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domenica 29 aprile 2007

Il mago di Oz

Lo scorso 27 aprile io e mia figlia abbiamo assistito, al Teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli di Assisi (PG), ad una straordinaria iniziativa di integrazione sociale attraverso l'arte: una rappresentazione "epica" (2 ore e mezza di durata, un numero incredibile di attori, danzatori, musicisti ecc. tra cui 120 persone disabili) della favola de Il mago di Oz, allestita dall’Associazione di Volontariato Onlus “Oltre la parola“ in collaborazione con la Cooperativa ASAD di Perugia, istituzioni scolastiche, scuole di danza, varie altre associazioni, 6 Centri socio-riabilitativi per disabili dell’Umbria, la regia di Loredana Porpora e la supervisione della Dr.ssa Stefania Guerra Lisi (per la metodologia della Globalità dei Linguaggi). La sala (1000 posti di capienza) era stracolma e lo spettacolo - applauditissimo - ha toccato punte di grande intensità e professionalità.

Vedendo proprio il giorno dopo su internet, le immagini dell'astrofisico Stephen Hawking fluttuare nell'aria a gravità zero, non ho potuto fare a meno di immaginarlo nella parte del mago di Oz: quando si commiata da Doroty e i propri sudditi alzandosi in volo su una mongolfiera!

Stephen Hawking ha potuto viaggiare nell’assenza di gravità, da lui studiata per decenni dalla staticità di una sedia a rotelle (da www.repubblica.it - 27/04/07)

Il fisico inglese ha provato il brivido della leggerezza in un volo decollato da Cape Canaveral alla volta dei limiti dell’atmosfera terrestre e poi rientrato a forte velocità nella base in Florida. Ancora più dell’assenza di gravità, l’astrofisico britannico ha gioito della possibilità di lasciare la sedia a rotelle per librarsi nell’aria, anche se solo per pochi minuti: “Come è facile immaginare, sono entusiasta. Rimasto sulla sedia per quasi quaranta anni, per me sarà meraviglioso fluttuare liberamente”, aveva dichiarato qualche minuto prima del decollo di una navetta messa a punto per conto di “Gravità zero”, un’impresa privata che organizza questo tipo di viaggi. Per Hawking quello odierno è stato un volo sperimentale; l’astrofisico intende prepararsi a un vero viaggio nello spazio, in un prossimo futuro.

La storia de Il meraviglioso mago di Oz (The Wonderful Wizard of Oz) fu pubblicata per la prima volta nel 1900 dallo scrittore statunitense Lyman Frank Baum, (1856-1919) e divenne immediatamente un best seller della letteratura per bambini e ragazzi. Ne venne poco dopo ricavato un musical da cui dopo circa tre decenni fu a sua volta tratto il celeberrimo film con Judy Garland nella parte della protagonista Doroty (la fonte del seguente brano è http://www.cineplex.it).
Il Mago di Oz è da tempo entrato nella storia del cinema e più ancora nell'immaginario collettivo, con la sua giovanissima protagonista, Judy Garland, una ex-bambina prodigio che diventa una vera e propria diva quando, ancora adolescente, interpreta la parte di Dorothy, premiata con un Oscar speciale come miglior interpretazione giovanile. E' una fiaba classica, rivista secondo i canoni del cinema "classico" americano, un vero e proprio kolossal, per l'epoca in cui fu girato [1939], che conserva intatto il suo fascino, capace ancora oggi di catturare bambini e adulti attraverso musica, canto e coreografie.
ALTRI LINK:

giovedì 26 aprile 2007

Un articolo de La Repubblica su Bonanno


Solo oggi Mauro Bonanno, il mio editore, mi ha dato la bella notizia che su La Repubblica di giovedì 29 marzo 2007 è uscito un articolo a tutta pagina dedicato alla storia e alla ricca produzione delle sue due case editrici. Il pezzo è davvero molto lungo, ne riporto soltanto la parte in cui Mauro - molto gentilmente - mi nomina.


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INCHIESTA SULL'EDITORIA / 8 


Bonanno 
di Tano Gullo 
e Salvatore Ferlita 


Gli esordi con il Risorgimento lo sguardo verso il Nord e l'obiettivo del Settecento siciliano  


Da Cavour a Battiato il pensiero laico in vetrina


Sulla scrivania [dell'ufficio di Mauro Bonanno], una piccola catasta di libri dalle copertine coloratissime, spesso ispirate ai cartoon, di sicuro effetto, una biografia di Fabrizio De Andrè ed "Evoluzione" di Franco Battiato, che hanno avuto un grande successo; quattro volumi di Corrado Vigo, un camilleriano di stretta osservanza che movimenta il suo eroe, il commissario Russo, in un contesto culinario ("La cioccolata calda", "Le melanzane fritte", "Il sacchetto di pane" e "La granita di mandorle" i curiosi titoli): i libri di poesie dell'acese Vincenzo Caprio (illustrate da Calusca, della scuola pittorica di Scicli) e del Perugino Daniele Passerini che grazie al tam tam di Internet ha esaurito la tiratura, e altri volumi della collana tascabile di "A&B"; la versione teatrale de "La concessione del telefono" scritta da Andrea Camilleri e da Giuseppe Dipasquale (in collaborazione con Lombardi) E un volume di saggi, curato da Domenica Pirrone, con allegato un dvd, per raccontare i luoghi letterari dell'Isola. 


