(post di Franco Sarbia)
Ho dedicato un po’ di tempo a un caro amico che stimo, per chiarire il mio pensiero sulla questione del burkini.
Caro amico, Tu virgoletti "dobbiamo rispettare la loro scelta" attribuendo a me una frase che non ho mai detto. Nel caso specifico non si tratta delle limitazioni che l'Islam imporrebbe alla libertà delle donne. Si tratta più precisamente della limitazione che noi, principalmente maschietti più o meno cristiani o atei di ogni tipo, imporremmo alla libertà delle donne musulmane impedendo loro di andare sulle nostre spiagge con il loro costume. In sostanza dicendo loro: «o mi mostri le tette o il bagno sulla mia spiaggia non lo fai». Se anche tutte lo facessero per imposizione dei loro padri o mariti (e non è così come spiegherò tra poco), la nostra pretesa sarebbe ancor più insopportabile: perché uniremmo al divieto maschilista dei loro uomini, di non spogliarsi in presenza di altri, l'imposizione altrettanto maschilista di spogliarsi a nostro piacimento, in nostra presenza. Il risultato della duplice oppressione sarebbe quello d’impedire alle donne arabe, persiane, palestinesi, nordafricane di recarsi in spiaggia con i loro bambini. E questo francamente dovrebbe fare inorridire ogni persona amante della libertà come fondamento dell'integrazione sociale. Perché la spiaggia è per legge uno dei pochi residui luoghi reali di socializzazione, e quindi d'integrazione, accessibile a tutti di diritto.
Nel merito il costume che vorremmo vietare, “perché non ci piace", è una tuta composta da pantaloni e maglietta a mezza coscia, in tutto simile alle tute da ginnastica che ognuno di noi o ciascuna delle nostre compagne usa in casa o per andare al parco. La tuta è completata da una cuffia da bagno con velo che lascia scoperto il volto, funzionalmente identica alle nostre. A differenza del burkini, una muta da sub con maschera, ad esempio, non copre solo completamente il corpo ma anche il viso. Se nessuno s’è mai sognato di vietarla è perché non è dettata da motivazioni religiose. Se nessuno s’è mai azzardato di chiedere alle suore di fare in bagno in bikini è per rispetto del loro voto e del loro obbligo di non spogliarsi in pubblico, identico a quello delle donne islamiche derivante dal precetto di una diversa religione. E questo rende ancor più odiosa la privazione della libertà di fare il bagno, la ghettizzazione, nei confronti delle donne musulmane e dei loro bambini perché si tratta di una discriminazione razzista su base religiosa.
Le donne arabe, che ho sentito in varie interviste, hanno detto che indossano il loro costume da bagno perché risponde meglio dei nostri al loro diverso senso del pudore. Liberi noi di pensare che mentano, ma io so che a rafforzare la loro scelta, quando è tale, è anche una ragione identitaria tanto più forte quanto più noi instiamo nel voler imporre loro la sostituzione dei loro costumi con i nostri: pure quando i loro non limitano in nessun modo la nostra libertà. Devo dirti, anche per il mio senso del pudore, assai più di chi cammina o fa il bagno vestito sulla spiaggia, m'imbarazzano le tette e i piselli al vento d'ogni varietà che spesso si vedono anche su spiagge non riservate ai nudisti. Non è una noia insopportabile e la tollero: mi basta volgere gli occhi da un'altra parte. Ma non è certo più tollerabile del burkini.
In merito alla volontarietà tu dici: «stare con quel marito violento non è una sua scelta. È possibile che io non debba pormi il problema della "solitudine" della vittima? Il burka o i suoi derivati esprimono oggettivamente una condizione di subordinazione della donna musulmana». Quanto a violenza sulle donne credo che i maschi italiani, con il record di un femminicidio al giorno, non possano dare lezioni a nessuno. Poi però parli indistintamente di burka e suoi derivati come atti di violenza. Forse non lo fai per ignoranza ma il burkini nel suo etimo è una crasi tra burka e bikini. La sua ideatrice lo ha definito così in modo ironico, volendo significare la sua funzione "liberatrice" dei movimenti di sua nipote che non poteva giocare a beach netball (una pallacanestro femminile da spiaggia) con il chador: svolazzo che copre il corpo ma non il volto. Burkini e burka sono dunque termini antitetici, opprimente l'uno, liberatorio, sia pur relativamente, l'altro. Con il burka il volto è interamente coperto, inclusi gli occhi per mezzo di una griglia. Il suo obbligo è stato imposto da Al Qaeda alle donne afghane. Non ha nessun senso metterlo sullo stesso piano del hijab, semplice foulard che copre i capelli come quello che indossano le nostre donne in campagna o in chiesa. Se lo facciamo compiamo la stessa operazione dei "democristiani integralisti" quando accomunavano PCI e Brigate rosse. Così facendo ghettizziamo tutte le persone pacifiche ed oneste di fede e costumi islamici e li gettiamo nelle braccia dell'Isis.
