Segnalo un articolo su quei brevetti "strategici" e "dormienti" che restano anni e anni nei cassetti, pubblicato il 21 ottobre 2013 sul sito della Bocconi da Alfonso Gambardella, ordinario di economia e gestione delle imprese presso la Scuola di PhD della suddetta Università. Ahimè, anche i brevetti in ambito LENR sembrano rientrare molto bene nelle situazioni descritte: il grande Olimpo delle energie non ha interesse a introdurre tecnologie nuove che possano ridurre i suoi margini di profitto. Speriamo che la tecnologia E-Cat di Andrea Rossi possa comunque uscire presto da questo "limbo" o che qualche novello "Prometeo" dell'Open Science osi rubare il new fire della cold fusion per portarlo a tutta l'umanità.
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A chi serve il brevetto nel cassetto
Quasi metà delle invenzioni registrate non vedono la luce. Per legare le mani ai rivali o per far contenti gli scienziati
Negli ultimi anni è aumentato il numero di brevetti. Se, da un lato, ciò segnala un aumento delle innovazioni, dall’altro lato, sono aumentati i brevetti non utilizzati. Uno Staff working document (Swd) della Commissione europea (Towards enhanced patent valorisation for growth and jobs, Swd 458, 21.12.12) stima che la percentuale di brevetti non utilizzati vari dal 10% al 40-50%. Alcuni di questi brevetti svolgono una funzione strategica: le imprese brevettano per impedire ad altri di usare l’invenzione e di entrare in concorrenza con i propri prodotti. Altri sono invece brevetti “dormienti”, ovvero non utilizzati né per ragioni commerciali, né strategiche. Sono idee o invenzioni che l’impresa brevetta per motivare i propri inventori; o perché ritengono di poterle utilizzare in futuro; o perché hanno una divisione interna preposta alla brevettazione che si preoccupa di brevettare le idee prima di capire se verranno utilizzate; o infine sono brevetti che l’impresa non usa perché ha altre invenzioni che servono meglio il mercato. I brevetti “strategici” sono un fenomeno socialmente indesiderabile perché limitano la concorrenza. I brevetti “dormienti” sono un serbatoio di invenzioni non utilizzate.
Una nostra ricerca presso il Crios Bocconi (Center for research on innovation, organization and strategy), basata su una survey di alcune migliaia di inventori europei (InnoSt), mostra che le imprese con oltre 250 o 500 addetti non usano quasi la metà dei loro brevetti, mentre per le imprese con meno di 250 addetti questa percentuale scende al 30% circa. Inoltre, la nostra ricerca trova che metà dei brevetti inutilizzati sono strategici e l’altra metà sono dormienti. Le grandi imprese, che hanno volumi maggiori di brevetti delle piccole-medie imprese, sono perciò la fonte più importante di brevetti non utilizzati e potenzialmente utilizzabili.
Il mancato uso dei brevetti è un fenomeno fisiologico. Innovare significa sperimentare, e perciò alcune invenzioni possono dimostrarsi di scarso interesse commerciale. Un tasso di utilizzo dei brevetti del 100% sarebbe velleitario e probabilmente deleterio perché vuol dire che non si sperimenta abbastanza.
Inoltre, ci sono altri aspetti fisiologici. Le grandi imprese hanno diversi prodotti ed è più probabile che un’innovazione cannibalizzi altri prodotti dell’impresa. Dunque, una pmi che produce un’innovazione ha maggiori incentivi a metterla sul mercato. Inoltre, le grandi imprese hanno quote maggiori di mercato e dunque rischiano di più a licenziare le proprie tecnologie, anche quelle inutilizzate, perché hanno più da temere dal fatto di creare concorrenti potenziali nel mercato dei prodotti.
Il documento della Commissione europea suggerisce che una soluzione per aumentare il tasso di utilizzo dei brevetti è di promuovere mercati della tecnologia dove i brevetti possano essere comprati e venduti. Questi mercati oggi esistono e in effetti gli scambi di tecnologia sono aumentati. Tuttavia, l’offerta di tecnologie viene soprattutto da imprese di piccola e media dimensione. Le grandi imprese sono organizzazioni ancora molto incentrate sulla produzione e la vendita dei prodotti. Alcune di queste aziende hanno capito il potenziale di ritorni economici legati alla vendita delle tecnologie. Finché però questi nuovi modelli strategici non cominciano a permeare un numero maggiore di grandi imprese, i mercati della tecnologia rimarranno di nicchia e il tasso d’uso dei brevetti rimarrà limitato. Anche così rinunciamo probabilmente a un pezzo di crescita.