***


Riporto dalla pagina de La Repubblica anche la scheda in cifre della Bonanno:
  • ANNO DI FONDAZIONE - 1965, a cui segue nel 1989 la "A&B"
  • TITOLI PUBBLICATI - 600
  • MEDIA ANNUA - 70
  • MEDIA VENDITE PER TITOLO - 300
  • FATTURATO - 200.000 euro
  • BEST SELLER - "Mia madre non chiude mai" di Lorenzo Vecchio, "Evoluzione" di Franco Battiato, e "Come conoscere opinioni e atteggiamenti" di Rita Pavsic e Maria Concetta Pitrone, sulle 3000 copie.

lunedì 23 aprile 2007

La Luce della Memoria

POSTATO DA BETTY 


Con discrezione lascio scivolare il testo di questa canzone ad arricchire la cartella “Sotto il velo di Maya”. E’ una canzone a me molto cara, incisa da Alice nel 1989 all’interno dell’album “Il Sole nella Pioggia”. L’autore delle parole è Juri Camisasca, l'interpretazione meravigliosa è di Alice. Il testo di questa canzone è un continuo spunto riflessivo tra atmosfere mistiche, petali di riflessione spirituale oltre il tempo, dalle origini di quel che non sappiamo spiegare e rimane ancora ignoto, fino alla memoria perduta. L’ascolto di questa canzone conduce ad immagini fotografiche di luoghi che sembrano estinti nel tempo che di proiettano dentro l’anima e, possibilmente, sono uno stimolo a ricordarci il nostro leggero passaggio qui, in volo su “paesaggi” che i nostri occhi e la nostra anima sembrano ricordare pur non avendoli mai - o non ancora - attraversati.

Visioni
(Incisa da Alice in "Il sole nella pioggia", 1989)


Soli gli anacoreti nel deserto
dormono all'aperto 
gli zingari negli accampamenti.
Visioni 
passando il mio tempo a comprendere
dov'è nascosta la quiete 
e s´incrociano le relazioni.
Vivere almeno una volta 
sospinti dal vento verso l´immensità
vedi le strade del cielo
il cielo è una strada che fine non ha 
e più lontano vai
e più lontano vai sempre meno conosci.
Vivo amando di essere niente 
mentre si affaccia l´inverno
portando le desolazioni.
Visioni quando è svanita la nebbia
la luce nella memoria, l´alba dentro la sera.
Vivi alla periferia 
dei conflitti di Maya e della temporalità
l´acqua che stringi nel pugno
non la puoi fermare, si libererà
e più lontano vai
e più lontano vai sempre meno conosci.
Visioni quando è svanita la nebbia
la luce nella memoria, l´alba dentro la sera
sempre meno conosci.

Fotografia: è stata scattata da me nel Deserto di Mojave, California, mentre risalivo le KelsoDunes , poco prima che s'abbattesse una spettacolare Flash Flood (pericolosissime, rare precipitazioni di pioggia dalla devastante intensità che creano veri e propri improvvisi torrenti d'acqua capaci di spazzare via intere strade e con esse, tutto ciò che vi si trova a transitare!).

sabato 21 aprile 2007

Tre sfumature dell'amore

Tre brevi composizioni da Ventidue passi d'amore, rispettivamente sul momento magico e ineluttabile dell'innamoramento, sull'amore che non chiede nulla, sul fuoco della passione.


6. la tentazione 

Issato alla barca di Dio 
nella rete di sale dell'amore 
ti sento accanto nella nassa 
e il mio destino è tratto. 

9. il non possesso 

Il mio amore non alza recinti 
come volta di cielo ti cinge 
come fiume vuole correrti dentro 
abbracciar come l'acqua la nave. 

11. la sfida 

Ubriaco d'amore vado 
in luce ai tuoi occhi specchiarmi. 
E brucia l'anima al cuor cantando 
del fuoco sacro 
che per nutrire te mi cuoce.

Una sbirciatina attraverso le trame della vita

Avete mai osservato come le persone che raccontano bugie d'abitudine non se ne sentano in colpa, ma anzi, colte in fragrante, si sdegnino e si arrampichino sempre più sugli specchi tentando di negare persino l'evidenza? Resto sempre sbalordito di fronte ad atteggiamenti siffatti. Non è soltanto un eccesso di ingenuità mia, è che dietro questo stupore soggiace il medesimo meccanismo. Si tende infatti a credere che gli altri pensino e sentano alla nostra maniera, nonostante l'esperienza insegni che non sempre è così. Fatto sta che chi racconta bugie - fino a recitare pezzi di vita non vera - in fondo pensa che gli altri facciano altrettanto e che dunque debba essere ancora più scaltro di loro. Chi tende a simulare, a dire qualcosa per dirne un'altra, non può fare a meno di arzigogolare "dietrologie" sul comportamento degli altri. L'altra faccia della medaglia è che le persone sincere - quelle che si sentono in colpa anche a raccontare una bugia piccola piccola! - faticano a immaginare che altre persone possano non farsene alcuno scrupolo! In realtà sto parlando - molto alla buona e tangenzialmente - del meccanismo (psicoanalitico) della proiezione e si potrebbero fare molti altri esempi. Chi tende a giudicare gli altri si picca immediatamente se qualcuno gli fa semplicemente da specchio: "Ah, vedi, tu mi giudichi!". Chi ha un carattere aggressivo si sente aggredito quando qualcuno esprime un'opinione diversa dalla sua. E così via. Più che stupirsi tocca accettare che è così. La realtà oggettiva è per principio una costruzione soggettiva elaborata dalle nostre funzioni cognitive (o se volete dal quid della nostra anima): ogni persona ha una propria personale visione del mondo e della vita che - a livello di convenzioni e interazioni sociali - si sovrappone alla meno peggio a quella degli altri. Più i rapporti tra gli individui si fanno profondi e più emergono le sfumature differenti, e persino i colori, con cui dipingiamo la realtà. Questo non è un male, anzi, è un arricchimento. Ogni persona porta sulle proprie spalle un pezzetto della verità del mondo, per questo ogni incontro, ogni scambio, ma anche ogni scontro e ogni diverbio, può essere fonte di crescita e di ampliamento di orizzonte... 


