Per una volta faccio un'eccezione a quella che è una scelta di fondo di questo blog, tratto un argomento tristissimo e inserisco un'immagine cruda: l'orrore della guerra. Di fronte alla tragedia che si sta consumando a Gaza ci sto provando a capire... vorrei avere una spiegazione semplice e limpida da dare a mia figlia, e non ce l'ho.
Conosco bene le vicende della seconda Guerra Mondiale, per questo sono sempre stato propenso a giustificare la politica militare di Israele, i suoi eccessi di "legittima difesa", ritenendo che la comunità internazionale avesse un sacrosanto debito da pagare al popolo ebraico per l'Olocausto. Purtroppo, per quel che mi riguarda, lo Stato di Israele ha dilapidato il patrimonio di simpatia, autorità e rispettabilità che un tempo gli riconoscevo. Quando una nazione basa la propria sopravvivenza sull'uso della forza e non è capace di costruire un dialogo coi suoi "nemici", uccide il suo stesso futuro. Israele ha scelto di "coltivare in laboratorio" i suoi oppositori, esaltandone i geni della rabbia e dell'odio per generazioni a venire: una scelta folle. Cito dal
blog Haramlik un contributo, che ritengo documentato e preciso, dello storico
Michelguglielmo Torri: la catena di avvenimenti che ha innescato la
bomba Gaza.
La via per Gaza
Il seguito di avvenimenti che è sfociato nella micidiale operazione «Piombo fuso», lanciata da Israele contro Gaza il 27 dicembre, ha avuto inizio nel gennaio 2006. È stata in quella data che Hamas ha vinto le elezioni nei territori palestinesi occupati da Israele, diventando il partito di maggioranza e formando il governo. L’inaspettata vittoria di Hamas non era dovuta al fatto che, improvvisamente, la maggioranza dei palestinesi (fra cui, del resto, circa il 20% sono cristiani) si fosse convertita al fondamentalismo islamico. Essa era in realtà dovuta a molte cause, di cui la principale era la bancarotta politica di quello che, storicamente, era stato il maggior partito palestinese, il laico al-Fatah. Nello spiegare tali cause, i media occidentali hanno in genere messo in luce la «corruzione» di al-Fatah, ma hanno trascurato di dire che una ragione almeno altrettanto importante dell’esito elettorale era che la politica della trattativa (in corso dal 1993 a livello esplicito, ma assai da prima, a livello confidenziale) non solo non si era tradotta in nessun guadagno concreto, ma, lungi dallo spianare la via alla creazione di uno stato palestinese indipendente, era servita da copertura ad un’espansione senza precedenti del processo di colonizzazione nella Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est.
Come documentato da un certo numero di studiosi, in particolare da Khaled Hroub (il cui Hamas. A Beginner’s Guide è stato tradotto anche in italiano), la crescita di consenso politico di Hamas aveva comportato lo stemperamento delle posizioni più estremiste da parte dell’organizzazione e un atteggiamento politico sempre più pragmatico. Hamas non solo aveva formato il nuovo governo, capeggiato da Ismail Haniyeh, ma, pur ribadendo la propria indisponibilità ad accettare qualsiasi precondizione (e, in particolare, ad accettare quegli accordi di Oslo che non prevedevano nessun limite alla continuazione della colonizzazione israeliana nei territori occupati), aveva fatto più volte intendere la propria disponibilità ad un negoziato, attraverso offerte fatte in diverse occasioni di tregue di dieci, venti e perfino trent’anni.
La risposta dello stato d’Israele, tuttavia, era stata da subito di completa chiusura e si era tradotta nella rottura di ogni relazione con il nuovo governo e nel rifiuto di versagli i proventi delle imposte e dei diritti doganali che, a norma degli accordi di Oslo, Israele riscuoteva dai palestinesi. La decisione di Israele aveva avuto il pieno supporto non solo degli USA, ma anche dell’Unione Europea. Com’è stato notato dallo storico israeliano Avi Shlaim, «si è quindi determinata una situazione surreale, in cui una parte significativa della comunità internazionale ha imposto sanzioni economiche non contro l’occupante, ma contro l’occupato; non contro l’oppressore, ma contro l’oppresso.»
