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lunedì 3 maggio 2010

Quando ti sei comportato così eri contento?

Pochi giorni fa ho portato nel blog un passo della Lettera ai Romani di San Paolo. Quella che segue è una sua efficacissima esegesi, opera di un padre carmelitano di cui ignoro il nome.


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Mi ricordo quando ero parroco che chiedevo sempre ai bambini, quando cominciavano la lista dei peccati: ma scusa, dici "ho litigato, ho detto di no alla mamma, ho sputato contro il mio fratellino...", ma quando ti sei comportato così eri contento? No. Ma è vero, la contentezza, la felicità - se è capita in modo vero - è strettamente legata alla libertà di essere veri. Quando l'uomo si muove nella verità, sperimenta una felicità. Libertà e felicità sono parole che nascono insieme. Non dobbiamo averne paura. Non è per niente che Gesù ha fatto il discorso delle Beatitudini, delle otto felicità. Non degli otto godimenti, ma della felicità modulata secondo otto formule. Allora la prima affermazione, che è comprensibile guardando all'origine, è che se le cose stessero come Dio le ha pensate, proprio perché ci ha voluti per Amore non può non volerci liberi. E la libertà vuol dire muoversi a partire dal di dentro, per l'intuizione di una promessa di felicità che mi viene fatta. Libertà di essere felice. E lo si capisce bene se questo, al di fuori delle formule, significa la libertà di essere in relazione piena e filiale con Dio. Perché è nell'amore che libertà e obbedienza coincidono. Il punto poi che interviene e complica drammaticamente le cose è quello del peccato: il peccato originale è proprio lì che interviene e scombina il disegno di Dio, senza annullarlo, perché la legge resterà comunque quella: che l'uomo deve muoversi nella libertà e in una libertà capita come risorsa-energia di felicità. Il peccato originale ha inquinato il nostro legame con Dio, la nostra relazione col prossimo e con la natura, e allora da quel momento lì in poi la volontà dell'uomo fa fatica a identificare, capire e scegliere il proprio bene. E la libertà si inganna nel decifrare il piacere che la attrae, o il piacere degno di attrarla. È accaduta una confusione, perciò noi sbagliamo. Il meccanismo rimane, l'uomo è mosso dalla libertà e da una libertà sensibile alla felicità, cioè sensibile al bene. Ma quale è il bene? Quale è il piacere? Quale è la felicità che ci attira? Facciamo fatica a riconoscerla e ancora di più facciamo fatica a viverla. Vi lascio da leggere la Lettera ai Romani, Cap. 7°, versetti 15-25: è importante. Io ve ne do una lettura rapida giusto per capire di cosa stiamo parlando. Difatti - dice Paolo - non riesco nemmeno a capire quello che faccio: non faccio quello che voglio, ma quello che odio. Lo so, c'è una cosa che mi attira, ma ne faccio un'altra. So infatti che in me, in quanto uomo peccatore, non abita il bene. Non c'è più una armoniosità di libertà che aderisca totalmente al bene, non è più così. In me c'è il desiderio del bene, ma non c'è la capacità di compierlo. Il desiderio rimane, perché la tua identità di creatura voluta da Dio è lì come una cicatrice che non viene meno. L'origine resta. Ma la capacità di realizzarlo questo bene non c'è. Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio. Ora, se faccio quel che non voglio, non sono più io ad agire, ma il peccato che è in me. Ecco l'opera terribile del peccato: chi compie il peccato diventa schiavo del peccato. E il peccato cosa è di solito? È che decidi che in quel momento lì è bene per te quello che invece bene non è. Ti muovi come se fosse un bene, perciò quella dinamica lì resta, e invece poi ci sbatti il naso e t'accorgi che non è bene. Io scopro allora questa contraddizione: ogni volta che voglio fare il bene, trovo in me soltanto la capacità di fare