P.S. L'inserimento di questo post nella categoria "sotto il velo di Maya" suona un po' pretenzioso: diciamo che questa è solo una sbirciatina attraverso le trame del vita. A veder quel che c'è dall'altra parte del velo ce ne corre!

I colori della foresta

Trascrivo questa fiaba da Amazzonia - la foresta delle meraviglie , un bel volume - prodotto dalla organizzazione non governativa Alisei nell'ambito del progetto di educazione allo sviluppo "Senza Confini" - avuto tramite l'Associazione CIDIS di Perugia.
Un tempo la foresta non era proprio così come si presenta ai giorni nostri. In verde degli alberi e delle piante non c'era, così come non c'erano i colori degli uccelli, il marrone dei tronche degli alberi, e così via. Insomma, il paesaggio era tutto senza colori, molto monotono e noioso. Fu per questo motivo che un giorno, tutti gli animali della foresta si riunirono e decisero che qualcosa doveva cambiare. La foresta doveva essere dipinta. Tutti erano d'accordo, la questione era dove trovare tutti i colori necessari. "Nessun problema...", disse il falco, "so io dove trovarli. Volerò verso il cielo più alto, busserò alla dimora del dio delle foreste e dei boschi e gli chiederò in prestito tavolozze di mille e mille colori." Volò il falco e volò, giorno e notte, senza tregua e alla fine tutti i colori dell'arcobaleno, dei cieli e delle profondità delle acque erano a disposizione degli animali della foresta. Ma, come in tutte le storie, qualcosa doveva per forza andare storto. Infatti il pappagallo, l'uccello più vanitoso tra gli altri uccelli, impiccione e curioso, si offrì per custodire, fintanto che non venissero usate, le tavolozze regalate dal dio delle foreste e dei boschi. E fu proprio per la sua natura non tanto affidabile, che il pappagallo ne combinò una delle sue. prese ognuno dei tanti colori disponibili e si dipinse tutto il corpo. Si guardò in uno specchio d'acqua e si ritenne molto soddisfatto: in effetti il suo aspetto era di molto migliorato, si poteva dire che era diventato un gran bell'animale. Voleva pitturarsi anche il becco e le zampe, ma non fece in tempo perché gli altri animali si accorsero di quello che aveva fatto e si arrabbiarono molto con lui. Erano talmente furenti perché aveva sciupato in quel modo i colori, che lo volevano picchiare selvaggiamente. Peccato, pensò il pappagallo, non aveva terminato l'opera ma era lo stesso, il becco poteva tranquillamente restare del colore che era, tanto era bello anche così. Solo che adesso molti colori erano andati perduti, soltanto per colpa della sua vanità. Intervenne allora il formichiere, un animale, al contrario del pappagallo, coscienzioso e responsabile, che placò gli animi di tutti e riportò la calma nella foresta. Prese tutti i colori rimasti, che erano ancora abbastanza, e decise di custodirli nella sua casa, così che nessuno potesse usarli a sproposito. Da quel giorno tutti gli animali, ad eccezione del pappagallo, che preferì rimanere nascosto per paura di essere malmenato, anche perché si sentiva profondamente ferito nell'orgoglio, lavorarono in armonia a colorare la foresta e i risultato fu magnifico, tanto che lo stesso dio delle foreste e dei boschi si complimentò con loro, principalmente col formichiere che aveva coordinato tutta l'impresa e diretto i lavori. Non vi dico l'invidia del pappagallo per gli elogi ricevuti dal formichiere dal dio delle foreste e la rabbia per essere stato escluso dalla festa organizzata per celebrare lo sfavillio dei nuovi colori. Non pensava ad altro che a vendicarsi. Devo premettere a questo punto che a quel tempo il pappagallo aveva un becco dritto e giallo bellissimo, ed il formichiere non aveva l'aspetto che ha adesso, il suo naso non aveva le dimensioni di un grosso bastone, insomma, anche il formichiere era proprio bellino. Comunque il pappagallo non medito molto a lungo sulla vendetta da perpetrare ai danni del malcapitato formichiere, perché l'idea di come fare gli venne subito in testa, fulminante. Un giorno nel quale la calma era tornata nella foresta - perché ognuno degli animali - terminati i lavori di pittura, era tornato alle sue normali occupazioni - il pappagallo si recò nella casa del formichiere recandogli in dono una bottiglia dal collo stretto stretto, sul fondo della quale era depositato un liquido strano, dal colore verde intenso. A dire del pappagallo il liquido aveva un gusto meraviglioso e dei poteri magici inauditi. Se bevuto in un solo sorso, il portentoso liquido avrebbe dotato il fortunato bevitore di straordinari e benevoli poteri, prima di tutto quello di diventare un provetto suonatore. E il fatto che il formichiere era un vero appassionato di musica, ma assolutamente negato nel distinguere una nota dall'altra, il suono di un flauto da quello di un tamburo, fu decisivo per convincerlo a bere la strana bevanda. L'unica indicazione indispensabile da seguire però, suggerì il pappagallo, era quella di bere aspirando il liquido, inserendo la bocca direttamente all'interno della bottiglia. Dall'avere sentito il suggerimento del pappagallo, all'avere inserito tutta la faccia all'interno della bottiglia non passò neppure un secondo: il formichiere si trovò incastrato, nel fine collo della bottiglia. La vendetta del pappagallo era compiuta. Prese a correre e a volare per tutta la foresta chiacchierando come era suo costume usuale ai quattro venti della malasorte del formichiere, costretto a vivere da ora in poi con il naso dentro al lungo collo di una bottiglia. Parlava e raccontava e descriveva l'ultimo episodio di colui che era ormai destinato a diventare lo zimbello della foresta, l'unico animale a cui piace bere in maniera del tutto originale e, soprattutto, pericolosa per la sua salute. L'unico che non rideva affatto era il falco, amico carissimo del formichiere, che prese e se ne partì ancora una volta alla volta del cielo, alla corte del dio delle foreste e dei boschi. Il dio non si fece pregare neanche questa volta ed accorse in aiuto del povero animale. Tutti gli animali più forti furono impiegati per aiutare il dio, intento con grandi sforzi a togliere dall'impiccio il formichiere. Tirarono e spinsero, spinsero e tirarono, finalmente la bottiglia fu strappata dal naso del formichiere e volò dritta dritta in faccia o, meglio, in becco al pappagallo che con una piroetta cadde svenuto. Fu proprio da quel giorno che il formichiere acquistò l'aspetto con il quale lo conosciamo oggi, cioè col suo caratteristico lungo nasone, mentre il pappagallo dovette tenersi il becco ricurvo, piegato dalla gran botta ricevuta. Non solo. Infatti, per punizione del dio delle foreste, non fu più capace di trasformare il pensiero in parola, come era solito fare. Gli fu permesso soltanto di ripetere le parole che sentiva pronunciare.