In realtà, come doveva poi essere documentato da un giornale giordano, dal sito americano «Conflicts Forum» e, in un secondo tempo, dal periodico americano «Vanity Fair», accanto al blocco politico ed economico dei territori occupati, fin dalla dimane delle elezioni era stata posta in atto una seconda strategia, i cui architetti sono stati il segretario di Stato, Condoleezza Rice, un funzionario del National Security Council, Elliott Abrams, e l’assistant secretary per gli affari mediorientali del Dipartimento di Stato, David Welch. Tale strategia mirava all’eliminazione del governo di Hamas con strumenti politici, ma, in caso di necessità, anche militari.
La Rice, in un incontro nell’ottobre 2006 a Ramallah con il presidente dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), Mahmoud Abbas, aveva fatto pressioni affinché questi sciogliesse il governo Haniyeh in due settimane. Abbas aveva temporeggiato, anche perché, se pure era nelle sue prerogative sciogliere il governo, a norma della «Legge fondamentale» dell’ANP, il nuovo primo ministro avrebbe in ogni caso dovuto rappresentare la maggioranza, in altre parole Hamas.
Di fronte all’esitazione di Abbas, gli americani erano sempre più entrati nell’ordine d’idea d’organizzare un vero e proprio colpo di stato, individuando come loro strumento Mahomed Dahlan, il capo della sicurezza a Gaza. Nella seconda metà del 2006 la Rice induceva l’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti a finanziare, rifornire e riorganizzare le forze armate di Dahlan, mentre quest’ultimo dava inizio a quella che egli stesso, in un’intervista a «Vanity Fair», doveva poi definire una «guerra molto astuta» contro le forze di Hamas presenti a Gaza.
Contemporaneamente, in una sorta di gara contro il tempo, almeno l’Arabia Saudita cercava di disinnescare la situazione, mediando un accordo fra Hamas e al-Fatah, in vista della creazione di un governo d’unità nazionale. L’accordo, raggiunto alla Mecca nel febbraio 2007, portava alla formazione di un governo congiunto Hamas-Fatah. L’Amministrazione Bush rispondeva finalizzando, il 2 marzo, un vero e proprio piano di colpo di stato, volto ad esautorare con la forza Hamas, ma, nel caso che non collaborasse, anche lo stesso Abbas.
Il piano stesso diventava di pubblico dominio nel mondo arabo quando, nell’aprile 2007, veniva pubblicato dal giornale giordano al-Majd. Il 7 giugno, il quotidiano israeliano Ha’aretz rivelava che Israele aveva autorizzato l’invio ad al-Fatah da parte dell’Egitto di decine di carri armati, centinaia di razzi e migliaia di bombe a mano. Il giorno dopo, a Gaza, Hamas lanciava un attacco preventivo contro al-Fatah, ponendo repentinamente fine all’«astuta guerra» di Dahlan e impadronendosi di Gaza. Da quel momento, Gaza è rimasta sotto il controllo di Hamas, mentre la Cisgiordania continuava ad essere governata dall’ANP, sotto la supervisione israeliana.
L’azione di Hamas, cioè del legittimo governo palestinese, è stata presentata al mondo come un «illegale colpo di stato»; Israele ha quindi potuto procedere a rendere sempre più stretto il proprio assedio intorno a Gaza. Gaza, infatti, era stata sgomberata dalle forze d’occupazione israeliane nel 2005, ma, da allora, con la collaborazione dell’Egitto sulla frontiera Sud, Israele l’aveva trasformata in una sorta di prigione a cielo aperto, bloccandone i confini terrestri e marittimi e controllandone lo spazio aereo. Dalle elezioni di Hamas, il blocco si era fatto sempre più stretto, comportando due tipi di azioni da parte degli israeliani e un tipo di reazione da parte dei palestinesi. Le azioni israeliane erano consistite nel razionamento sempre più stretto e realizzato con modalità sempre più umilianti, dei rifornimenti di beni essenziali, necessari alla sopravvivenza di una popolazione la cui economia era stata distrutta dall’occupazione israeliana; a ciò si erano accompagnate continue intimidazioni nei confronti della popolazione di Gaza, con voli a bassa quota a velocità supersonica, con occasionali tiri di artiglieria e con periodiche azioni di commando più o meno estese e più o meno gravi all’interno della Striscia. Hamas aveva risposto con il lancio di razzi contro il territorio israeliano.