A proposito di invenzioni promettentissime che poi scompaiono nel nulla. Generatore termoelettrico fantastico!!:
RispondiEliminahttp://spectrum.ieee.org/semiconductors/devices/super-soaker-inventor-invents-new-thermoelectric-generator
L'articolo è del 2008. E su google oggi si trova poco o niente.
Ultimamente sono state apportate modifiche (per esempio a inizio di quest'anno è stato istituito il tribunale unificato europeo dei brevetti), ma per quanto ne so io, almeno in Italia, le cose non stanno come dice Alfonso Gambardella (sarà un grande professore della Bocconi ma mi viene il dubbio che in una azienda vera non ci abbia mai messo piede).
RispondiEliminaUn brevetto non può rimanere inutilizzato per bloccare una idea. Il brevetto diviene pubblico al massimo dopo 18 mesi dal deposito, per cui depositare un brevetto significa informare i concorrenti. Dal momento del deposito del brevetto l'oggetto deve essere messo in produzione entro 4 anni (o 3 anni dal rilascio). In caso contrario chiunque può chiedere di poterlo costruire versando al proprietario del brevetto una royalty e il proprietario non può opporsi. Il valore della royalty è normalmente deciso dalle parti, ma in caso di disaccordo lo stabilisce il tribunale dei brevetti che in genere fissa royalties molto basse.
Anche nel caso che il proprietario metta in produzione la cosa "per finta" cioè in numero limitatissimo tanto per poter dire che ha rispettato il limite dei 3(4) anni, i concorrenti possono richiedere la licenza obbligatoria (in questo caso la cosa è un po' più difficile da dimostrare). Se dopo 2 anni anche questi non entrano in produzione il brevetto decade e tutti possono produrlo liberamente.
Il fatto che molti brevetti non vedano la luce è dovuto al fatto che si tende a depositare il brevetto appena la soluzione sembra realizzabile e vantaggiosa, prima che qualcuno ci arrivi prima di te, ma spesso ad una analisi successiva i vantaggi si dimostrano inesistenti. Spesso poi si scopre che il brevetto, seppure concesso, non è innovativo e si rinuncia (è successo a me con un mio brevetto che, dopo averlo depositato, ho scoperto io essere già stato realizzato 20 anni prima dalla Matsushita, eppure nel mio cassetto c'è il foglio della concessione: se ci sono esaminatori tanto idioti da concedere un brevetto sul moto perpetuo a base di palline che salgono nell'acqua, potete immaginare quante volte concedono brevetti che non hanno i requisiti).
@ Mario Massa
RispondiEliminaInteressante. Mi chiedevo, infatti, se non potesse essere istituita una regolamentazione simile a quella che hai appena descritto. Mi fa piacere che già esista.
@Mario
RispondiEliminagrazie di queste interessanti precisazioni
ho una curiosità, se lo sai o se ha un opinione
secondo te perchè l'italia, che ci ha abituato ad essere normativamente più arretrata del resto dell'europa, in questo caso invece sembra essere all'avanguardia?
g
@giorjen
RispondiEliminasecondo te perchè l'italia, che ci ha abituato ad essere normativamente più arretrata del resto dell'europa, in questo caso invece sembra essere all'avanguardia?
In realtà (alzo le mani sull'ultimo decennio) almeno fino agli anni '90 molte leggi nostrane erano assolutamente all'avanguardia e spesso sono state modello per altri Stati europei, in ambito Sanità per esempio. Per come la vedo, il cronico problema italico risiede, ancora più che nelle leggi, nella loro integrazione con il tutto il corpus giuridico (abbiamo un "ecosistema" normativo ipertrofico, troppe leggi!) e soprattutto nella loro applicazione che finisce sempre per intopparsi da qualche parte. Bisognerebbe azzerare tutto e ripartire da zero... ahimè quelle situazioni che si creano dopo rivoluzioni, guerre, catastrofi epocali ecc. ( = non tutti i mali vengono per nuocere). In altre parole il sistema Italia è ormai così incancrenito e annodato su stesso che non credo proprio sia guaribile e riformabile secondo vie ordinarie.