Se dubito non amo

Questa, la settima della luna calante, è la poesia più "cattiva" in assoluto di Sospensioni di gravità, cruda, saturnina... e scritta di getto come un atto liberatorio. Ci sono particolarmente affezionato perché proprio da essa è nata una serie di felici coincidenze (sincronicità).


Se dubito non amo 

Vuoi credere che mento… 
talmente temi delusioni 
da prevenirle al varco. 
Piuttosto che rischiare 
di essere ingannata 
tu neghi per principio la fiducia. 
Controlli, mi sospetti, chiami 
specialmente quando sai 
non è il momento. 
T’allarmi se ritardo 
se m’assento e se son stanco. 
Mi chiedi come t’amo 
di più, di meno, o quanto. 
Va bene, hai vinto: b a s t a ! 
Poiché la verità 
ti sembra poco vera 
ricostruirò per te da capo 
le giornate, condendole 
di fatti a te graditi. 
Niente sinceri sentimenti 
ma solo verosimili lusinghe. 
E che t’importa 
se il mio amore fugge 
lo preferisci finto che reale. 
Tu poi saresti quella che 
non dice le bugie… ma chi l’attesta? 
T’amavo e ti credevo 
se dubito non amo. 
Passato un anno arriva 
conforme il tuo fantasma 
incontro un altro sguardo 
e ispira un contrabbando: 
mi perdo in un abbraccio 
resisto settimane 
poi non combatto più 
la cerco, viene, l’amo. 
E ti ho tradita… 
nemmeno te ne accorgi 
perché stavolta è vero.

venerdì 20 aprile 2007

La prefazione di Chicca Morone
a Sospensioni di gravità

“L’abito da sera” di R. Magritte. L’immagine con la quale autore ed editore hanno scelto di attirare l’attenzione del lettore tra i mille volumi che oggi invadono i banconi delle librerie è già un segnale molto forte di ciò che entrambi vogliono comunicare al mondo dei lettori con questa simpatica nuova “creatura”.
La donna, la luna, il mare una perfetta triade simbolico spirituale attorno la quale si “interrompe” il monotono fluire del quotidiano per entrare in un vortice più profondo, là dove il poeta vuole donarci la sua verità, il suo sentire più autentico.
“Sospensioni di gravità” viene dopo l'esordio di "Ventidue passi d’amore”, il primo percorso magico attraverso emozioni e sensazioni di un uomo immerso nel mare dei sentimenti, ma non annegato, per cui consapevole dell’evolversi della propria storia e come tale lucido, non solo nella espressione verbale.
Un linguaggio che nel nuovo “bambino di carta” si è rinforzato, ha acquisito intensità, ha preso rinnovato vigore pur mantenendo la stessa ammirevole mancanza di orpelli nella semplicità di vocaboli.
In “Sospensioni di gravità” le parole si susseguono con un ritmo cadenzato, quasi una danza, portando alla luce concetti forti attraverso una forma leggera seppure consona alla particolarità del contenuto, tutt’altro che vago.
Scandito nel magico numero di sette, quasi a significare le infinite partiture che l’opera può offrire, il poeta affida alle orbite planetarie il compito di introdurre concetti misterici, esplicitandoli tanto da renderli non più misteriosi.
Il viaggio inizia dal Sole, suono che renderebbe percepibile l’anima, si incammina con l’eterno puer dai tratti mercuriali e prosegue incontrando l’Altro nell’orbita venusiana. Poi la Luna illumina il mondo occulto e Marte accende attrazione e repulsione in una esplosione di pienezza quale solo Giove può infondere, prima di essere recisa dalla forbice del giudizio saturnino.
Ma è nell’ombra luminosa e nella luce ombrosa che il poeta trova il modo di condividere la sua totalità: la compattezza di identificazioni di un sole cancerino, dominato dalla Luna e per questo alla ricerca di un femminile appagante per il quale essere messo al centro dell’Universo; la determinazione di un ascendente Leone, fiero della propria arte e come tale deciso a realizzare la propria missione poetica.
Se è vero che le Muse cantano attraverso quei pochi di noi che sanno accoglierle diventando loro semplici amanuensi, l’augurio più sincero che si possa fare a Daniele Passerini è di diventare presto quella canna di bambù animata dal sibilo del vento: allora potrà essere l'auspicata “girandola di luci e ombre, mossa dal respiro di Dio” nell’atto di “vivificare sempre i nostri cuori” attraverso il suo scrivere, vivendo giorni lieti o meno fortunati con la fantasia dell’eterno puer al quale tutto è concesso, come nel mito.

