi su quei sassi, poi sui vetri e i resti dei quadri dell'ingresso. Voglio vedere se si apre la porta. Sembra di no, poi qualche spallata e ci riesco e un po' di luce delle stelle penetra la nebbia e lenisce l'angoscia. Grazie a Dio non siamo prigionieri. Corro di nuovo su. Prendo Virginia e chiamo Lucilla. E approccio di nuovo la discesa. Ma stavolta perdo l'equilibrio e cado di schiena, assieme a Virginia, violentemente sul pavimento dell'ingresso. Un bel volo, forse di un metro e mezzo - due? Per un paio di secondi ho fosfeni. "Virginia, Lucilla, uscite! Uscite, sto bene!"
Intanto verifico che muovo le gambe e le mani. Ho un dolore terribile nell'intero tratto lombare. Sicuramente mi sono fratturato. Mi faccio forza ed esco quasi carponi, poi mi metto in piedi e vedo l'orrore che mai avrei creduto o pensato. Il palazzo di fronte: 5 piani di cemento armato accartocciati, stratificati come carte da gioco. Non sarà più alto di 3-4 metri, ora. Non viene una voce da lì dentro. Un silenzio feroce. Mani nei capelli, piango, Daniela amica cara e i bimbi Davide e Matteo; Maria Pia e i figli e quell'anomalo pitbull buono, l'avvocato Fioravanti e la moglie, così dolci e pacati. Che gentiluomo, con la sua piccola collezione di auto d'epoca e il sorriso nonostante la leucemia, e gli altri e gli studenti, quelli che piangevano e si consolavano.Travi di cemento armato di vari metri schiacciano i resti di quella casa. Senza una gru è impossibile fare qualunque cosa. A piedi nudi, sui sassi della città atterrati per terra, come tre zombi facciamo i 50 metri che ci separano da via XX Settembre dove altri zombi seminudi si aggirano senza meta, con gli occhi sbarrati, senza saper dire una parola, guardandosi attorno e piangendo, alcuni. Attraversiamo il parco alberato nel cui piazzale ho parcheggiato e raggiungiamo la macchina. E' coperta di detriti e polvere, ma agibile. Con lucidità sia io che Lucilla avevamo preso le chiavi della macchina dal portaoggetti sul tavolo dell'ingresso fortunatamente in piedi. In auto passiamo qualche ora, mentre la folla aumenta nel piazzale, assieme al dolore lombare. Continuano le scosse.
Sento un ragazzo chiamare Maria, Mariaaaa da sopra le macerie: "c'è mia sorella lì sotto, Mariaaaa!" Alcuni hanno piccole torce elettriche e scavano con le mani. Il termometro della mia auto indica 3 gradi. Chiedo a mia figlia di avvolgermi una pezza da vetri attorno ai piedi congelati. Passano amici e volti noti. Non vedo traccia di isteria. Uno stupore silenzioso e controllato. Tutti si chiedono tra le lacrime: ha bisogno di qualcosa? Sapendo di aver poco o nulla da offrire. Aspettiamo, come bombardati, le luci dell'alba. Per capire. Ma da capire c'è poco. Mia moglie torna a casa. Entra per qualche secondo.
"Casa non c'è più. Abbiamo perso tutto. Sai a chi dobbiamo la vita? Alla spalliera del letto che ci ha riparato dai massi della casa a fianco, accasciata come un vecchio sulla nostra. I massi hanno forzato, curvato su di noi la spalliera spingendo il letto contro l'altra parete. Senza di essa, ci sarebbero venuti addosso, sulle teste". Deo gratias. Una serie di coincidenze ci ha salvato la vita. Il resto non conta. Il resto si rifarà. Sono indeciso ora. Andiamo in ospedale a L'Aquila, dove troverò certamente il caos dei feriti ammassati, o direttamente fuori. Ma chissà cosa ha combinato il terremoto da quelle parti? Chissà le strade? Pensieri contorti che trovano soluzione presto: "Portami in ospedale a L'Aquila. Sto per svenire dal dolore". Sono quasi le otto. Passiamo per una circonvallazione fuori città evitando scientemente il centro con l'auto, e ai nostri occhi si offre anche qui lo scenario di guerra che immaginavamo. Arriviamo e troviamo un'apocalisse ben oltre le previsioni: l'accesso al pronto soccorso bloccato da un crollo e il magnifico costosissimo-ma-solido ospedale è provato, inginocchiato, macilento. Dico a mia moglie di andare direttamente nel mio reparto. Inutile intasare il Pronto Soccorso. E qui trovo gente che dalle 4 del mattino lavora indefessa e già sconvolta dai primi orrori. Riesco a essere studiato. Sento l'affetto di chi mi sta intorno. Sono su una barella, finalmente, con un toradol in vena, e il dolore si lenisce. Ho eseguito RM e TC mentre le scosse continuavano impetuose ed impietose. Ho una diagnosi di frattura vertebrale somatica di L2 e varie contusioni.
