Non ci giro intorno, per me questo è il Natale più strano di sempre. Stavolta la vita mi ha portato un "regalo" così assurdo e insensato - è una cosa troppo personale per parlarne qui - che dovrei essere triste, amareggiato, persino incazzato. E invece mi sento talmente spiazzato che ogni mia possibile reazione svanisce nell'attimo in cui prende corpo, è tutto così surreale! Ieri ero interdetto, oggi mi viene quasi da ridere. Comunque è il primo anno che non mi affanno a far regali ed auguri urbi et orbi: ho ristretto il tutto al mio primo cerchio di relazioni e mi va bene così.
Ma è un caso che il mio Natale più strano di sempre sia proprio questo? Pare di no, anzi pare che io sia in perfetto sincrono con l'universo, e l'ho scoperto a posteriori, dunque lungi da ogni possibile suggestione. Come molti avranno letto, questo Natale è figlio di un solstizio invernale alquanto particolare:
il 21 dicembre 2010 è stato il giorno più buio da quattro secoli a questa parte, infatti al minimo annuale di ore di luce solare diurna si è aggiunto un deficit di luce riflessa notturna, per effetto di una concomitante eclissi di Luna.
Il bello è che proprio pochi giorni prima del solstizio, osservando i cristalli che pendono davanti alle mie finestre da quest'estate, e
i loro riflessi iridescenti sulle pareti del soggiorno, e ricordando che ultimamente ogni volta che ne avevo ammirato lo spettacolo, esso mi era sembrato più bello, ho capito che dall'estate, mano a mano che l'eclittica percorsa dal sole si era abbassata sull'orizzonte ogni giorno di più, gli arcobaleni prodotti dai cristalli invece che perdersi sul pavimento (per effetto di raggi solari quasi perpendicolari) erano saliti ad affrescare le pareti (per effetto di raggi quasi orizzontali). In altre parole, è vero che d'estate ci sono più ore di luce e i raggi del sole, meno obliqui, sono più caldi e intensi, però paradossalmente d'inverno il sole s'affaccia alle nostre finestre in modo più diretto e deciso, bussa meno e meno forte, ma entra dentro casa di più!
E tanto bene, poco prima avevo ricevuto via email proprio il testo che segue. È un po' lungo, ma consiglio di leggerlo fino alla fine, perché spiega molto bene perché il giorno più corto dell'anno (e il Natale Cristiano ne conserva tutta la simbologia) sia l'occasione giusta per risorgere dal momento più buio, tanto più buio quest'anno per via dell'eclissi di Luna. E ognuno riconduca il filo della metafora a se stesso e alla propria anima.
Buon Natale, con tutto il cuore.
IL CUORE LUMINOSO
Traduzione di Anna Paola Maestrini
(l’uscita del libro è prevista nel mese di maggio 2011 per i
tipi della casa editrice Tecniche Nuove)
L’inverno
è un periodo interessante dell’anno. La maggior parte delle nostre
ricorrenze religiose si svolgono d’inverno. È la stagione delle
festività spirituali, come il Ramadan, l’Hanukkah e il Natale;
anche la commemorazione dell’illuminazione del Buddha è spesso
celebrata durante questo periodo dell’anno. L’inverno è un
portale sacro, un’opportunità. Le foglie cadono dagli alberi, i
frutti cadono in terra, i rami si spogliano e tutto torna alle
radici, all’essenza della propria natura. Non soltanto nel mondo
esterno, ma anche in quello interiore si realizza una naturale messa
a nudo.
L’inverno
è anche il tempo delle grandi piogge e della neve. Ogni anno, le
montagne della Sierra Nevada si rimpiccioliscono un po’, rispetto
all’anno precedente. Parte di loro viene dilavata nei torrenti,
dall’acqua che cade e ritorna alla propria sorgente, scorrendo fino
ai laghi e agli oceani.
Nonostante
le sue tempeste, l’inverno è il periodo più tranquillo dell’anno.
La quiete dopo una tempesta è ineguagliabile. Se hai avuto il
privilegio di trovarti in montagna subito dopo una nevicata, senza
vento – tutto è immobile, la neve attutisce ogni suono e senti
ovunque un profondo silenzio –, allora sai bene quanto questo
silenzio sia potente.
L’auto-indagine
è un inverno spiritualmente indotto, in senso vero e proprio. Non si
tratta tanto di cercare la risposta giusta, quanto di spogliarsi
completamente e di riuscire a individuare il superfluo, tutto ciò di
cui si può fare a meno: è scoprire chi sei senza foglie. Noi esseri
umani non le chiamiamo foglie ma idee, concetti, attaccamenti e
condizionamento. L’insieme di tutte queste cose forma la tua
identità. Non sarebbe terribile se gli alberi s’identificassero
con le proprie foglie? Sono troppo inconsistenti per essere l’oggetto
di attaccamento.