Stranamente, in Occidente, si è in larga parte taciuto su un blocco economico che stava spingendo il milione e mezzo di abitanti di Gaza alla fame, si è parlato solo in maniera sporadica e superficiale delle azioni militari israeliani, ma ci si è soffermati con gran dovizia di particolari sugli attacchi dei «missili» di Hamas (in realtà razzi di fattura artigianale con una scarsissima capacità distruttiva, usati più per ragioni simboliche che militari). Come ha ricordato Avi Shlaim, quale fosse la reale asimmetria fra Hamas e l’IDF (Israel Defence Forces) è evidenziato dal fatto che «nei tre anni dopo il ritiro da Gaza nell’agosto 2005, sono stati uccisi dai razzi undici israeliani, mentre, solo nel 2005-2006, l’IDF ha ucciso 1.290 palestinesi di Gaza, fra cui 222 bambini.»
In questa situazione infernale, nel giugno del 2007, con la mediazione egiziana, è stata raggiunta una tregua di sei mesi. Gli israeliani hanno però non solo continuato a mantenere il blocco economico di Gaza, ma l’hanno sempre più inasprito. Secondo dati dell’Oxfam, riportati da Sara Roy, un’esperta della situazione economica di Gaza, mentre nel dicembre 2005 entrava a Gaza una media di 565 camion di vettovaglie al giorno, nell’ottobre 2007 tale media era calata a 123 e nel novembre a 4,6. Sempre a novembre, il 4, la notte delle elezioni americane, l’esercito israeliano è entrato in Gaza, uccidendo quattro dirigenti di Hamas. Nelle parole del giornalista indiano Aleem Maqbool, giunto in Israele quando l’operazione era ancora in corso: «L’esercito israeliano dice che sta rispondendo ad una specifica minaccia, e che non considera che la tregua sia stata infranta.»
È però forse comprensibile che Hamas e i palestinesi di Gaza la pensassero in modo diverso; il 19 dicembre, quindi, Hamas ha dichiarato la propria indisponibilità a rinnovare una tregua estesamente violata da Israele. Era il pretesto che – come documentato da alcuni organi di stampa – il governo israeliano aspettava da almeno sei mesi: il massacro di Gaza.
l'insensatezza della guerra....
RispondiEliminaCiao Daniele, ti ringrazio per aver dtato spazio in questo post, a questo conflitto, che nel maggior parte delle persone non suscita nessuna perplessità, lo sento quando la mattina vado al bar a fare colazione.
RispondiEliminaQuella del bar, è per me una cosa alla quale non voglio rinunciare anche se l'ambiente del bar non mi è congeniale, ma è proprio lì che puoi osservare l'italiano medio, e dico così non perchè penso che in altri paesi le persone siano più migliori in questo senso, ma perchè il mio osservatorio è qui da noi.
Quindi per dire, che la persona media parla: di calcio, di shopping, di malattie e pettegolezzi, senza pensare che io sono una pessimista e così.
Persone anche preparate a livello scolastico nutrono poco interesse, soprattutto per gli avvenimenti internazionali, l'ignoranza è imperante, aldilà del discorso che i nostri canali di comunicazione sono plotati e che quindi tutti sanno quelle quattro cose che gli vengon passate a mo di slogan, e che poi tutti ripetono a pappagallo.
Questa questione di Israele-Palestina, è una delle faccende che più di tutte mi ha impegnato in questi ultimi anni, per riuscire a capire la trama che vi sta dietro, e sono riuscita piano piano nel tempo, e riferendomi a fonti di informazione diverse dalle solite a costruirmi un filo logico (ma che di logico ha ben poco!)di come siano andate le cose, e di quale posizione prendere nei confronti di questa faccenda.
Io seguo da molti anni radio radicale, e se anche per i radicali ho una certa avversità per alcune delle loro posizioni nei confronti della Chiesa, e di altre loro idee ritengo che sia una radio ancora in grado di informare veramente.
Avevo già sentito direttamente da interviste fatte, la storia che citi tu nell'altro post, dei soldati che si rifiutano di combattere, che insieme ad altro materiale che nel tempo hanno trasmesso è riuscito a farmi avere una idea abbastanza chiara.
Alla fine sono arrivata a convincermi, che se anche Israele è ritenuta una democrazia, ed è quello che tutti portano come argomento per giustificare il suo atteggiamento, io lo considero un modo diverso di fare del terrorismo.