Le transition towns

Da www.corriere.it del 20 aprile 2007
(articolo di Paola De Carolis


LONDRA (Gran Bretagna) - Come proiezione è preoccupante: tra cinque anni avremo consumato metà delle riserve naturali di greggio. Questo, almeno, è quanto sostiene Rob Hopkins, docente universitario e fondatore di un movimento che in Gran Bretagna e in Irlanda sta prendendo piede a ritmo sostenuto. Si chiama Transition towns (www.transitiontowns.org) e l'obiettivo è di convertire centri abitati a un'esistenza ecologica che faccia a meno del petrolio e dei suoi derivati. Niente auto, insomma, e niente plastica, addio cibi esotici in arrivo dall'altro capo del mondo, addio partenze in aereo.


GOVERNO ASSENTE - «Il governo parla di riforme verdi, ma alla fine non cambia niente», ha sottolineato Hopkins in una recente intervista al Guardian. «Il nostro movimento è per chi è stanco di aspettare e alle parole preferisce misure concrete». Un richiamo che la gente ha sentito. Perché è questa la differenza tra Transition Towns e altre organizzazioni che si battono per una maggiore sensibilità ecologica. Il gruppo di Hopkins passa la palla ai cittadini. Che siano loro a movimentare il governo dando il la e avviando iniziative efficaci e a basso costo.


PRIME ESPERIENZE - Apripista è stata Kinsale (nella foto), in Irlanda, dove l'iniziativa, partita l'anno scorso, ha ottenuto anche il sostegno finanziario del Comune (che ha contribuito con una cifra moderata, 5.000 euro, ma «è sempre meglio di niente», sottolinea Hopkins). Le abitudini maturate nel corso di mezzo secolo non si cambiano da un giorno all'altro, ma tentar non nuoce. Così i Transition Townies - questo il nome di coloro che aderiscono al movimento - stanno facendo una campagna educativa nelle scuole per convincere istituti e studenti della necessità di raggiungere le aule non su quattro ruote, ma due: in bicicletta. E perché no, dato che grazie a Transition Towns ci sono oggi a Kinsale più piste ciclabili dell'anno scorso? Non è che l'inizio. Perché come in tutti i centri "transizione" - e sono già diversi, Totnes, Falmouth, Moretonhampstead, Lewes, Ottery St Mary, Stroud, Ivybridge, Lampeter, nonché il quartiere di Brixton a Londra e l'intera città di Bristol - l'accento non è solo sul trasporto, ma anche su tecniche di agricoltura sostenibili, sul consumo di prodotti locali, sull'energia alternativa.


SOLE E ANTICHI MESTIERI - A Totnes, nel Devon, l'obiettivo è di installare, entro luglio, pannelli solari su 50 abitazioni, un esperimento che se avrà successo verrà esteso a tutta la cittadina. E dato che la presenza di greggio e petrolio ha da una parte semplificato la vita, ma dall'altra «creato una generazione che ha dimenticato arti antiche», ecco una serie di seminari per «rieducare la gente ai mestieri dei loro genitori». Come crescere le verdure nell'orto, come bruciare la legna nel modo meno dannoso per l'ambiente, come fare il pane, come rammendare le calze, come cucinare usando solo prodotti stagionali: dal giardino alla tavola, in pratica, senza bisogno di supermercati, di cipolle spagnole o fragole cilene.


COMUNITA' E APPARTENENZA - Secondo Duncan Law, "townie" volontario di Brixton, si tratta di un progetto che crea un senso di comunità e di appartenenza. «In genere il messaggio sull'ambiente è esclusivamente negativo, la filosofia di Transition Towns invece è positiva, nel senso che tutti possiamo fare qualcosa e, nel nostro piccolo, cambiare il mondo. In un quartiere come Brixton, dove non c'è un grande senso di solidarietà e ci sono vicini di casa che si conoscono appena, un'iniziativa che unisce la gente nel bene comune non può che essere benvenuta».

lunedì 16 aprile 2007

...versi paralleli di due cuori...

Parlando di sincronicità mi viene in mente anche la magia dei grandi amori... quelli che spesso nascono da una strana magica coincidenza... ne parla una poesia piccola piccola di Sospensioni di gravità che si intitola Appuntamento:

...versi paralleli
di due cuori veri
ad intersecarsi
verso l'infinito...
E proprio ieri per caso mi hanno raccontato un episodio - che cade a fagiolo - riportato sui quotidiani qualche giorno fa. Ho cercato su google e l'ho trovato sul corriere della sera on line del 11/04/07: eccolo qui sotto!

