Era lì. Lo vedevo toccare il campo mentre alle spalle dei suoi sette raggi colorati, in trasparenza, le fronde verdi degli alberi venivano agitate dalla pioggia battente. Era tra me e quei rami. A una decina di metri o poco più. Volevo fotografarlo, scendere dall'automobile, attraversare la strada e correrci sotto, immergermi nella sua luce come un pennello nell'acquerello. Sarebbe svanito? A quale nuova prospettiva avrebbe ubbidito l'irriverente segmento di circonferenza? Sfidava a colpi d'iride le leggi dell'ottica, almeno quelle che presupponevo. Ero stupito di scoprire che un arcobaleno potesse essere così piccolo e vicino, circoscritto al mio breve sguardo, a portata di mano. Ma non feci in tempo a fare nulla: dietro di me il sole fu di nuovo coperto e come uno zampillo d'acqua che viene chiuso, l'arcobaleno si ritirò dal cielo. Ne fui un po' deluso, ma non troppo, era più grande la gioia di avere ancora sugli occhi il tocco dei suoi colori. Ora sapevo perché qualcuno, migliaia d'anni prima, aveva potuto immaginare che alla fine dell'arcobaleno fosse sepolto un tesoro. Il fatto è che proprio quella mattina avevo deciso di mettermi alla ricerca del mio tesoro, quello nascosto dentro al cuore. E in fondo, in fondo, il primo indizio l'avevo appena trovato.
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