Non ho notizie di mia madre, mio fratello, mia sorella, i nipoti: non ho potuto prendere il cellulare, sepolto dentro casa. Quanto siamo stati viziati dalla tecnologia! Col mio cellulare ho perso la rubrica telefonica e quindi tutti i contatti col mondo. In tarda mattinata l'ospedale è dichiarato inagibile ed evacuato. Mi cerco un ricovero altrove con la difficoltà di non conoscere più i numeri di telefono di nessuno e approdo in qualche ora al Policlinico Umberto I a Roma.
È già tempo di leccarsi le ferite e proporre rapide soluzioni. È vero. E' anche vero che se il dolore non deve alimentare né rendere faziosa la rabbia, non deve neanche occultare le legittime domande del caso. Non ho velleità polemiche, e la gratitudine a tutti coloro che si sono adoperati per la mia città è infinita. Non posso, nel nome di quei morti, tacere, però, in merito alla disorganizzazione preventiva e all'informazione fuorviante.
Da quasi 4 mesi erano state registrate quasi 200 scosse con epicentro a L'Aquila e dintorni. Non poteva essere un evento che rientra nei limiti del normale, come si è sentito dire. Nelle ultime settimane erano incrementate di numero ed intensità. Eppure le voci ufficiali erano rassicuranti. "Non creiamo allarmismi".
Ma perché essere preoccupati di dare un allarme consapevole? Noi medici siamo obbligati da anni al consenso informato. Quando io intervengo su un aneurisma cerebrale sono COSTRETTO giustamente a dire e quantificare il rischio percentuale di mortalità. E i Pazienti lo accettano. Non fanno gesti inconsulti. Questo è il mio principale rammarico. Nessuno ha offerto istruzioni calme, rassicuranti, civili, informate. La mia piccola storia assieme alle centinaia di storie di amici, mi ha insegnato che se avessi avuto una torcia elettrica sul comodino non mi sarei fratturato la colonna vertebrale, se avessi avuto un cellulare a portata di mano avrei chiesto aiuto per me e per il palazzo accanto, se molti avessero parcheggiato almeno un'auto fuori dal garage ora l'avrebbero a disposizione, se in quell'auto avessero (e io avessi) messo una borsa con una tuta, uno spazzolino da denti e una bottiglia d'acqua, si sarebbero tollerati meglio i disagi. Se si fosse tenuta una bottiglia d'acqua sul comodino, se si fosse evitato di chiudere a chiave i portoni di casa, se si fosse detto di studiare una strategia di fuga.... Pensate a chi è rimasto incarcerato per ore senza poter comunicare con l'esterno perché aveva il cellulare in un'altra stanza, o perché non trovava al buio le chiavi di casa, come le ragazze di un palazzo a fianco a me già semi sventrato: 6 ore sotto un letto, con la terra che continuava a tremare, perché la porta era chiusa a chiave, senza una torcia elettrica e senza cellulare per chiedere aiuto!
E inoltre, se invece di una decina di vigili del fuoco in servizio ci fosse stata una maggiore disponibilità di forze con mezzi già sul posto, piuttosto che aspettarli da altrove, quegli eroi del quotidiano che sono i nostri vigili del fuoco e i volontari della Protezione Civile avrebbero potuto lavorare in condizioni migliori. Piccole cose. A costo irrisorio. Spero che i nostri figli possano fare affidamento su una società più civile". (13 aprile 2009)
Qui il link alla pagina web del sito di La Repubblica dove sono consultabili anche i commenti lasciati dai lettori del quotidiano.
lunedì 13 aprile 2009
Amarcord
Anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
e come s'affonda nell'acqua
immergiti nel sonno
nuda e vestita di bianco
il più bello dei sogni
ti accoglierà.
Anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
abbandonati come nell'arco delle mie braccia
nel tuo sonno non dimenticarmi
chiudi gli occhi pian piano
i tuoi occhi marroni
dove brucia una fiamma verde
anima mia.
domenica 12 aprile 2009
Buona Pasqua a tutti...
sabato 11 aprile 2009
Vigilia di una Pasqua che nessuno dimenticherà
Come la polvere sotto al tappeto...
Stiamo scoperchiando una pentola?
http://miskappa.blogspot.com è il link diretto al blog di Anna. La fonte del video di cui sopra è invece http://www.byoblu.com (e sempre da ByoBlu si legga anche questo). Se c'è una pentola da scoperchiare i blogger lo faranno.
P.S. Dopo averlo frequentato un po' più a lungo, per coerenza devo prendere le distanze dal blog di Miss Kappa, qui sopra linkato: pur comprendendo lo stato d'animo della sua autrice, la mia opinione è che il gusto di fare polemica si sposa sempre male al desiderio di portare a galla la verità. Punto. (18/04/09)E mi permetto di pubblicare il testo della mail che ho appena ricevuto da un caro web-amico, perché esprime molto bene quello che provo anch'io:
Caro Daniele credo che quest'anno... le persone che son uomini, stiano tutti in sofferenza... io sinceramente, alla notizia di stasera della sabbia marina per legare il cemento ritrovata nella maggior parte dei manufatti, sono stramazzato... sai cosa??? Siamo impotenti contro il malaffare e la politica che si è fatta gioco di noi sistematicamente da 50 anni... o forse più... Ho due figli studenti universitari... e sentire di quei ragazzi mi ha fatto ancor più male... quasi li avessero tolti a me. Un assurdo... no... questa credo sia rabbia ma al tempo stesso "amore" per la vita! Quella vita che cercano continuamente di minarci per via del denaro... alla fine dietro tutte le questioni c'è questo. E' inutile che si appellano contra una natura malevola... contro un Dio che gira le spalle... di terremoto non muore nessuno... siamo stati noi uomini a fornire la macchina da guerra! E' l'uomo stesso che ha ucciso tutte quelle persone e ridotto a "humus" migliaia di altri. E poi, mi ha dato fastidio da morire... ma davvero non sai quanto... lo sciacallaggio mediatico... addirittura ad aprire la portiera di quella poraccia che stava dormendo in macchina per chiedergli come si sentiva!!! Chiudo che è meglio... ti abbraccio e ti auguro tanta serenità!
con stima Paolo
Il video a cui si riferisce P. - segnalatomi anche da Moloch in un commento - è il seguente.. roba da pazzi!
Ma chi gli insegna a fare i giornalisti a questi qui... ma chi sono questi deficienti senza un briciolo di coscienza? Che fine hanno fatto la pietas, il rispetto, l'amore per il prossimo? Quali terremoti dell'anima possono demolire talmente proprio i sentimenti che distinguono un essere umano da un automa?
venerdì 10 aprile 2009
Pasqua di lutto e dolore, ma anche di speranza
Sinceramente, faccio fatica quest'anno a trovare in cuore la serenità per augurare buona Pasqua: più che a quella di Cristo penso alla resurrezione che dovrà far rinascere il capoluogo abruzzese e gli altri paesi crocifissi dal terremoto del 6 aprile. Non sto auspicando superficiale ottimismo, ma di guardare al futuro con fiducia e coraggio: non arrendiamoci a vivere questi giorni "semplicemente" nella tristezza, come viene naturale in siffatte gravi circostanze. Ognuno di noi faccia qualcosa affinché questa Pasqua di lutto e dolore possa realmente essere anche annuncio di speranza e resurrezione, soprattutto per quanti direttamente colpiti dal sisma. Con questo spirito, auguro a tutti buona Pasqua.
