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martedì 27 febbraio 2007

Per orientarsi in questo blog

3 : commenti
Attendo che qualche anima benedetta (!) passi da queste parti e lasci qualche commento, nel frattempo sto cercando di dar forma e sostanza a questo blog.

Visto che sto portando avanti, in parallelo, diversi fili di pensiero nei post, oggi ho creato una serie di etichette (si trovano in fondo a ciascun post) per permettere a chi naviga su queste pagine di selezionare i post in base al loro argomento, ché scorrerli soltanto secondo l'ordine cronologico (possibilmente dal più datato al più recente e non viceversa) può dire davvero ben poco.

Le etichette (per ora) sono queste:
  1. STORIE PER L'ANIMA - storie "positive" e "nutrienti" che viaggiano in internet, per dare forza, fiducia e speranza.
  2. POESIE INDIMENTICABILI - poesie famose pescate nel web... di quelle che spalancano il cuore!
  3. POSITIVITA' DAL MONDO - belle notizie per guardare al futuro con un po' di ottimismo... e vediamo tutti quanto ce n'è bisogno!
  4. PREGHIERE - non le classiche preghiere del catechismo di una esclusiva religione bensì figlie di una spiritualità ecumenica ed universale.
  5. PER NON TEMERE LA MORTE - la morte non deve fare paura, ci passeremo come si passa per un aeroporto: per tornare a casa dopo un lungo viaggio.
  6. FIABE - fiabe particolari, lette, trovate nel corso delle mie navigazioni o arrivate per mail.
  7. IL FILO DEL BLOG - qui parlo in generale del contenuto dei 2 libri che ho scritto finora... non per tributo all'egocentrismo: è solo che internet è una delle poche possibilità che ho per dar loro visibilità.
  8. DA VENTIDUE PASSI D'AMORE - brani del libro citati perché pertinenti ai temi generali trattati nel blog.
  9. DA SOSPENSIONI DI GRAVITA' - brani del libro citati perché pertinenti ai temi generali trattati nel blog.
  10. ISTRUZIONI PER L'USO - spiegazioni pseudo-tecnico-pratiche (!) per utilizzare il blog;
  11. OFF TOPIC - miscellanea pazza o incatalogabile.
Se trovate il contenuto di un post interessante, e volete consultare il blog oltre che in verticale (criterio cronologico) anche in orizzontale (criterio contestuale), cliccate sull'etichetta in calce e selezionerete tutti i post di contenuto simile.
N.B. Il blog si apre per default sull'ultimo post inserito. Che si consulti una selezione o tutto l'elenco dei post, per andare dai post più vecchi a quelli più recenti bisogna scendere fino alla base della pagina e poi risalire dal basso verso l'alto. Questa spiegazione potrà risultare pedante, ma ho scoperto che c'è chi trova tutt'altro che ovvio tale funzionamento (comune alla generalità dei blog).
Quanto a me... come sono, cosa penso e in cosa credo, dovrebbe emergere trasversalmente a tutti i post che scrivo e ai brani che seleziono!

POST SCRIPTUM DEL 2010: la suddetta catalogazione è stata nel frattempo notevolmente ampliata e totalmente stravolta! :-)

Arcipelaghi

0 : commenti
Da ora inizierò anche ad inserire qualche poesia o brano tratto dai miei due piccoli libri.


ARCIPELAGHI

Sembriamo arcipelaghi lontani

capi e puntini
di raccordata solitudine.

Ma fummo il mare

e giunti al fine del navigare
sarà di nuovo.




A lato disegno di Anna Paola Maestrini, da Sospensioni di gravità, Maree di bianco e nero, "Il deflusso", abbinato alla poesia "Arcipelaghi".

Il più bello dei mari

0 : commenti
Il più bello dei mari è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto.  
I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di più bello non te l'ho ancora detto.

Di fronte alla morte... la vita (II)

1 : commenti
Ho ritrovato in questa poesia di Nazim Hikmet quello che cercavo di dire nel post "Di fronte alla morte... la vita (I)". La poesia ha il potere di sintetizzare concetti immensi in piccoli versi.

ALLA VITA
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio 
come fa lo scoiattolo, ad esempio, 
senza aspettarti nulla 
dal di fuori o nell'al di là. 
Non avrai altro da fare che vivere. 

La vita non è uno scherzo. 
Prendila sul serio 
ma sul serio a tal punto 
che messo contro un muro,
ad esempio, le mani legate, 
o dentro un laboratorio 
col camice bianco e grandi occhiali 
tu muoia affinché vivano gli uomini, 
gli uomini di cui non conoscerai la faccia, 
e morrai sapendo che nulla è più bello 
più vero della vita. 