Sarà anche eccessivo e sbagliato, quello che penso ma ma vedo così.
L'ultima volta che ho avuto modo di aggiungere un tassello al puzzle della vicenda è stato in occasione di una trasmissione sempre su radio radicale, e che riguardava la premiazione dell'Associazione Silvia Sandano,avevo acceso la radio che la diretta era già iniziata e stava parlando un uomo, che non avevo mai sentio e che mi ha davvero sorpreso, un modo così pacato di parlare difficilmente lo si sente in persone impegnate in politica e in altre cariche, il suo discorso mi è piaciuto moltissimo ed è riuscito anche a farmi commuovere, ci riuscisse il papa!
Ma la sorpresa ancora più grande è stata quando, scoperto di chi si trattava, cercavo come di solito faccio di farmi la mia ricerca...be, ne ho concluso che anche su Internet, trovi più notizie sui cretini che sulle persone di merito.
Non ho trovato quasi nulla, e le uniche fonti dove lo puoi ancora rintracciare ti rimandano ancora a radio radicale.
La persona alla quale mi riferisco è Cherif Bassiouni.
Questa la dice lunga, su come viaggiano le informazioni, certo quelli che fanno uso intelligente di Internnet,e sono interessati, di cose ne trovano,io ad esmpio seguivo il sito di COME DON CHISCIOTTE, lì di materiale ne trovi fin che vuoi, ma devo essere sincera non sono riuscita a seguirlo che per un po, c'è troppo da leggere a video, io faccio una fatica tremenda, e poi anche lì, mi disturbava che aldilà del materiale valido,l'impostazione del sito è troppo di parte e questo non mi piace, ciò nonostante quando ho voglia di avere qualche otizia particolare ci vado ancora.
Grazie ancora del post e buona giornata.
Ritengo che Hamas sia un'organizzazione terroristica e che sia la prima a rifiutare il dialogo: difatti Israele non rifiuta affatto di trattare con Al Fatah. La mia posizione in questa tragedia è decisamente filo-israeliana, e di compassione per la popolazione di Gaza che mi sembra ostaggio dei terroristi... ai quali, delle ragioni del popolo palestinese, poco importa.
RispondiEliminaCiao Stelllare e Donnachenina, scusatemi ma questa volta mi rivolgo direttamente a Moloch, perché vorrei che mi aiutasse a capire la sua posizione (che è né più né meno quella che viaggia sui vari TG1, TG2, TG4, TG5 ecc.). Invidio la tua sicurezza, Chiara, veramente. Io ho tanti dubbi invece, perché questa faccenda mi sembra tutto meno che una questione di bianco o nero, come mi pare tu invece la tratti.
RispondiEliminaPrimo dubbio: Hamas non ha forse vinto nel 2006 delle elezioni regolari? Perché i Palestinesi hanno votato Hamas? Quale risposta alternativa a quella di Torri ti dai?
Secondo dubbio: concesso che i palestinesi abbiano scelto di essere governati da un'organizzazione terroristica, questo ne giustificherebbe la decimazione (e se usassimo il termine sterminio sarebbe una forzatura?) da parte di Israele, come fosse un accettabile inconveniente collaterale?
Terzo dubbio: Israele non si sta forse comportando come un medico che pur di estirpare un cancro porta alla morte il paziente? E il paziente in questo caso non è forse la possibilità di costruire negli anni a venire una convivenza pacifica tra lo stato israeliano e uno stato palestinese?
Quarto dubbio: l'aggettivo terroristico qualifica un'azione connotata da efferatezza e volontà di incutere terrore nel "nemico", oppure qualifica ogni attacco armato che non sia commesso da un esercito regolare? Ergo se l'esercito israeliano commette azioni più violente e gravi di quelle dei "terroristi" perché esso stesso non sarebbe etichettabile come "terrorista"?
Quinto dubbio: se io privato cittadino per difendermi da una rapina a mano armata tirassi, che ne so, una bomba a mano contro i miei aggressori, sarei ovviamente processato e condannato per eccesso di legittima difesa, giusto? Perché invece uno stato cosiddetto civile può centuplicare contro chi lo aggredisce la violenza che riceve senza che questo sia considerato un crimine?