Ma quanto il foulard è una scelta e quanto un segno di oppressione? Giustamente chi pensa sia sempre un obbligo non si accontenta di chiederlo alle donne: perché pubblicamente, per compiacere i loro uomini o i loro capi spirituali, potrebbero sostenere che è una scelta anche quando non fosse vero. Come sai io sono felice suocero di una ragazza persiana. Ho conosciuto la sua famiglia in Italia e a Teheran. La sua è una famiglia matriarcale. Sua madre ha un ruolo di regolatrice della vita della famiglia e dei parenti assai più rilevante del "patriarca". In Iran tutte le donne portano il velo in pubblico per convenzione obbligatoria. Non viene certo vissuto dalle donne come il principale problema della condizione femminile: è una forma di rispetto per gli altri “imposta", simile all'obbligo di mettere la cravatta per gli uomini che partecipano alle audizioni in parlamento. Le ragazze più disinibite portano i capelli raccolti sulla nuca. Il loro velo copre solo il "muccio" e lascia scoperto il resto della testa, sotto il foulard molte di loro portano una maglietta quasi trasparente, dei fusò, sottili come calze aderentissime, e minigonne mozzafiato. Ne ho viste molte esibire in tal modo le loro forme: rischiano qualche rimbrotto da parte delle religiose ma niente di più. Quando entrano in Moschea trovano, all'ingresso a disposizione di tutti, il chador, velo che scende fino alle caviglie: obbligatorio solo nel tempio.
Per sapere quanto siano una scelta i diversi "costumi", obbligatori o meno, e quanto un'imposizione, occorre partecipare alla vita privata delle famiglie. In casa nessun velo è obbligatorio e circa il 70% delle donne lo toglie. La mia consuocera, le sue figlie e molte sue nipoti, per esempio, lo tolgono e quando incontrano un uomo di famiglia o un amico lo abbracciano e lo baciano come facciamo noi. Circa il 25% tengono un velo, più meno civettuolo anche in casa; in genere salutano dando la mano anche agli uomini, ma non gradiscono un contatto più ravvicinato. Una piccola minoranza indossa il chador anche in famiglia. Sono considerate dalla famiglia stessa "religiose" alla stregua delle nostre suore. Tipicamente salutano come tutte con "Assalam aleikum", la pace sia con voi, e un inchino senza alcun contatto con l'uomo. Non ho visto nessuna donna iraniana con il burka o il niqab: velo che copre naso e bocca lasciando liberi gli occhi. Questo devi sapere però: anche gran parte delle donne che in casa tolgono il velo, in pubblico lo portano con fierezza come un segno identitario di tipo religioso, e per alcune nazionalistico.
In Iran, in particolare, è ritenuta odiosa dalle donne la pretesa tipicamente yankee di vestirle all’americana. Sicché quanto più insistiamo nel voler uniformare la loro cultura alla nostra, tanto più otteniamo l'effetto contrario, perché ogni volta che immaginiamo l'integrazione come omologazione calpestiamo l'altrui identità. La ragione dell'ostilità è forsanche ideologica ma non è solo strumentale. Negli anni '80 gli americani hanno istigato Saddam ad aggredire il regime a loro "sgradito" dell'Iran, fornendogli bombe e armi chimiche con le quali ha ammazzato 1.000.000 (un milione) di giovani Iraniani. I Persiani sanno benissimo che le guerre americane con l’esportazione della democrazia e della libertà non c'entrano nulla. In Afghanistan, Iran, Iraq, Siria, Libia le hanno scatenate per destabilizzare i regimi che non facevano i loro interessi. D'altro canto si guardano bene dal dichiarare guerra al loro fedele amico governo dell'Arabia Saudita: dittatura che è la massima espressione dell'oppressione femminile nel mondo, e finanziatrice dell'Isis. Sostengono, corrompono e finanziano le dittature più feroci contro i governi democraticamente eletti. Lo hanno fatto in Cile, Argentina, Uruguay, Brasile, Centro America, Filippine, Vicino Oriente. Ma ancor prima, assieme agli Inglesi, lo hanno fatto proprio in Iran finanziando, nel 1953, il golpe liberticida contro il laico, pacifico e democratico Mohammad Mossadeg, semplicemente perché non faceva i loro interessi contro quelli del suo popolo. Per questo purtroppo la maggior parte delle donne che indossano il velo in pubblico con orgoglio lo fanno per distinguere i loro costumi da quelli che loro considerano barbari assassini, ribaltando su di loro a ragion veduta la reputazione che essi attribuiscono al mondo islamico.
Ma secondo te, è una scelta di libertà il corpo nudo delle donne: tette e culi, esibiti come al circo ad ogni ora su tutti gli schermi e ovunque ci sia qualcosa da vendere? La nudità è anch'essa un costume che ahimè induce a trascurare l'interiorità delle donne come persone a favore dell’apparenza. È un costume tutt’altro che egualitario, perché causa la discriminazione sulla base dell’estetica anziché dei valori di umanità. Per questo dobbiamo sempre considerare la diversità come una ricchezza. In questo caso come un'occasione che l'incontro con altre civiltà ci aiuti a valorizzare l'altrui identità ed a riscoprire valori morali e di rispetto del corpo delle donne che noi abbiamo dimenticato e che, francamente, opportunamente mitigati, metabolizzati e adeguati alla nostra cultura potrebbero costituire un correttivo contro la decadenza dei nostri costumi. Con questo sono certo di aver definitivamente rotto con tutti coloro che ritengono l’Islam solo fonte di ogni male, ma non me ne importa nulla. Perché so che il motivo della loro irragionevole avversione all’innocente burkini è dovuta soprattutto all’aver toccato il nervo scoperto della mercificazione del corpo delle donne, come un qualsiasi prodotto usa e getta sul quale si fonda la società dei consumi.
Valdengo, 23 Agosto 2016