Prendila sul serio 
ma sul serio a tal punto 
che a settant'anni, ad esempio,
pianterai degli ulivi 
non perché restino ai tuoi figli 
ma perché non crederai alla morte 
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.

È l'alba. S'illumina il mondo

0 : commenti

Comincio con questo post a citare qualche poesia di Nazim Hikmet, poeta nato a Salonicco nel 1902. Ahimè l'ho scoperto tardi; mi ritrovo molto vicino al suo sentire (come sento lui molto vicino a un altro autore che amo, Gibran). Esponente di spicco della cultura turca del '900, scrisse molte delle sue poesie durante la detenzione in carcere. Si trasferì negli anni '20 in Russia e rientrato successivamente in Turchia fu condannato per la sua opposizione al regime e per propaganda comunista. Rimesso in libertà nel 1950, si stabilì a Mosca dover morì nel 1963. Per Nazim Hikmet la poesia d'amore non è mai soltanto poesia d'amore, egli riassume in "Amore" la sua esistenza, quelle esperienze che ognuno di noi ha almeno una volta nella vita. Caratteristica è la quasi totale mancanza di punteggiatura nelle sue poesie (informazioni tratte da www.poesia-creativa.it). In Italia hanno contribuito a renderlo noto al grande pubblico le citazioni e i riferimenti inseriti dal regista di origine turca Ozpetek ne Le fate ignoranti (2001).
Naturalmente, come per tutta la letteratura tradotta da un'altra lingua, spetta al traduttore l'onore e l'onere di riuscire a restituirci il significato pur evocando in qualche modo il ritmo originario, ma le immagini e le emozioni trasmesse dalle poesie spesso son così forti da sapersi ritrasformare in nuova poesia in tutte le lingue del mondo!

È L'ALBA
È L'alba. S'illumina il mondo 
come l'acqua che lascia cadere sul fondo 
le sue impurità. E sei tu, all'improvviso 
tu, mio amore, nel chiarore infinito 
di fronte a me. 

Giorno d'inverno, senza macchia, trasparente 
come vetro. Addentare la polpa candida e sana 
d'un frutto. Amarti, mia rosa, somiglia 
all'aspirare l'aria in un bosco di pini. 

Chi sa, forse non ci ameremmo tanto 
se le nostre anime non si vedessero da lontano 
non saremmo così vicini, chi sa, 
se la sorte non ci avesse divisi. 

È così, mio usignolo, tra te e me 
c'è solo una differenza di grado: 
tu hai le ali e non puoi volare 
io ho le mani e non posso pensare. 

Finito, dirà un giorno madre Natura 
finito di ridere e piangere 
e sarà ancora la vita immensa 
che non vede non parla non pensa.

(libri di questo autore)

Di fronte alla morte... la vita (I)

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Ancora un brano che parla della morte (ringrazio Marghit di averlo condiviso nella mailing list a cui entrambi apparteniamo).


So bene che chi parte da una posizione atea è scettico riguardo testi come quello che segue, li considera mere consolazioni o peggio alibi per non impegnarsi nella vita o perfino fuggirne per cercare sin da subito l'Eden perduto. Certo, può esistere un "non credente" socialmente impegnato e un "credente" che scappa dalla vita: sono posizioni estreme


Sono tra quanti credono che ogni esistenza in Terra abbia un suo preciso senso e valore. Il giorno del ritorno a Casa giungerà per tutti, quando sarà il momento. Intanto, finché stiamo qua, dobbiamo impegnarci nel dare il nostro meglio in tutto ciò che ci arriva da affrontare, compreso un lutto. 


"Se ami qualcuno, lascialo libero" vale anche per i nostri cari che ci hanno lasciato: è veramente l'ultimo grande gesto d'amore che possiamo donar loro.

A TE CHE PIANGI I TUOI MORTI 
Se mi ami non piangere! Se conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo, se potessi vedere e sentire quello che io sento e vedo in questi orizzonti senza fine e in questa luce che tutto penetra ed investe, non piangeresti se mi ami. Sono oramai assorbito dall'incanto di Dio dalle sue espressioni di sconfinata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e meschine al confronto! Mi è rimasto l'affetto per te, una tenerezza che non ho mai conosciuto! Ci siamo amati e conosciuti nel tempo: ma tutto allora era così fugace e limitato! Io vivo nella serena e gioiosa attesa del tuo arrivo fra noi. Tu pensami così; nelle tue battaglie pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte, e dove ci disseteremo insieme, nel trasporto più puro ed intenso, alla fonte inestinguibile della gioia e dell'amore! Non piangere più se veramente mi ami! 