L’auto-indagine
è un modo di indurre un inverno spirituale nel senso più positivo
del termine, spogliandoci di tutto fino alla radice, al nocciolo. Se
consentiamo a noi stessi di esser denudati e di entrare nell’inverno
interiore, se lasciamo che tutte le foglie, o i pensieri, cadano
dalla nostra mente, allora possiamo cadere all’indietro, come si
dice nello Zen, e riscoprire chi eravamo prima che i nostri genitori
fossero nati. Questo equivale a ritornare alla radice fondamentale
dell’essere.
Non
c’è niente al mondo che affrontiamo con più riluttanza
dell’inverno spirituale. Se noi esseri umani non opponessimo
resistenza allo sradicamento delle nostre identità e se ci
concedessimo di sperimentare l’inverno, saremmo tutti illuminati.
Se lasciamo sorgere l’inverno dentro di noi, veniamo spogliati
naturalmente; è come un declino naturale. Quando sei molto
silenzioso e quieto, questo graduale distacco avviene spontaneamente.
Se non cerchi di tener nulla sotto controllo, senti che si disfano
schemi mentali ed energetici, come se cadessero foglie o se scendesse
la neve. Cadono con delicatezza. È a questo che serve l’indagine
spirituale. Domandarsi “Chi sono io?” equivale a mantenere la
presenza nello spazio del non sapere e mettere in discussione tutte
le proprie ipotesi e convinzioni. La realizzazione
Ovviamente,
gli esseri umani hanno capacità che gli alberi non hanno. Se gli
alberi fossero come noi, li vedremmo protendere i propri rami verso
terra, rastrellare tutte le foglie e tenersele strette, per sentirsi
più sicuri. Non ti farebbe star male vedere gli alberi aggrapparsi
alle loro foglie, in preda a una crisi esistenziale? Eppure, noi
abbiamo tutti l’abitudine di raccogliere i pezzi delle nostre
teorie e convinzioni, e a tenerceli stretti, come se ne andasse di
mezzo la nostra vita.
A
volte, viviamo il crollo delle nostre convinzioni come se fosse una
tempesta che strappa con violenza le foglie dall’albero. Magari hai
un’identità spirituale, e con un forte colpo di vento – di
solito un altro essere umano – ecco che viene spazzata via. Magari
stai pensando: “Sono così illuminato, non posso sopportarlo, è
incredibile.” Poi arriva una folata di vento che ti strappa via il
tuo pensiero: un amico, o un collega, viene da te e ti dice “A me
questa cosa non sembra tanto illuminata” e ti accorgi che era
soltanto un’altra inutile identità. Se non ti chini per
raccoglierla di nuovo, diventa per te un’opportunità spirituale.
Mentre quella data identità sta crollando, ti accorgi di non averne
bisogno. È un’illusione, solo un’inutile zavorra da gettare
fuori bordo.
Ritornando
al nucleo, alla radice di te stesso, guardando al di là di tutto
quello che credi di essere, consenti anche alle tue identità più
sacre di spegnersi. C’è una tale bellezza nello scoprire che
possiamo fare a meno anche di queste. Il dono più prezioso di questo
inverno, in definitiva, è qualcosa di indicibile, qualcosa che
possiamo solo vivere. L’inverno, in realtà, ti supplica di
mollare, e poi di lasciar andare l’atto stesso di mollare. Lascia
che questo ritorno, naturale e spontaneo, alla radice della tua
esistenza, possa accadere. Ritorna all’indefinibile.
C’è
una poesia meravigliosa, scritta da qualcuno per narrare il proprio
risveglio, che parla di un albero solitario senza rami che si erge,
d’inverno, sull’orlo di una scogliera. Si apre una crepa lungo
tutto il tronco e la corteccia si stacca. Immagina di spaccare un
albero o il tronco di un albero abbattuto per vederne il cuore. Per
guardare cosa c’è dentro, devi spaccarlo fino al cuore. Cosa vi
troveresti? Vuoto luminoso: la radiosa, piena vacuità dell’inverno.
Immagina qualcosa di lucente che appare dal nulla, qualcosa che
s’irradia provenendo da un luogo inesistente, da nessuna parte.
Quando
raggiungi il cuore, dopo aver lasciato andare ogni cosa, ti ritrovi
naturalmente, completamente aperto. Nel centro, c’è un cuore
spirituale. Non sveli soltanto la vacuità della mente luminosa, ma
anche la radiosità e il calore del cuore spirituale. Quando ti
abbandoni davvero, puoi sentire la mente vuota e luminosa – non
sotto forma di pensiero, ma il tuo stesso vuoto luminoso, il nulla
che tu sei e che tutti sono. E fai anche esperienza della pienezza
radiosa del cuore: comprendi che il vuoto non è banale,
insignificante vacuità, ma è pienezza del cuore. Quando il vuoto si
risveglia, sai che anche il cuore è compassionevole. Il calore del
tuo stesso cuore spirituale si ridesta alla vita.