LONDRA - Quando si dice credere al destino: un uomo si sveglia con un numero di telefono in testa, lo compone, risponde una donna, si incontrano, si piacciono e ora sono marito e moglie. Il protagonista della singolare storia d'amore è l'inglese David Brown, oggi 24enne, di Harefield, cittadina a nord-ovest di Londra. Cinque anni fa David sognò un misterioso numero di telefono. Non riuscendo a cacciarlo dalla sua mente, alla fine decise di chiamarlo. Scoprì che apparteneva all'allora 17enne Michelle Kitson, all'epoca studentessa ancora in casa dei genitori, residenti a una 90 di chilometri da casa di David. Una chiamata che di solito si conclude con un laconico "Mi dispiace, ha sbagliato numero" e con una cornetta riagganciata, finì invece per diventare il primo passo lungo la strada del matrimonio. «È veramente la ragazza della mia vita - dice il signor Brown al Daily Mail, che ha scovato la vicenda -. Quella sera ero andato al pub con gli amici e quando mi sono svegliato con quel numero in testa ho provato a mandare un messaggino e ho chiesto "Ci siamo incontrai ieri sera?". Michelle mi ha risposto e abbiamo iniziato a chiacchierare». Poi David ha mandato una lettera con la sua foto e la storia tra i due ha preso il volo. Con uno slancio che neppure i più fantasiosi tra gli sceneggiatori di Hollywood avrebbero potuto immaginare. Chissà che non traggano ispirazione ora.

Synchronicity I

POSTATO DA BETTY 


Un giorno una persona, cercando di descrivermi con una parola, mi definì una “realizzatrice”… Fu la prima volta in cui mi sentii descrivere così. Rimasi profondamente colpita. Chi come me non ha il dono della sintesi si sorprende che con una sola parola si possa esprimere un mondo, rendere così semplice, tangibile e comprensibile ciò che è difficile da interpretare: è una scoperta che lì per lì sconcerta, poi sbalordisce e infine, se viene "metabolizzata", lascia un segno indelebile e la gioia di aver colto un ulteriore tassello del senso del nostro passaggio. 
L’intervento di Daniele Non passerò più per questa strada - l'argomento che tratta, l’uso di alcune parole… - è un altro di quei segnali che mi colpiscono, inaspettato, eppure così in sintonia con tanti riferimenti personali di questi giorni, di queste ore. Avevo promesso a Daniele che presto avrai parlato di un argomento a me caro, la sincronicità ma non sapevo ancora quando, cosa mi avrebbe ispirata... Poi ho letto quel “post” che parte dalla citazione di un missionario quacchero di cui non avevo mai sentito parlare... Proprio la sera prima, tra amici, dicevo le stesse cose, usavo le stesse parole! Così faccio un volo concettuale e cerco di convogliare i due argomenti – l'unicità della strada e la sincronicità - in uno solo, poiché li sento profondamente uniti.
Credo che la sincronicità con cui ci accadono certi eventi e la capacità di saperli decodificare, sia strettamente legata proprio all’unicità di ogni vita. “Non passeremo mai più per questa strada”. Non accadrà più la medesima coincidenza. Se non sapremo captare i messaggi criptati nell’intreccio del “romanzo” della nostra vita, quella strada l’avremo già percorsa, saremo giunti alla sua fine con passi distratti e frettolosi, senza impegnarci e godere la qualità del cammino. Perché aggirare gli ostacoli senza affrontarli? cercare scorciatoie o vie dimezzo? accantonare opportunità che si presentano adesso? Perché idealizzare un’altra vita, passata o futura, per giustificare il nostro cattivo operato o rivalerci sulla presunta ingiustizia che nel presente non ci permette di realizzarci ed essere felici? 
La citazione di Grellet mi ricorda un libro molto caro, che lessi rapita, tanti anni fa “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera. Ne cito un piccolo brano per spiegare il nesso tra “strada” e “trama di vita”: “Non si può quindi rimproverare al romanzo di essere affascinato dai misteriosi incontri di coincidenze (…), ma si può a ragione rimproverare all’uomo di essere cieco davanti a simili coincidenze nella vita di ogni giorno, e di privare così la vita della sua dimensione di bellezza”. 
La vita di ognuno di noi si fonda sul raccontare. I bambini, per esempio, vivono in un mondo di storie e le raccontano. Noi tutti raccontiamo costantemente qualcosa. Lo scrittore, come dice Kundera, scrive un romanzo, ma in fondo quale differenza vi è concretamente tra il romanzo e noi? Quando sogniamo, per esempio, non raccontiamo forse una storia? E se di quel sogno, non fossimo gli autori, ma fossimo davvero il personaggio? Come potremo sapere se in quella storia ci stiamo o se quella storia la raccontiamo? Soltanto qualcuno, qualcosa inseritosi da fuori potrebbe dare al personaggio (ipoteticamente ognuno di “noi) il significato della storia che sta vivendo. Un tale evento, per quanto straordinario, non basterebbe da solo, dovrebbe appartenere alla storia stessa, avere un significato in rapporto ai suoi personaggi, alla sua trama, al suo inizio e alla sua fine. 
Ogni giorno ci accadono eventi che chiamiamo coincidenze. Alcune, quelle che definiamo “semplici coincidenze”, non ci toccano né emotivamente né intellettualmente. Altre, più rare, sono tanto “accidentali” quanto profondamente significative per l’intreccio della nostra storia. La loro sostanziale caratteristica è la “sincronicità”: riflettono la nostra condizione interiore con tale precisione da impedirci d’ignorarne l’impatto e negarne la rilevanza. Gli eventi sincronistici - se riconosciuti, accettati, decodificati - ci costringono a prendere atto, talvolta, che le storie che raccontiamo sul nostro conto non sono necessariamente quelle che siamo destinati a vivere. E infatti, spesso, si trova forte resistenza nel voler riconoscere gli elementi che sarebbero stati parte importante dell’ “intreccio”, li lasciamo indietro su quella “strada”.
C'è chi s'inquieta a riconoscere il parallelismo tra l’improbabilità di un evento e il suo sconcertante collegamento con la nostra condizione interna. Jung definiva le sincronicità “sequenze accidentali e significative ma tra loro collegate di eventi insoliti”. A qualcuno potranno sembrare stupidaggini, pure casualità, ma l’importanza sta nel significato che acquisiscono nella nostra storia, lungo la nostra strada e l’effetto che possono avere, qui e ora, se le captiamo e ne realizziamo il significato. Robert Hopcke, nel libro “Nulla succede per caso” riassume le caratteristiche degli eventi sincronistici così: “In primo luogo essi sono collegati in modo acasuale, e non grazie a una catena di cause ed effetti in cui un individuo possa riconoscere il frutto di una decisione intenzionale. In secondo luogo il loro verificarsi è sempre accompagnato da una profonda esperienza emotiva che di solito si manifesta contemporaneamente all’evento. In terzo luogo il contenuto dell’esperienza sincronistica, ciò che l’evento è, ha un carattere invariabilmente simbolico che è quasi sempre, come ho scoperto, legato al quarto aspetto: queste coincidenze si verificano in concomitanza con cambiamenti di vita importanti. Molto spesso un evento sincronistico segna una svolta nelle storie della nostra esistenza.”
Ho scoperto e sperimentato, nel corso d’importanti frangenti di vita, la misteriosa naturalezza, il tempismo, la coincidenza con cui gli eventi esterni s'intrecciano alla nostra condizione interna, proprio nel corso di momenti di transizione, quando si è (a volte ancora inconsapevolmente) sulla soglia di un nuovo modo di essere. Riconoscere che la mia “storia” contiene molti più elementi di quelli che credevo e che anche quelli apparentemente più negativi fanno parte della trama dell’esistenza, mi ha permesso di sentirmi appartenente ad una più grande totalità, ricordandomi la preziosità di due caratteristiche esclusivamente umane: sentire e immaginare. Viviamo una vita pianificata, rigidi dentro schemi, scopi, destini, ruoli prefissati? Ci sembra che tutto sia già segnato e incontrovertibile? Ci rammarichiamo che “questa vita ormai è così”? Ci consoliamo dicendo che “prima” di questa vita già eravamo stati (o che “dopo” questa saremo) ciò che qui e ora nemmeno proviamo a realizzare? pure quando incrociamo “coincidenze” che portano in sé significati così significanti che è quasi impossibile non vedere? La sincronicità ci ricorda che le nostre vite sono organizzate, consciamente o meno, come una storia, possiedono una loro coerenza, direzione, ragione d’essere, una loro bellezza, e che in fondo ogni storia può potenzialmente essere un’opera d’arte.

