(prima parte)
Quando hai chiuso la porta un’altra s’apre
Non esistono chiavi o serrature
Né sbarre, catenacci. Basta voltare
Lo sguardo e spingere
Piano con le mani
Nessun rumore. La luce, ancora accesa, non è stata spenta neanche di notte. E da alcune mattine nessuno ha più visto, al bar La Triestina, la solita signora che, dopo aver scambiato qualche parola con la regale ex contadina sorridente dietro il bancone, si siede a un tavolino a scrivere fitto fitto sui suoi taccuini. Oppure legge, o si mette a chiacchierare con la signora Rosa e altri avventori.
Probabilmente è sola in casa a rincorrere l’ispirazione di un nuovo romanzo.
Come mai però neanche risponde? La dirimpettaia ha provato a chiamarla dall’uscio spalancato della porta, ma non osa introdursi in casa senza invito. Per un senso antico di rispetto, forse.
O è già paura, presentimento?
Chissà se si è accorta che la porta è aperta. Se sa che Goliarda non ha l’abitudine di chiudere la porta, nemmeno quando esce. Se sa che, dopo i furti subiti negli anni Ottanta, aveva appeso all’ingresso dell’attico di Roma un avviso per i ladri:
“La porta è aperta: dentro non c’è nulla di valore. Soltanto cose vecchie (per me preziose). Entrate pure. Ma non rovinate nulla. Per favore…”.
Una cosa del genere sarebbe inconcepibile a Gaeta, dove Goliarda abita più tempo possibile negli ultimi anni della sua vita. La sua piccola abitazione, sessanta metri quadri su tre piani, si trova in un vicolo stretto, ogni portone un’abitazione, dove tutti si conoscono e un ladro sarebbe subito identificato[i].
Vicinissima, la via Indipendenza brulica di venditori di roba fresca e se serve qualcosa per cucinare si fa prima ad andare a comprarla anziché cercare nel frigorifero. In questo quartiere, crinale tra dentro e fuori, tra libertà e promiscuità, Goliarda, in tarda età, ha ritrovato se stessa e la sensazione dolciastra tinta di malinconia di quando era bambina.
La dirimpettaia non sa che, da piccola, Goliarda aveva vissuto in un quartiere molto simile a questo, la Civita a Catania.
Nel romanzo autobiografico inedito, che si intitola Io Jean Gabin, ne parla come “la casbah dove tutto si sapeva in un battibaleno, sempre con cento occhi addosso che ti spogliavano di ogni privacy e possibilità di avere dei segreti”. La casbah in cui era vissuta fino a diciassette anni doveva essere ancora più promiscua e caotica di questa di Gaeta, se fianco a fianco potevano vivere la numerosa famiglia dell’avvocato Giuseppe Sapienza “amato dai poveri e odiato dai fascisti, mio padre, ma da tutti rispettato e temuto”, e il resto del multiforme popolo del quartiere San Berillo: le molte donne derelitte “vittime della società che io fui costretta ad amare”, i vecchi e molti bambini e bambine dai nomi comuni, che a volte persino si ripetevano, ma nessuna che si chiamasse con “questo nome che tutti, in cortile, al mare, notavano con meraviglia… non c’era nessuna Goliarda o Goliardo in tutta Catania e per me in tutto il mondo. Ero sola”.
Nella palazzina di fronte, nello stretto vicolo, la luce non è stata ancora spenta. Strano, si sarà continuata a dire la dirimpettaia. Ma non si sente abbastanza intima per potersene preoccupare. E neanche abbastanza sicura della differenza tra questo silenzio, inconsueto e inquietante, e quello solito che fa una donna sola.
Non sa che Goliarda proprio in questo vicolo ha terminato di scrivere un romanzo molto lungo dal titolo che finisce con il nome di una bambina: Gioia, la figlia più amata, la più cullata, che ogni tanto, per salvarla dalla polvere e dalle tarme, sollevava dal disordine della cassapanca e se la portava a passeggio, procedendo contro o accanto al vento, lungo il litorale di Gaeta. Mentre la sua larga gonna svolazzava liberamente nell’aria odorosa di mare, con una mano tratteneva il cappello, insistentemente minacciato dal vento, e con l’altra aggrappava il grosso dattiloscritto, sulla cui prima pagina stava scritto grande a penna: L’arte della gioia.