Padre Giacomo Perico S. J. (Ranica 1911- Milano 2000)

domenica 25 febbraio 2007

La ninfa, il mago, l'arcobaleno

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Una delle leggende ladine raccolte e raccontate da Karl Felix Wolff. E' sempre un piacere incantarsi leggendo o ascoltando una bella fiaba...
In un tempo molto lontano, nel lago di Carezza viveva una bellissima Ondina che spesso si sedeva a cantare su quella riva, ma - appena costei sentiva avvicinarsi qualcuno - tornava in fretta ad immergersi nell'acqua.

Vicino al lago, nel gran bosco che sale su fino alle cime del Latemàr, abitava uno stregone, il quale un giorno, per caso, vide quella ninfa sulla sponda e fu tanto colpito dalla sua bellezza da volerla rapire. Ogni giorno se ne veniva al lago e tentava di avvicinarla, però la delicata Ondina, allorché lo notava, si tuffava via e quello restava solo con la sua rabbia. Qualche volta lo prendeva un tal furore che, per sfogarsi, scatenava sul Latemàr tremendi temporali e scagliava fulmini a dozzine nel lago di Carezza. Ma lei se ne rideva, tranquilla e sicura sul fondo...

Dopo un po' di tempo, lo stregone capì che in questo modo non avrebbe ottenuto nulla e pensò di ricorrere alle proprie arti magiche. Si trasformò in una lontra ed a mezzogiorno, l'ora in cui la sua bella soleva sedere al sole sulla riva, cercò di avvicinarsi furtivamente, strisciando fra gli alberi del bosco. E, quando fu abbastanza vicino per udire il canto di quella, fece fra sé con gioia non pura: "Questa volta non mi scappi!"; ma anche quel giorno, come capitava sempre quando la ninfa lasciava giocare la propria voce per l'aria, gli uccelli del bosco si erano raccolti tutti sugli alberi vicini alla sponda per ascoltarne la canzone ed imparare da lei. Bene, nell'attimo in cui videro la perfida lontra avvicinarsi di nascosto, intuirono il pericolo che minacciava la loro amica e cominciarono a cinguettare all'unisono ed a svolazzare qua e là con gran trambusto!

L'Ondina, vedendo gli uccelli tanto insolitamente irrequieti, sentì odor di pericolo e corse a nascondersi nel lago. Subito il mago le fu dietro e la inseguì a nuoto: ormai quella era nel suo elemento e la più abile di tutte le lontre non l'avrebbe mai raggiunta. Lo stregone dovette quindi tornarsene indietro con le pive nel sacco e tanto irritato contro gli uccelli, che avrebbe voluto sradicare tutti gli alberi per impedir loro di potersi più posare vicino a quella graziosa amica. Poi, ragionandoci meglio, capì che, se l'avesse fatto, non avrebbe comunque più potuto sperare di avvicinarsi non visto alla bella Ondina.

Ostinato e fuori di sé per il dispetto, non sapendo più a chi votarsi, un bel giorno l'uomo si decise a salire sul Vajolòn per consultare una Stria del Masaré che abitava lassù in una caverna. La vecchia si mise a ridere e gli disse: "Vuoi essere un mago e ti fai canzonare da una piccola ninfa? Sei davvero un grande Mago! Un bambino sarebbe più furbo di te..."
Lo stregone indispettito le rispose che la faccenda non era tanto facile, che lui stesso si era già rivolto ad altri due maghi e che, tutti e tre assieme, non avevano saputo trovar di meglio di quel che aveva già fatto.

La strega non poté trattenersi dal continuare a ridere, perché c'era da divertirsi un mondo della cosa, ma alla fine, sempre in tono di scherno, lo congedò: "Allora ti darò io un consiglio. La ninfa non ha mai visto un arcobaleno: tu costruiscine uno che abbia un capo sulle vette del Latemàr e l'altro sul lago e fallo più bello che puoi. Appena lei lo vedrà - è uno spirito, ma sempre femminile! - verrà fuori ad ammirarlo e vorrà sapere curiosa cosa sia. Tu intanto ti sarai cambiato in un vecchio mercante con una bella barba bianca ed un sacco pieno d'oggetti d'oro e di gioielli e ti avvicinerai alla riva del lago non di nascosto ma apertamente, con passo fermo e tranquillo. Arrivato all'acqua, toccherai con mano l'arcobaleno e dirai quasi parlando con te stesso - Guarda qua! Questo è il tessuto con cui si fanno i meravigliosi gioielli dell'aria... - Ne taglierai un pezzetto e lo metterai nel tuo sacco, dal quale farai così cadere l'oro e gli oggetti preziosi prima nascosti dentro. L'Ondina, che non ha mai visto simili cose, non potrà trattenere la sua curiosità e verrà a parlare con te. Allora, tu racconterai serenamente che sei un gran mercante, che certe principesse ti ordinano gioielli d'aria e che a casa tua hai ogni sorta di meraviglie... ed alla fine la inviterai a vedere la tua merce! Vedrai che per curiosità la tua bella perderà ogni prudenza e verrà con te ovunque vorrai condurla.