A
volte l’inverno sembra freddo, triste e deserto. Mentre te ne stai
immobile, calmo e in profonda pace, potrebbe sorgere in te una
domanda: “Dov’è la linfa? Dov’è la vita?” Pur stando
silenzioso e tranquillo, e perfino molto vuoto, in qualche modo, la
tua corteccia è rimasta intatta, non si è per niente spaccata. In
questo caso hai quello che si potrebbe definire il vuoto del vuoto. È
il vuoto in forma totalmente corazzata.
Il
vuoto vero è quando prendi coscienza del fatto che c’è dell’altro
dietro l’involucro di protezione. Quando la corteccia si squarcia e
cade, quando arrivi al cuore, si svela la falsità delle tue idee su
te stesso e gli altri, emerge chiaramente che si tratta solo di
espedienti. Le vedi come cose che ti sono state insegnate e di cui ti
sei appropriato, che hai indossato come vestiti, dicendoti: “Questo
è ciò che io sono.” Quando la mente è vuota in modo luminoso, si
tratta di un vuoto molto vivo. E quando si sente che il cuore si
spinge in profondità, oltre il livello emotivo, senza tuttavia
essere insensibile, senza esser un cuore morto, allora il sole
risplende nel bel mezzo dell’inverno. Hai mai fatto una passeggiata
all’aperto durante una di quelle mattine gelide, quando fa
veramente freddo malgrado ci sia il sole, e hai pensato: “Come può
fare così freddo in un giorno tanto luminoso e soleggiato?” Quando
ti muovi partendo dal sole che hai qui, dentro di te, c’è sempre
calore. Il vuoto autentico è vivo e raggiante.
A
volte mi chiedono: “Se prendo coscienza del fatto che in realtà io
non esisto in quanto identità separata, come invece credevo, allora
chi è che vive questa vita?” Non appena sfiori il cuore luminoso
della vacuità, sai chi sta vivendo ora questa vita, l’ha sempre
vissuta e la vivrà da questo momento in poi. Capisci che non sei tu
che vivi questa vita; in
realtà, è questo cuore luminoso che la sta vivendo – insieme a
questa mente vuota e radiosa. Non appena rinunci a essere quel che
credevi di essere e ti permetti di essere quel che sei davvero,
allora questo cuore luminoso vive la tua vita. Il nulla diventa la
tua realtà e la consapevolezza non duale è ciò che sei.
Esiste
un bel modo di pensare e spiegare la vera natura di ogni persona (che
è, effettivamente, ciò su cui il concetto d’illuminazione cerca,
da sempre, di richiamare l’attenzione), ed è il seguente: nel
momento in cui, nella piena consapevolezza, la vera natura viene data
alla luce, la tua mente è aperta fin dove riesce ad arrivare. Questo
non significa che i tuoi pensieri si espandono nel cosmo, ma che la
tua mente è così aperta da non avere più confini. Hai notato che
non appena afferri un pensiero e lo prendi per vero, la mente si
richiude su di esso? La mente naturale è una mente aperta, e il
cuore naturale è aperto, qualsiasi cosa accada. L’aspetto più
sconcertante della nostra condizione naturale è proprio questo –
mente e cuore sono naturalmente aperti e non sanno più come
richiudersi, in nessuna circostanza e in nessun momento. Allo stesso
tempo, sei al di là della mente e del cuore aperti. Tutto è
contenuto all’interno di ciò che sei.
La
mente condizionata vuol sempre fare il mestiere di Dio, chiedendosi
cosa fa la gente e perché lo fa. Ma non sono affari tuoi, la cosa
non ti riguarda. Puoi invece cominciare a muoverti nella vita
aprendoti naturalmente a ciò che è, rimanendo sempre così, in ogni
circostanza. Il vero Sé lo fa da sempre. La tua vera natura non si
manifesta sotto forma di un’esperienza stupefacente, dopo la quale
dici: “O.K., mondo, eccomi qui, sono pronto”. L’esperienza più
profonda è comprendere che questa mente aperta, luminosa e vuota e
questo cuore radioso sono sempre stati aperti. Non occorre che si
aprano, non si apriranno in futuro: l’apertura c’è sempre stata.
Il tuo non è più uno sguardo duplice, duale, ma vedi l’Uno in
ogni cosa.