Potrei continuare a lungo... ma concludo chiedendoti se nemmeno di fronte agli stessi Israeliani che sono contrari a questa escalation di violenza, che comprendono che odio contro odio, genera ancora più odio e così via... è possibile che non ti sfiori il minimo dubbio? Perché tanto dogmatismo filo-israeliano?
Ciao Daniele,rivolgendoti a Moloch, hai fatto lo stesso una analisi dettagliata che serve per tutti, sono contenta che tu argomenti così, ero già convinta prima che la tua posizione era equilibrata ma il sentirti dire le cose che hai detto, non mi lascia nessun dubbio.
RispondiEliminaConfesso che parecchio tempo fa,ho faticato anch'io a farmi una idea che fosse non in bianco e nero,e che riconoscendomi in una parte politica (anche se da quella parte non tutti sono della stessa opinione) più spesso optavo per un giudizio molto mediato senza però conoscere a fondo i fatti, e quindi ero più partigiana, ora cerco davvero di dimenticare tutto quello che riguarda le cose che per tanto tempo mi sono sentita dire, e di seguire più attivamente per altri canali la questione, per chiudere questo commento, mi auguro davvero che l'umanità arrivi piano piano ad abbandonare questi esteewmismi di qualunque colore o religione.
Gtazie ancora per il tuo contributo
e una buona serata
@D22
RispondiEliminaQualche pensiero sparso.
Spero di fare un intervento lungo ma saltellante, che non sia un pacco...
1_tutta la questione mediorientale si gioca su pochi chilometri quadrati di territorio.
Al mondo ci sono abbastanza soldi per fare felici tutti in quella zona. Quindi per me se la situazione non viene risolta è perchè NESSUNO la vuole risolvere. Fine.
2_l'operazione piombo fuso produrrà 7 generazioni di terroristi. O di patrioti, boh.
C'è chi parla di una fusione tra il peggior estremismo ebraico (notare che nell'ebraismo c'è tutto e il suo contrario, quindi dire ebraismo è quasi dire nulla) e un putinismo/stalinismo/autoritarismo di una classe dirigente emergente di origine russa.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8328&ID_sezione=&sezione=
3_distinguere tra i popoli e le loro leadership, anzi non usare più nemmeno la parola "popolo".
La parola popolo porta sciagura.
Da una parte vi è un paese ormai violento e proletarizzato, a quanto si legge, con PROLETARI che vogliono arrivare alla fine del mese e prendere l'autobus senza saltare.
Dall'altra abbiamo PROLETARI che vogliono arrivare alla fine del mese, senza dover fare dieci posti di blocco per andare oltretutto a trovare LA SUOCERA!
4_Israele è stato costruito con materiale umano "made in Europe".
La maggior parte sarebbe rimasta volentierissimo in Europa (cfr. famiglia di Amos Oz)
Quindi Israele è cosa nostra problema nostro responsabilità nostra, non degli indù, o dei navaho o degli americani.
5_"guerra molto astuta": poco astuto dichiararlo a Vanity Fair.
6_Israele è proprio strana. Il film "il giardino dei Limoni" è coprodotto dal ministero
della cultura israeliano. Come se in Italia il Ministero della cultura coproducesse un film sulla macelleria della Scuola Diaz. Quindi ci sono intellettuali, cineasti, un Ministero della Cultura....e non cambia nulla.
7_Certo noi italiani abbiamo poche lezioni da dare. In Italia nelle stesse condizioni il film "Il giardino dei Limoni" non sarebbe uscito, e il presidente del consiglio sarebbe stato chessò...Roberto Fiore? Questo è un punto su cui bisogna riflettere e molto!!!
8_al supermercato ho comprato 25euri di prodotti igienici per la protezione civile che li portava a Gaza. Erano fuori dal supermercato. Spero non ci si facciano la barba quelli di Hamas.
9_ultimo appunto:ho letto una lettera di un obiettore di coscienza israeliano (inutile dire che è una categoria che apprezzo tantissimo): diceva che era cresciuto nel sionismo, ma che negli ordini che gli venivano impartiti, il sionismo non lo riconosceva più. Quindi anche un obiettore di coscienza israeliano può dirsi sionista, e quindi tutta la tematica dell'antisionismo è, nella migliore delle ipotesi, una stupidaggine (volevo usare altri termini ma mi freno).
Scusami, la realtà non è né bianca né nera, e io per essere chiaro mi sono magari espresso con la accetta, ma credo capirai.
mW