Lo stregone fu entusiasta del piano che gli parve come minimo geniale. Il giorno stesso salì sul Latemàr e vi creò un magnifico arcobaleno, che inarcò al di sopra dei boschi fin laggiù, al lago di Carezza. Subito l'Ondina mise fuori la testa dalle acque e guardò con meraviglia quei bei colori insoliti. È vero che sul fondale del lago vi erano molte pietre preziose, ma erano tutte sepolte nella sabbia e ad esse lei mai aveva fatto caso. Quando lo stregone del Latemàr la vide ammirare con tanto sbigottimento l'arcobaleno, credette d'essere sicuro del fatto suo e corse giù per il bosco a rotta di collo. Ma era così impaziente che dimenticò di prendere l'aspetto da mercante e, appena, la Ninfa lo vide arrivare, lo riconobbe e con un salto fu nell'acqua.

Allora lo stregone fu invaso da un'ira smisurata. Per sfogarsi sradicò alberi, scagliò pietre e macigni ed alla fine afferrò pure l'arcobaleno: lo fece in mille pezzi e lo gettò nel lago!!! Poi si arrampicò sui monti e non si fece mai più vedere...

Frattanto, l'arcobaleno si era sciolto ed i suoi colori si erano sparsi sulla superficie dell'acqua, dove sono sempre rimasti.

La falena e la sua stella

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Devo ancora all'amico Franco, questo simpaticissimo brano... a volte la differenza tra una vita vissuta e una vita bruciata sta in un po' di sana e sacra follia!
Un giorno una piccola falena s'innamorò di una stella. Ne parlò alla madre e questa le consigliò di invaghirsi di un abat-jour: "Le stelle non sono fatte per svolazzarci dietro, almeno con le lampade approdi a qualcosa", disse. "Ad andar dietro a una stella non avrai mai nulla", aggiunse il padre. Ma la falena non ascoltò né l'uno né l'altro. Ogni sera al tramonto, quando la sua stella spuntava, si avviava in volo verso di essa e ogni mattina all'alba tornava a casa stremata di fatica. Ma non si dava per vinta: continuò ostinatamente i suoi inutili tentativi di raggiungere la sua stella. La sua stella era lontana migliaia di anni luce ma lei pensava che fosse impigliata fra i rami del vecchio olmo. Provare e riprovare, ogni notte, le dava anche un certo piacere, tanto che visse fino a tardissima età. I suoi genitori, i suoi fratelli e le sue sorelle, invece, erano morti tutti giovani bruciandosi le ali mentre svolazzavano attorno ad abat-jour, lampade e lampioni.
VOLA SOLO CHI OSA FARLO