Una pausa nella non-esistenza

POSTATO DA BETTY 


Per spiegare meglio la scelta di Wislawa Szymborska e delle sue “Poesie Indimenticabili” tra le pagine di questo blog, ritengo indispensabile raccontare un po’ di lei, per supportare l’approccio con la lettura delle sue poesie ed il filo del messaggio che lei lancia a chi lo voglia raccogliere. Wislawa Szymborska è una delle più grandi poetesse dei nostri giorni, entrata nell’Olimpo dei Premi Nobel nel 1996, eppure la sua opera e la sua stessa esistenza è sempre stata piuttosto nascosta, per sua stessa volontà. In Italia, fino al 1996, non se ne conosceva praticamente l’identità, nessuna intervista, fotografia, un’unica pubblicazione “Gente sul Ponte” poco prima d’essere insignita del Nobel, ma nessuno sembrava conoscerla. E dal canto suo, Wislawa ha sempre rifuggito le occasioni mondane, i salotti letterari, la stampa. Si direbbe una personalità schiva che fa parlare i suoi versi per lei. Ecco il modo con cui la poetessa si prende gioco delle “Serate d’Autore”: “Ci sono dodici persone ad ascoltare, è tempo ormai di cominciare. Metà è venuta perché piove, gli altri sono parenti. O Musa (…) In prima fila un vecchietto dolcemente sogna che la moglie buonanima, rediviva, gli sta per cuocere la crostata di prugne. Con calore, ma non troppo, ché il dolce bruci, cominciamo a leggere. O Musa” 


Tratto da "Ogni caso" di Wislawa Szymborska


Il nulla si è rivoltato anche per me. 
Davvero si è rovesciato all'incontrario. 
Dove mai sono finita – 
dalla testa ai piedi tra i pianeti, 
neppure ricordando come fosse il non esserci. 
O mio qui incontrato, o mio qui amato, 
posso solo intuire, la mano sulla tua spalla, 
quanto vuoto ci spetta da quell’altra parte, 
quanto silenzio là per un grillo qui, 
quanta assenza di prato là per un filo d’erba qui, 
e il sole dopo il buio come risarcimento 
in goccia di rugiada – per quali arsure là! 
Cio che è stellare a casaccio! Il di qui alla rovescia! 
Disteso su curvature, pesi, ruvidità 
.....................................e moti! 
Intervallo nell’infinito per il cielo sconfinato! 
Conforto dal non-spazio in forma di betulla! 
Ora o mai il vento scuote una nuvola, 
perché il vento è proprio ciò che là non soffia. 
E lo scarabeo s'avvia per il sentiero in abito scuro 
...................................................da testimone 
dell’evento d’una lunga attesa d’una vita breve. 
E a me è capitato di esserti accanto. 
E davvero non vedo in questo nulla 
di ordinario.