Elenco sottoscrizioni e aiuti per l'Abruzzo
- Fondazione Banco Alimentare Onlus : donazioni in denaro (dai privati) e raccolta generi alimentari (dalle aziende).
- Croce Rossa Italiana : donazioni in denaro.
- Misericordie : donazioni in denaro.
- AVIS : donazioni in denaro.
- ANPAS (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) : donazioni in denaro.
- ANA (Associazione Nazionale Alpini) : donazioni in denaro e - presso la sezione abruzzese di Paganica - raccolta materiali vari (alimentari, abbigliamento attrezzature ecc.).
- Caritas Italiana : donazioni in denaro.
- Corriere della Sera : offerta alloggi e/o donazioni in denaro.
- Gruppo Espresso : donazioni in denaro.
- La Nazione : donazioni in denaro.
- Italia Oggi : donazioni in denaro.
- PD (Partito Democratico) : reclutamento di volontari (medici, infermieri, elettricisti, idraulici, cuochi, falegnami, psicologi, informatici, radioamatori, etc.) a disposizione della Protezione Civile e allestimento cucine da campo.
- CGIL - CISL - UIL : donazioni in denaro.
- ARCI : donazioni in denaro.
L'Aquila e gli avvoltoi... vergogna!!!
Alessandra Cora
giovedì 9 aprile 2009
Cuor di Zagreo
Titolo: "Cuor di Zagreo" - Il viaggio dell'anima: orfismo e miti escatologici in Platone
Editore: Seneca Edizioni
Collana: Manuzio
Pagine: 328
ISBN: 978-88-6122-146-8
Prezzo: € 19,00
Riassunto (dal sito di Seneca Edizioni) |
Socrate mostra di conoscere un’antica narrazione la quale “viene raccontata negli scritti segreti”, opera di “poeti ispirati dagli dei”, di “quelli che istituirono le iniziazioni” o, più concretamente, “di Museo e di suo figlio”, oppure di “quelli di Orfeo”. Secondo questo antico racconto, l’anima è immortale, ma porta con sé una certa colpa, probabilmente la morte di Dioniso ad opera dei Titani, per la quale deve subire un certo castigo sia in questo che nell’altro mondo, perché essa può subire diverse reincarnazioni. Durante il suo percorso in questo mondo, l’anima si trova reclusa dentro il corpo come se questo fosse una tomba, dato che ciò che l’anima vive in questo mondo non è una vita vera, ma una sorta di quiescenza, di morte. L’uomo deve ritornare alla sua origine divina, e reintegrarsi, in un cammino rituale di fede e conoscenza, recuperando la sua identità immortale attraverso il ricordo, l’anamnesi del suo percorso dal divenire al mortale. Nel suo tragitto, che appare quindi ribaltato, dopo la morte verso la vita, ora integrale e reintegrativa, l’anima si avvia verso le “case ben costruite dell’Ade”, prive ormai dei connotati tenebrosi che erano propri alla tradizione omerica, dimore alla cui destra scorre una fonte con accanto un bianco cipresso, fonte da cui, l’anima che vi giunge assetata di conoscenza, non deve bere, ma piuttosto attendere di dissetarsi alla palude di Mnemosyne, della Memoria (…), con il beneplacito dei Custodi, i quali chiederanno “al defunto di rivelarsi e giustificare la sua presenza nell’Ade”. Questo è il percorso escatologico dell’anima nell’oltretomba, secondo il quale “l’anima ha bisogno di ricordare per conoscere e conoscere per ricordare”, ed è questa la strada che viene indicata nelle lamine d’oro comunemente denominate ‘Orfiche’. Platone riferisce ai “seguaci d’Orfeo” (oi amphì Orphéa) l’aver definito il corpo “tomba dell’anima” (sēma tēs psychēs) e, allo stesso tempo, l’averlo definito “segno” (sēma) perché attraverso di esso l’anima si esprime (sēmaínei). Il corpo, allo stesso tempo, è la “custodia” (sōma) dell’anima la quale viene custodita (sōizētai) fino a quando non abbia scontato per intero i suoi debiti (Cratilo 400c). Il corpo viene dunque inteso come “carcere”, luogo di punizione dell’anima la cui liberazione coincide con