I Tribunali del Perdono

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Un articolo di Jacopo Fo che racconta come il ciclo della violenza e la reiterazione del dolore possano essere spezzati. Nuove idee, soluzioni diverse: per uomini nuovi in un mondo migliore.
Quando Nelson Mandela capitanò l'ultima protesta contro l'apartheid in Sudafrica e il regime razzista cadde egli capì che doveva porre ai suoi connazionali una grande e difficile domanda. Una domanda impossibile da porre ad un popolo occidentale. Incomprensibile addirittura per i nostri schemi mentali. Egli chiese: cosa dobbiamo fare a chi ci ha torturato, ucciso, tenuto in catene, umiliato? Cosa facciamo a chi ha ucciso i nostri padri, violentato le nostre madri, le nostre mogli, le nostre figlie? Cosa facciamo a quei cani che ci hanno azzannato per tutta la vita? Nessuno metteva in dubbio che un ladro o un assassino dovessero essere messi in prigione per impedir loro di compiere un altro reato e perché venissero sottoposti ad un percorso di rieducazione. Ma nel caso dei carnefici e dei loro mandanti che avevano torturati il popolo per decenni sembrò che non si potesse usare la stessa logica punitiva. Il crimine era troppo immenso perché potesse essere punito. Quindi, dopo moltissime discussioni si decise di non punire i colpevoli delle più tremende e barbariche violenze compiute in Sudafrica. Questi neri hanno ancora una forte componente dell'antica cultura matriarcale che riconosce al suo centro, come fulcro, l'idea del valore spirituale dell'esperienza e l'interconnessione stretta tra tutti i fenomeni. E questa cultura porta più facilmente a identificarsi nelle vittime per comprendere quale è la loro esigenza più forte e profonda. Se hai subito l'abominio, una semplice vendetta non è soddisfacente. Non cambia l'orrore che hai vissuto, le stigmate dell'umiliazione, il tormento dei ricordi e dei rimpianti. Anche se ammazzi il tuo torturatore e lo fai morire in modo lento e doloroso, la tua percezione dell'orrore vissuto non cambia. Nella cultura bantù esiste un concetto che ha un valore maggiore della vendetta: la consolazione della vittima. Così essi si chiesero che cosa potesse veramente modificare lo stato mentale delle vittime. Riscattare almeno in parte l'ingiustizia subita. E dissero: rinunciamo alla vendetta perché l'unico medicamento che dà sollievo al dolore delle vittime è la comprensione. Il dolore viene arginato solo dalla sua condivisione collettiva. Quando il torturato torna nel suo villaggio e racconta di aver subito 100 frustate anche i suoi amici si chiedono se, magari, non stia esagerando un po'. Non mettono in dubbio che sia stato frustato ma si chiedono se le frustate siano state proprio 100 oppure "solo" 70. Il torturato invece desidera innanzitutto di essere creduto totalmente e che la misura del suo dolore sia riconosciuta. Questa è l'unica possibile, piccola consolazione. E allora il governo dei neri inventa un istituto legale incredibile: i Tribunali del Perdono. Per anni sono andati avanti a tenere udienza in questi tribunali speciali. Le vittime si presentano e raccontano tutto quello che hanno patito e fanno i nomi dei loro carnefici. I quali sono obbligati a presentarsi e a confessare pubblicamente raccontando per filo e per segno quali crimini hanno commesso e come. Se ammettono le colpe non vengono puniti in nessun modo. Così si ottiene e che nessuno possa negare la verità di quei fatti. Non esisterà mai nessuno in Sudafrica che potrà mettere in dubbio la misura dei crimini commessi perché vittime e carnefici hanno testimoniato e le loro dichiarazioni sono state filmate e trasmesse in televisione. Ci sono voluti anni per elencare, descrivere e comprovare l'enorme mole dei crimini commessi. Oggi c'è chi nega i crimini nazisti, stalinisti, di Pinochet, dei colonnelli greci o argentini. Questa situazione è legata proprio al tentativo di punire in modo vendicativo i colpevoli. Un procedimento che genera automaticamente una difesa che cerca di negare le colpe. E questa negazione degli orrori del passato, restando più o meno latente, semina odi e rancori e inestinguibili. Ma attenzione, non si tratta di rinunciare all'azione, di fronte agli orrori non si può non reagire, ma di sostituire l'azione della vendetta con quella della presa di coscienza degli orrori.
P.S. (14/03/2009) Andate ora a leggere qui la spiegazione che l'Arcivesco Desmond Tutu dà del concetto africano ubuntu e tutto diventerà una conseguenza necessaria!

Tutto quello di cui ho bisogno

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Ancora un brano che circola su internet. Ringrazio Franco che me lo ha fatto conoscere, e con esso la storia del suo autore.
 
Chiesi a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi ed Egli mi rese debole per conservarmi nell’umiltà.
Domandai a Dio che mi desse la salute ed Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli domandai la ricchezza per possedere tutto e mi ha lasciato povero per non essere egoista.
Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me ed Egli mi ha dato l’umiliazione perché io avessi bisogno di loro.
Domandai a Dio tutto per godere la vita e mi ha lasciato la vita perché io potessi essere contento di tutto.
Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo, ma mi hai dato tutto quello di cui ho bisogno e quasi contro la mia volontà.
Le preghiere che non feci furono eseguite. Sii lodato o mio Signore: fra tutti gli uomini nessuno possiede più di quello che ho io.

(Kirk Kilgour, campione americano di pallavolo infortunatosi irrimediabilmente nel 1976)

Una bella preghiera

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PREGHIERA DI SANTA TERESA


Possa oggi esserci la pace.

Possa tu avere fiducia nelle tue possibilità.

Che tu sia esattamente dove avresti voluto essere.

Possa tu non dimenticare le infinite possibilità che nascono dalla fede.

Possa tu usare questi doni che hai ricevuto e trasmettere l'amore che ti è stato donato.

Sii contento di sapere di essere figlio di Dio.