Forse proprio perché un poco conosce questa donna un po’ stramba, che camminava spesso da sola in riva al mare, nemmeno al terzo giorno di luce accesa senza sosta la dirimpettaia prova ad entrare in casa della signora Goliarda. E solo quando il presentimento si è del tutto impossessato di lei, anche per via di un intenso e strano odore, dopo averla chiamata invano attraverso la porta spalancata, rientra in casa per chiamare il 112.
Il corpo senza più vita di Goliarda Sapienza è stato ritrovato dai carabinieri il 30 agosto del 1996: nella sua abitazione di Gaeta, riverso sulle scale tra un pianerottolo e l’altro. Il suo cuore aveva cessato di battere tre giorni prima del ritrovamento, trascorsi senza che il telefono avesse mai squillato e nessuno avesse provato ad entrare, nonostante l’esistenza di Goliarda sia stata ricca di amori e amicizie e le porte di ognuna delle case da lei abitate siano state sempre aperte.
Dentro la borsa i soliti notes che portava sempre con sé per scrivere ovunque andasse. Su un tavolo in disuso, poggiata in mezzo ad altre cose, un’agenda a fiori dove negli ultimi anni segnava ogni giorno il proprio peso e, se non aveva altra carta, scriveva emozioni dettate dal momento. L’ultima è la seguente: “la vita mi costringe a viverla … ho paura”.
[i] Nel diari dell’ultimo decennio di vita, G.S. spesso riferisce di essere seduta al bar “La Triestina” di Gaeta a scrivere. L’abitudine di G.S. a tenere la porta aperta sia a Roma che a Gaeta è documentata da testimonianze e scrittura privata. Nel diari si legge: “tengo sempre il portoncino socchiuso, tanto i ladri entrano anche se attrezzi cancelli, porte blindate eccetera! e per me usare la chiave è un supplizio, chissà perché?”, diari 3/1/1990 in AGS. Grazie al fatto che la porta era aperta gli amici potevano entrare e lasciarle doni, ad esempio Isa Bartalini le lascia un cuscino appena “smacchinato” e stirato. La frase apposta sulla porta della casa di Roma è nella testimonianza di Saro Fronte nel blog www.spaccaforno.it. Nel film di Paolo Franchi del 1996 compare un altro cartello rivolto ai ladri simile a questo.
spero di poter leggere quanto prima la biografia inegrale... questo primo capitolo già mi restituisce a quell'atmosfera crudelmente tersa e amabilmente rarefatta che mi ha folgorato nella lettura dei romanzi di goliarda. grazie per la preziosa anticipazione.
RispondiEliminagavino
http://oeildecarafa.splinder.com
Daniele,
RispondiEliminaQuale sorpresa trovare Goliarda Sapienza nell'elenco dei tuoi post, non volevo credere ai miei occhi!
Fra i suoi libri quello che più mi ha colpita, letto una decina di anni fa, è "L'Università di Rebibbia":
un vero capolavoro letterario pregno di un'umanità che mi ha catturato l'anima e che non dimenticherò mai...
Grazie Giovanna per aver scritto quest'opera sulla vita di Mia zia Goliarda Sapienza
RispondiEliminaSpero di poterlo leggere presto.
un saluto
Giancarlo Sapienza.
ps: sono su facebook
Per chi volesse leggere il testo integrale (anche con alcuni miglioramenti) finalmente "La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza" è stato pubblicato.
RispondiEliminaI link dove trovare la copertina e ulteriori informazioni, anche per ordinarlo, sono i seguenti:
http://www.descritto.it/area/ordina.php?riga=166
http://villaggiomaori.com/2010/12/03/giovanna-providenti-la-porta-e-aperta-vita-di-goliarda-sapienza/
http://goliardasapienza.it/2010/12/03/giovanna-providenti-la-porta-e-aperta-vita-di-goliarda-sapienza/
Buona lettura!
Giovanna
Buongiorno,
RispondiEliminaGOLIARDA continua la sua opera per la messa in scena in previsione della prima. In un anno di attività molti sono stati i professionisti del settore che hanno investito il loro tempo e il loro lavoro per vedere crescere e migliorare questo progetto di spettacolo cineteatrale su Goliarda Sapienza.
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