l’affrancamento dell’anima dal ciclo di nascita e morte. La morte stessa, nella concezione greca, si definisce come stato di oblio, sonno, latenza notturna. Ma, come mostra il mito di Er, non si è morti fino a quando non sia bevuta l’acqua del fiume dell’oblio. In questo senso, sia la plaga infera di Lēthē che lo stesso Ade (Aidēs), diventano allegorie le quali, prescindendo dal fenomeno biologico e dal mito, rimandano a un concetto più profondo di “morte” e di “inferi”: la morte dell’anima, intesa come uno stato di cecità, o di offuscamento spirituale susseguente uno stato d’oblio. In altre parole, “morte” esprime uno stato completamente opposto a quello dell’iniziato, al quale è dato contemplare, in vita, le pure visioni e, dopo la morte, entrare a far parte del regno beato degli dèi. Dopo la morte, le anime si avviano verso le regioni dell’oltretomba e debbono attraversare Lēthē: la Pianura dell’Oblio. Lungo il cammino, sono tormentate da un tremendo calore e da un’afa opprimente. Per conseguenza, patiscono una sete violenta. La pianura di Lēthē é priva d’alberi e di ogni altro prodotto della terra feconda. Giunte alla pianura, le anime sono costrette a bere l’acqua del fiume Amelete, «la cui acqua non può essere contenuta in vaso alcuno». Tormentate dall’arsura, alcune bevevano di quell’acqua con avidità, altre smodatamente. Più ne bevevano, più rapidamente «si scordavano di tutto». Quelle che si lasciavano guidare dall’intelligenza, invece, ne bevevano in minor quantità. Il guerriero Er, che si trovava fra quelle anime, si ricordò del divieto che aveva ricevuto e non bevve affatto. Si risvegliò, senza saper come, sulla pira funebre dove stava per essere arso. Le anime che s’erano dissetate con l’acqua di Amelete (Amelēs), invece, ridestate dal tuono e dal terremoto, veloci «come stelle cadenti» tornavano sulla terra per rinascere in un nuovo corpo (Platone, Rep. 621a-c). Incatenato alla conoscenza profana, che è quella dei sensi coordinati dalla ragione, l’uomo vive alimentandosi della “morte del divino”, ma, nel suo vivere terreno, vive la propria morte come essere divino. Vittima dell’oblio –come chi ha bevuto l’acqua di Lēthē – convinto di vivere la propria vita, vive invece la propria morte. Nel suo quotidiano ridestarsi alla luce del giorno, chiude gli occhi dell’anima alla Luce per aprirli al triste tenebrore che regna nella terra dei morti. Morto prima di morire, continuerà a morire dopo la morte. E, tornando alla Repubblica platonica (621 c), la morte delle anime che hanno bevuto l’acqua dell’oblio consiste nel tornare di nuovo al ciclo di nascita e morte, dove nascere equivale a “morire”. Platone fa sua la concezione orfica che associa la morte all’oblio e la vittoria sulla morte al ricordo. Che la potenza di tale “morte” –analogica, per quanto riguarda la conoscenza– sia proprio l’oblio è dimostrato dal fatto che agli iniziati orfici, nel post-mortem, è prescritto di bere non alla corrente di Lēthē ma ad una fonte il cui nome suona l’esatto contrario di lēthē: Mnēmosýnē, la Fonte della Memoria, o del Ricordo: «E troverai alla sinistra delle case di Ade una fonte, e accanto ad essa un bianco cipresso diritto: a questa fonte non accostarti neppure da presso. E ne troverai un’altra, fredda acqua che scorre dalla palude di Mnēmosýnē: e davanti stanno i custodi (phýlakes). Di’ loro: Sono figlio della Terra e di Cielo stellante, inoltre la mia stirpe è celeste (emoì génos ouránion); e questo sapete anche voi. Sono riarsa di sete e muoio: ma date, subito, fredda acqua che scorre dalla palude di Mnēmosýnē. Ed essi ti lasceranno bere dalla fonte divina e in seguito tu regnerai assieme agli altri eroi…» (Laminetta di Petelia: Colli 4[A63]). |