Sia questa presenza fissata nelle tue ossa, e permetti alla tua anima di essere libera di cantare, ballare, glorificare e amare.

Sia così per ognuno di voi.

L'aroma del caffè

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Saggezza in cucina... (ignoro come al solito la fonte).

Una figlia si lamentava con suo padre circa la sua vita e di come le cose le risultavano tanto difficili. Non sapeva come fare per proseguire e credeva di darsi per vinta. Era stanca di lottare. Sembrava che quando risolveva un problema, ne apparisse un altro.
Suo padre, uno chef di cucina, la portò al suo posto di lavoro. Lì riempì tre pentole con acqua e le pose sul fuoco. Quando l'acqua delle tre pentole stava bollendo, in una collocò alcune carote, in un'altra collocò delle uova e nell'ultima collocò dei grani di caffè. Lasciò bollire l'acqua senza dire parola. La figlia aspettò impazientemente, domandandosi cosa stesse facendo il padre...
Dopo venti minuti il padre spense il fuoco. Tirò fuori le carote e le collocò in un piatto. Tirò fuori le uova e le collocò in un altro piatto. Finalmente, colò il caffè e lo mise in una scodella. Guardando sua figlia le disse: "Cara figlia mia, carote, uova o caffè?"
La fece avvicinare e le chiese che toccasse le carote, ella lo fece e notò che erano soffici; dopo le chiese di prendere un uovo e di romperlo, mentre lo tirava fuori dal guscio, osservò l'uovo sodo. Dopo le chiese che provasse a bere il caffè, ella sorrise mentre godeva del suo ricco aroma. Umilmente la figlia domandò: "Cosa significa questo, padre?" Egli le spiegò che i tre elementi avevano affrontato la stessa avversità, "l'acqua bollente", ma avevano reagito in maniera differente. La carota arrivò all'acqua forte, dura, superba; ma dopo avere passato per l'acqua, bollendo era diventata debole, facile da disfare. L'uovo era arrivato all'acqua fragile, il suo guscio fine proteggeva il suo interno molle, ma dopo essere stato in acqua, bollendo, il suo interno si era indurito. Invece, i grani di caffè, erano unici: dopo essere stati in acqua, bollendo, avevano cambiato l'acqua.
"Quale sei tu figlia?" le disse. "Quando l'avversità suona alla tua porta; come rispondi?" "Sei una carota che sembra forte ma quando i problemi ed il dolore ti toccano, diventi debole e perdi la tua forza?" "Sei un uovo che comincia con un cuore malleabile e buono di spirito, ma che dopo una morte, una separazione, un licenziamento, un ostacolo durante il tragitto, diventa duro e rigido? Esternamente ti vedi uguale, ma dentro sei amareggiata ed aspra, con uno spirito ed un cuore indurito?" "O sei come un grano di caffè? Il caffè cambia l'acqua, l'elemento che gli causa dolore. Quando l'acqua arriva al punto di ebollizione il caffè raggiunge il suo migliore sapore." "Se sei come il grano di caffè, quando le cose si mettono peggio, tu reagisci in forma positiva, senza lasciarti vincere, e fai si che le cose che ti succedono migliorino, che esista sempre una luce che, davanti all'avversità, illumini la tua strada e quella della gente che ti circonda".

La morte non è niente

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Una citazione "colta". Per chi purtroppo vede andarsene una persona cara...
La morte non è niente. Sono solamente passato dall'altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo. Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.
(Sant'Agostino)
P.S. Nonostante venga attribuito spesso a S. Agostino (ci sono cascato anche io), questo brano, seppure ispirato dalle parole del Santo d'Ippona, è opera di Henry Scott Holland (1847-1917), canonico della cattedrale di St. Paul (Londra).

Difetti e fiori

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Ancora una storiella "positiva" pescata in rete (ringrazio Sara per avermela mandata).
STORIELLA CINESE

Un'anziana donna cinese aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso all'estremità di un palo che lei portava sulle spalle.
Uno dei vasi aveva una crepa, mentre l'altro era perfetto, ed era sempre pieno d'acqua alla fine della lunga camminata dal ruscello a casa, mentre quello crepato arrivava mezzo vuoto.
Per due anni interi andò avanti così, con la donna che portava a casa solo un vaso e mezzo d'acqua.
Naturalmente, il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati. Ma il povero vaso crepato si vergognava del proprio difetto, ed era avvilito di saper fare solo la metà di ciò per cui era stato fatto. Dopo due anni che si rendeva conto del proprio amaro fallimento, un giorno parlò alla donna lungo il cammino: "Mi vergogno di me stesso, perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l'acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso la vostra casa".
La vecchia sorrise: "Ti sei accorto che ci sono dei fiori dalla tua parte del sentiero, ma non dalla parte dell'altro vaso? È perché io ho sempre saputo del tuo difetto, perciò ho piantato semi di fiori dal tuo lato del sentiero ed ogni giorno, mentre tornavamo, tu li innaffiavi. Per due anni ho potuto raccogliere quei bei fiori per decorare la tavola. Se tu non fossi stato come sei, non avrei avuto quelle bellezze per ingentilire la casa"