il male. Non ci va mica leggero Paolo! Però guardate che è così la situazione, altrimenti Cristo poteva fare a meno di morire in croce, se fosse bastata una piccola predichina per risolvere il problema. È una contraddizione che s'attacca più giù ancora delle nostre budella, proprio lì dove uno comincia a dire "io", lì comincia il problema: che sei già doppio lì. Una divisione nel tuo cuore da quando cominci a esistere. Nel mio intimo io sono d'accordo con la legge di Dio, ma vedo in me un'altra legge: quella che contrasta fortemente la legge che la mia mente approva, e che mi rende schiavo della legge del peccato che abita in me. I bambini lo capivano subito! Sei contento quando ti comporti male? Noo. E allora perché lo fai? E allora stan lì e ti guardano. E perché davvero è folle una roba del genere. Lo dico per l'esperienza di peccati che faccio: dopo che ci si guarda indietro uno dice "ma perché ho fatto così?" pronto a rifarlo ancora! È questo che ci definisce. Eccomi dunque, con la mente pronto a servire la legge di Dio - che coincide con la mia felicità - mentre, di fatto, servo la legge del peccato. Però è interessante notare quello che già dicevo: la dinamica della libertà rimane la stessa, tu ti muovi per andare verso un bene che è falso, però ti muovi perché in quel momento lì dici "questo mi dà piacere, questo mi dà felicità". La libertà comunque è mossa dal piacere. Ognuno è attratto da ciò che ama. Sant'Agostino diceva pondus meum amor meus (1). Ognuno è tirato giù dalla parte del cuore, è il peso che mi fa cadere. Se tu butti un sasso per aria il suo peso lo tira per terra: a te cos'è che ti tira? È sempre quello che ami. Ma essendoci allontanati da Dio abbiamo disorientato anche il nostro cuore. Cuore lontano da Dio: uomo lontano dal cuore. Sono due affermazioni queste qui che si possono invertire, secondo che si voglia affermare un percorso di giudizio oppure un altro. L'uomo lontano dal cuore si trova con un cuore lontano da Dio, e un cuore lontano da Dio genera inevitabilmente un uomo lontano dalla verità di se stesso, duro rispetto alla propria verità, lontano dal cuore. Questa situazione davvero è drammatica. Chi ci aiuterà a essere fedeli all'origine, a ritrovare e custodire la verità delle parole che abbiamo meditato? San Paolo conclude dicendo: Me infelice! La mia condizione di uomo peccatore mi trascina verso la morte: chi mi libererà? Rendo grazie a Dio che mi libera per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. E San Giovanni (8,36), riassume dicendo: Se il figlio vi renderà liberi, sarete veramente uomini liberi. Allora come uscire fuori dalla contraddizione? Bene, nella fede in Cristo, aderendo a Cristo, riconoscendo Cristo, accettando Cristo, la libertà allora si rimette in movimento: se diventa un cammino verso Cristo. Per ritornare con lui facciamo prima, grazie al suo spirito, a essere figli. È un cammino di interiorità, un cammino verso il cuore. L'osservanza delle leggi esteriori può essere utile e spesso anche necessaria. A livello pedagogico, soprattutto, non è che si può fare a meno di leggi e di norme, scritte sui muri, scritte sui cartelloni, ci sono delle leggi da osservare, delle leggi per la strada, per qua, per tutto... per la convivenza civile sono utili, a volte necessarie, anche nelle comunità cristiane. Ma non sono mai il punto di arrivo definitivo. Il punto di arrivo è sempre la legge che coincide con il cuore. Principio educativo fondamentale nel Cristianesimo è la libertà. Il compito o il dovere della libertà è la felicità. Cristo, e con lui la Chiesa, non ha paura della libertà dell'uomo, anzi è ciò che ama di più in noi. 


(1) Pondus meum amor meus, eo feror quocumque feror. Il mio peso è il mio amore; esso mi porta dovunque mi porto. (Confess. 13, 9, 10)

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