Le
persone si sentono vulnerabili ed erigono mura difensive. Ma cercar
di proteggersi è come camminare sotto il cielo stellato, di notte, e
cercar di avvolgere l’infinita vastità dello spazio con un
cappotto. L’immensità schizza fuori dalle maniche e dal cappuccio:
ti ritrovi dentro uno stupido cappotto nella vastità dello spazio,
cercando di proteggerti, e pensando che forse un giorno aprirai i
bottoni e sarai spiritualmente liberato. Quasi certamente, non
accadrà. È più probabile che, un giorno, tu smetta di
identificarti con questo stupido cappotto. Liberati da tutte le
identità limitanti e abbraccia l’infinito.
Per
permettere a quest’apertura di attuarsi in profondità, occorre
comprendere che noi siamo già l’apertura alla quale ci stiamo
aprendo. Continuando a identificarci con il nostro aspetto umano, è
come se pensassimo: “Mio Dio, mi sto aprendo a qualcosa di troppo
grande per me.” Quando invece ci lasciamo andare e sprofondiamo in
questo aperto silenzio, scopriamo che non ha fine. È qui
dall’eternità, da prima dell’inizio dei tempi, e in esso la
nostra umanità viene accolta e invitata ad aprirsi. Questo è
possibile non perché ci apriamo a un mistero a noi alieno, estraneo
o dissimile, ma a ciò che siamo sempre stati.
Sfiorando
la sacralità dell’inverno dentro di te – quella qualità che
possiede ogni cosa che ritorna alla propria forma essenziale – ti
ritrovi a precipitare dall’orlo della tua mente nello spazio
aperto. Cominci a farne esperienza abbandonando ogni resistenza
all’inverno, avanzando al suo fianco man mano che ti apre. Il
semplice fatto di tornare indietro, sempre più in profondità, può
essere straordinariamente rivelatore e liberatorio. Ci vuole coraggio
per farlo. Ti verrà da chiederti: “Che ne sarà di me? Andrà
tutto bene?” Torna all’essenziale, semplicemente. Quando trovi il
coraggio di tornare all’essenziale, di fatto ti addentri fino alla
radice di te stesso. Questa è la pienezza che l’inverno è in
grado di offrirti.
È
come rifare il cammino a ritroso fino al seme, e solo quando ci
arrivi capisci che il seme conteneva già tutta la verità. Quando
giungi al centro del tuo stesso essere, allora ti accorgi che il
seme, che sembrava vuoto quando lo hai aperto, è pieno di tutto ciò
che è, in stato potenziale. Come il seme di un albero, contiene
tutto ciò che quest’ultimo è destinato a diventare. Soltanto il
ritorno alle proprie radici assicura il pieno rifiorire della
primavera.
Non
sto parlando di ideali, obiettivi o potenzialità. L’apertura à
veramente il nucleo di ciò che siamo. Smettila di indugiare a
lasciar andare ogni cosa, così che la tua vera natura possa
realizzarsi. Una volta realizzata, vivila. Allora la vita accade in
modo spontaneo. A questo punto, in modo definitivo, possiamo
affermare con onestà e integrità che la vita è il mistero più
straordinario. È insondabile. Non puoi conoscerlo. Puoi soltanto
esserlo,
in modo consapevole o inconsapevole. Esserlo in modo consapevole è
molto più semplice che esserlo inconsapevolmente. Realizza te stesso
e sii libero.
Auguri. Essenziali.
RispondiEliminaStrano o non strano Natale, Auguri comunque Daniele!
RispondiEliminaUn abbraccio
Pensavo di essere la sola a fotografare gli arcobaleni creati dai cristalli ! Buon Natale :)
RispondiEliminaUn post molto particolare, che ho letto con piacere, anche se mi è difficile commentarlo se non ammirando la mutevolezza dei cristalli che si riflettono in noi e intuendo un sommerso esremamente consapevole.
RispondiEliminaCiao Daniele, tantissimi auguri, un abbraccio
RispondiEliminaDevo tornare per leggere meglio quello che hai postato.
RispondiEliminaUn abbraccio e buona continuazione di queste feste.
Grazie Daniele e Tanti Auguri, grazie per "Il cuore luminoso", bellissimo dono di Natale, la non dualità, la mia strada.
RispondiEliminaTi abbraccio e conservo con gioia il tuo dono.
Grazie amiche.
RispondiEliminaP.S. Colgo al volo le parole di Manuela per precisare che dobbiamo tutti ringraziare Anna Paola "Panna" Maestrini, grande anima, traduttrice, disegnatrice, musicista, istruttrice di qi-qong, che ha voluto condividere coi suoi amici un brano del libro di cui sta completando la traduzione. Il dono è suo, io sono stato solo un tramite.
N.B. Se può interessare, in attesa della pubblicazione del libro di cui Panna sta completando la traduzione, in commercio in Italia ci sono già due titoli di Adyashanti .
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