Ognuno di noi ha il proprio specifico difetto. Ma sono la crepa e il difetto che ognuno ha a far sì che la nostra convivenza sia interessante e gratificante. Bisogna prendere ciascuno per quello che è e vedere ciò che c'è di buono in lui.

Gli amici sono angeli

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Mi piace cercare e raccogliere da internet "messaggi positivi", epurandoli magari dalle micidiali catene in cui spesso sono buttati. Qualcuno potrà trovarli sdolcinati... ma di tristezza ne circola già talmente tanta che è bene diffondere un po' di parole che scaldano!
Ignoro chi sia l'autore di questo brano, ma ringrazio Angelo per avermelo inoltrato.

Un giorno, ero un ragazzino delle superiori, vidi un ragazzo della mia classe che stava tornando a casa da scuola. Il suo nome era Arturo e sembrava stesse portando tutti i suoi libri. Dissi tra me e me: perché mai uno dovrebbe portarsi a casa tutti i libri di venerdì? Deve essere un ragazzo strano. Io avevo il mio weekend pianificato (feste e una partita di pallone con i miei amici), così ho scrollato le spalle e mi sono incamminato. Mentre stavo camminando vidi un gruppo di ragazzini che correvano incontro ad Arturo. Gli arrivarono addosso facendo cadere tutti i suoi libri e lo spinsero facendolo cadere nel fango. I suoi occhiali volarono via, e li vidi cadere nell'erba un paio di metri più in là. Lui guardò in su e vidi una terribile tristezza nei suoi occhi. Mi rapì il cuore! Così mi incamminai verso di lui mentre stava cercando i suoi occhiali e vidi una lacrima nei suoi occhi. Raccolsi gli occhiali e glieli diedi dicendogli "quei ragazzi sono proprio dei selvaggi, dovrebbero imparare a vivere."
Arturo mi guardò e disse "grazie!", c'era un grosso sorriso sul suo viso, era uno di quei sorrisi che mostrano vera gratitudine. Lo aiutai a raccogliere i libri e gli chiesi dove viveva. Scoprii che viveva vicino a me così gli chiesi come mai non l'avessi mai visto prima. Parlammo per tutta la strada e io lo aiutai a portare alcuni libri. Mi sembrò un ragazzo molto carino ed educato così gli chiesi se gli andava di giocare a calcio con i miei amici e lui disse di si. Stemmo in giro tutto il week end e più lo conoscevo più Arturo mi piaceva così come piaceva ai miei amici. Arrivò il lunedì mattina ed ecco Arturo con tutta la pila dei libri ancora. Lo fermai e gli dissi "ragazzo finirà che ti costruirai dei muscoli incredibili con questa pila di libri ogni giorno!". Egli rise e mi diede metà dei libri.
Nei successivi quattro anni io e Arturo diventammo amici per la pelle. Una volta adolescenti cominciammo a pensare all'università, Arturo decise per Roma ed io per un altra città. Sapevo che saremmo sempre stati amici e che la distanza non sarebbe stata un problema per noi. Arturo sarebbe diventato un medico mentre io mi sarei occupato di cause e litigi. Arturo era il primo della nostra classe e io l'ho sempre preso in giro per essere un secchione. Arturo doveva preparare un discorso per il diploma. Io fui molto felice di non essere al suo posto sul podio a parlare. Il giorno dei diplomi, vidi Arturo, aveva un ottimo aspetto. Lui era uno di quei ragazzi che aveva veramente trovato se stesso durante le scuole superiori. Si era un po' riempito nell'aspetto e stava molto bene con gli occhiali. Aveva qualcosa in più e tutte le ragazze lo amavano. Ragazzi qualche volta ero un po' geloso! Oggi era uno di quei giorni, potevo vedere che era un po' nervoso per il discorso che doveva fare, così gli diedi una pacca sulla spalla e gli dissi: "giovane te la caverai alla grande!" Mi guardò con uno di quegli sguardi (quelli pieni di gratitudine) sorrise e mi disse "grazie".
Iniziò il suo discorso schiarendosi la voce: "Nel giorno del diploma si usa ringraziare coloro che ci hanno aiutato a farcela in questi anni duri. I genitori, gli insegnanti, ma più di tutti i tuoi amici. Sono qui per dire a tutti voi che essere amico di..." Guardai il mio amico Arturo incredulo non appena cominciò a raccontare il giorno del nostro incontro. Lui aveva pianificato di suicidarsi durante il week end. Egli raccontò di come aveva pulito il suo armadietto a scuola, così che la madre non avesse dovuto farlo dopo, e di come si stesse portando a casa tutte le sue cose. Arturo mi guardò intensamente e fece un piccolo sorriso. "Ringraziando il cielo fui salvato, il mio amico mi salvò dal fare quel terribile gesto". Udii un brusio tra la gente a queste rivelazioni. ll ragazzo più popolare ci aveva appena raccontato il suo momento più debole. Vidi sua madre e suo padre che mi guardavano e mi sorridevano, lo stesso sorriso pieno di gratitudine. Non avevo mai realizzato la profondità di quel sorriso fino a quel momento.
Non sottovalutate mai il potere delle vostre azioni. Con un piccolo gesto potete cambiare la vita di una persona, in meglio o in peggio. Dio fa incrociare le nostre vite perché ne possiamo beneficiare in qualche modo. Cercate il buono negli altri. Gli amici sono angeli che ci sollevano i piedi quando le nostre ali hanno problemi nel ricordare come si vola. Non c'è né inizio né fine. Ieri è storia. Domani è mistero.