Le sue poesie invitano, con discrezione e incisività, a prendere coscienza della realtà di ogni cosa e di ciascuno, dei limiti ineluttabili, ma anche delle grandi potenzialità, uno sprone a mettersi in gioco e, prima che il tempo scada, fermare l'attimo in cui cogliere la risposta a ogni domanda. 


"La concretezza di ogni cosa e di ciascuno è il luogo in cui si rivela una dimensione di senso comune a tutti gli uomini che, per quanto nascosta con inganno dal male e dalla morte che ingiustamente divora ogni cosa su questa terra, accompagna il nostro viaggio nel tempo (…) Questa presenza essenziale a riscattare la vita dalla finitudine del tempo concesso al nostro stare al mondo, invisibile solo all’uomo che non sa dare attenzione all’attimo che passa, è il vero bersaglio della poesia di Szymborska, poesia che in tal senso è “vendetta di mano mortale” (“La gioia di Scrivere”) nei confronti della morte e dell’inganno che cela agli uomini la promessa d’eternità nascosta in ogni cosa creata".

sabato 14 aprile 2007

Non passerò più per questa strada

Passerò solo una volta per questa strada. Qualunque opera buona io possa fare o qualsiasi gentilezza io possa mostrare a chiunque, che possa farla adesso e non rimandarla, perché non passerò più per questa strada.


Mi sono permesso di modificare lievemente l'attacco di questa citazione di Stephen Grellet - missionario quacchero nato in Francia a Limoges e vissuto oltreoceano nel New Jersey (1773-1855) - che nella versione originale suona: Passerò solo una volta per questo MONDO.
Spero che non venga considerata mancanza di rispetto nei confronti del lontano autore o mia presunzione... ognuno testimonia ciò in cui crede e la frase di Grellet - salvo la sola parola mondo sostituita con strada - coincide con il mio sentire ed è comunque talmente bella che mi sembrava ancora peggio parafrasarla. Non voglio affrontare qui discorsi complessi, in breve la credenza della reincarnazione è diffusissima nel mondo e se oggi suona come "orientale" è solo perché la cultura occidentale ne ha perso memoria, benché un tempo fosse ben radicata in essa (basti pensare alla filosofia di Platone o ai Vangeli apocrifi). Del resto la stesse scienze umanistiche oggi studiano seriamente questa ipotesi: un esempio per tanti (preso da Wikipedia) l'estratto di una ricerca pubblicata sull'inserto de LE SCIENZE abbinato al quotidiano LA STAMPA del 21/06/06.
Il direttore della clinica di psichiatria infantile della Virginia University, Jim B. Tucker, psichiatra, ha effettuato uno studio sui bambini che ricordano vite precedenti. Nel suo saggio: "Life before Life: a scientific investigation of children's memories of previous life", descrive 40 anni di ricerche, condotte su bambini che affermano di ricordare vite vissute nel recente passato. I bambini provengono da ogni angolo del pianeta e da ogni tipo di famiglie. L'età di questi bambini varia dai 2 ai 6 anni poi tali ricordi vengono dimenticati. I ricercatori una volta raccolte le testimonianze, sono andati personalmente nei posti indicati dai bambini ad incontrare le persone di cui avevano parlato, riscontrando che avevano detto la verità. I bambini non usano l'espressione "vita precedente" ma parlano con chiarezza di ciò che è avvenuto in passato. Un bambino turco, per esempio, diede molti dettagli alla sua famiglia sulla città di Instanbul, che si trovava molto lontano dal luogo dove abitava, aggiungendo particolari di parenti avuti in passato con nomi armeni assieme ai relativi indirizzi di casa. Ricordava anche i nomi della moglie e dei figli. Alcuni bambini ricordano le vite precedenti, altri no, ma Tucker ha notato che nel 70% dei casi i bambini ricordano morti avvenute in circostanze non naturali, quali incidenti o episodi traumatici improvvisi. Ci sono momenti in cui memoria ed emozioni sopravvivono, e ciò porta ad ipotizzare che la coscienza non è un prodotto del cervello, ma piuttosto un'entità distinta, capace di sopravvivere anche dopo la morte del corpo. L'autore della ricerca, anche se preferisce non usare il termine "reincarnazione" afferma che tale possibilità non possa essere esclusa del tutto. Comunque Tucker preferisce parlare di prove concrete sulla sopravvivenza delle emozioni umane in presenza di specifiche circostanze.
Secondo una consueta (e superficiale!) critica, credere che l'anima abbia più vite per evolversi tramite l'incarnazione, deresponsabilizzerebbe la persona dall'impegnarsi in quella presente, qui ed ora. In realtà la teoria della re-incarnazione è abbinata a quella del karma, detta anche teoria di conseguenza o di causa-effetto: conducendo una vita "non retta" si accumula karma per le vite future piuttosto che risolvere quello già accumulato nel passato.  Dunque sia i cattolici che i reincarnazionisti (uso questo termine per indicare tutti i credenti che contemplano l'idea della reincarnazione) hanno lo stesso identico interesse a "purificare" la loro anima "ripagando torti ed errori commessi, sia che collochino il "traguardo" al termine di questa oppure di tante altre vite. Dunque per entrambi ogni "strada" incontrata è un'opportunità unica e irripetibile, un dono di Dio: potranno presentarsene altre, certo, ma non quella e comunque non sappiamo quando, per questo non va mai sprecata. Questo il senso profondo della preghiera di Grellet.