sabato 17 febbraio 2007

Urca quanto tempo dall'ultimo post!

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Rieccomi qui dopo parecchio tempo, manco me ne ero reso conto. In effetti uno dovrebbe aprire un blog se desidera condividere i propri pensieri, ma non è che poi io abbia tutto questo tempo da dedicarci o un impellente bisogno di farlo. Del resto a parte le poche persone a cui ne ho parlato (stanno così poco su internet che ancora non sono passate qui, e non sto a insistere) nessuno conosce l'esistenza di questo blog e la possibilità di capitarci per caso tende a zero. Dovrei come minimo notificarne il link a tutti i miei amici, al mio indirizzario... dovrei? Non ne sento la necessità ancora. In effetti, più che scrivere qui, mi interessa scrivere materiale per un nuovo libro. Al momento ho due, tre "cantieri" aperti ma ancora un vero e proprio progetto non si è imposto sull'altro: continuo a stare in ascolto, aspettando che arrivi l'ispirazione giusta. Ho poi da parte una ottantina di pagine di un libro un po' particolare - una sorta di manuale di un gioco basato su dei simboli - ma lo sto lasciando decantare e procede con i suoi tempi lunghi. Ed è qualcosa che non ha niente a che fare con Ventidue passi d'amore o Sospensioni di gravità, non è nemmeno letteratura. Vorrei che il terzo libro non fosse di poesia ma comunque sempre "poetico". Che potesse essere letto anche da un bambino ma che fosse stimolante soprattutto per un adulto. Una fiaba forse... ma collegato al mondo e ai tempi che viviamo. Finito di lavorare, il tempo che resta da dedicare alla scrittura è poco. E in questo momento non mi va di "rinchiudermi" a digitare sulla tastiera, è un inverno troppo tiepido per non goderselo appena spunta un raggio di sole. E quando sto con mia figlia son tutto preso da lei: è la fase in cui comincia a ragionare sul serio, a collegare concetti e avvenimenti, a sviluppare il pensiero astratto, a prendere gusto nell'imparare nuove cose, così come nel pattinaggio artistico ha già scoperto la soddisfazione di ottenere un risultato con l'allenamento e la motivazione. Non ho fretta, l'idea "buona" arriverà quando sarà il momento. Sto fissando le prime presentazioni dei miei due libri insieme, tra Roma e Perugia. Voglio trarre frutto dall'esperienza dell'anno scorso relative al primo libro: le prime 6 presentazioni di Ventidue passi d'amore sono andate bene (in crescendo), le ultime 6 non come avrei voluto (a peggiorare). La difficoltà che incontro, più che parlare in pubblico, è parlare ad un pubblico: finisco per non essere me stesso, non come posso esserlo parlando a tu per tu. Del resto non mi piace parlare dei miei libri: un libro va letto, trovo difficile parlarne, tanto più che non ho assolutamente l'animo dell'imbonitore... non riuscirei a vendere nemmeno una stufetta ad un'esquimese! Adesso sono le 9.20 di un sabato mattina di febbraio, fuori saranno già quasi 10 gradi e non resisto. Un bel giro in questo inaspettato tepore s'impone! Ciao.
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