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mercoledì 4 agosto 2010

Scritto per te

Qualche compleanno fa un caro amico mi regalò un suo racconto breve, ispirato alla mia prima raccolta sui generis di poesie. Apprezzai il pensiero e il risultato, e lo ringraziai molto, ma fui anche imbarazzato di questo dono perché mi sembrava esagerato dare tutto questo rilievo al mio libro.

Così quel file è rimasto per qualche anno sul desktop del mio iMac (ho un desktop zeppo di file e molto molto disordinato!)... stamattina mi ci è caduto sopra l'occhio, l'ho riletto... e mi è sembrato sciocco tenermelo per me.


Scritto per te

Questo incontro,
che la mia anima incanta,
apre ricordi di notti antiche
intona un canto dimenticato...


Renata stava leggendo. Renata era arrabbiata. A dire il vero non era mai stata così arrabbiata in vita sua, aveva fatto tutto quel viaggio per fare una sorpresa a Carlo, il suo ragazzo, il suo ex-ragazzo, e ora sta tornando indietro in treno. Non avrebbe dovuto trovarsi lì quel giorno, avrebbe dovuto avere i primi esami dell’università. Poi il Prof., uno che era quello che era perché vent’anni prima aveva scritto qualcosa di cui nessuno si ricordava più ma tutti dicevano fosse importantissima, si era beccato gli orecchioni, a sessant’anni suonati, da un nipotino. Molti studenti avevano sogghignato, pensando che gli orecchioni fossero la malattia ideale per un pallone gonfiato, e ringraziato il cielo che le loro gentili preghiere fossero state accolte. Gli esami erano stati rinviati. Così aveva deciso di fargli una sorpresa e di venire a trovare lui che era il più bel ragazzo sulla terra, senza dirgli nulla prima, il giorno del suo compleanno. Lo aveva trovato che stava festeggiando con la sua ex migliore amica. E pensare che si erano conosciuti grazie a lei! Spumante di rabbia e dolore era tornata in stazione e si era ficcata nel primo treno che la riportasse indietro. Per puro caso aveva trovato un posto a sedere nella prima carrozza e quando il tizio che le stava di fronte si era svegliato di soprassalto ed aveva afferrato in tutta fretta la sua roba dal portapacchi per scendere, quel libretto, per fortuna leggero, le era piovuto sulla testa. Non aveva avuto il tempo di ridarlo al suo padrone e le era rimasto fra le mani. Renata amava i libri, li aveva sempre amati e non aveva potuto far a meno di aprire quel piccolo opuscolo. Una frase l’aveva colpita subito, facendole venire il dubbio che forse proprio il destino, aveva fatto arrivare quello scritto fino a lei.

C’è sempre la possibilità di vedere un ‘mondo nuovo’ anche dopo un dolore...

nessuno ha il potere di renderci felici o infelici:siamo noi stessi responsabili della nostra felicità.

Renata era incredula. Non riusciva a pensare altro che alla sua rabbia e al suo dolore. Non riusciva a vedere altro che il volto di lui, un moro dagli occhi azzurri, baciato da quella... quella... QUELLA! Ecco! Come poteva, come osava, l'autore di quei versi dire che la felicità, la sua felicità, o meglio la sua infelicità dipendesse da lei stessa. Che sfacciato! Eppure sembrava che il libro l'avesse scritto dopo un brutto momento. Già. Ma in fondo, anche lui è un uomo e gli uomini sono tutti uguali. O no? Beh, Carlo le era sembrato diverso dagli altri all'inizio... ma non scriveva mica poesie. Anzi, a dire il vero, sul piano romantico era piuttosto scarso. Questo qui invece per un'amore perduto s'era messo a scrivere versi. E anche belli, di quelli che vanno letti pian piano, una parola per volta perché ti fanno venir fuori pensieri che senza loro non avresti mai pensato. E se, dopo tutto, avesse ragione il poeta? Dopo tutto, in fondo in fondo, lo aveva sempre saputo bene com'era il Carlo. Gli aveva fatto la corte perché era un bel pezzo di ragazzo e non era imbranato come tutti gli altri, e poi così aveva avuto la soddisfazione di toglierlo a quella smorfiosa della Clarissa, che si credeva le più bella del reame...
Ma lo aveva amato veramente il Carlo? O ci si era messa insieme per gioco e per sfida? Che illusione l'idea di poter esser quella che se lo tiene sempre per se ! Sfida, Illusione, e adesso?
Mamma mia che male di stomaco e senso di vuoto!

...il vero viaggio
accadde dentro,
a riabbracciar noi stessi.


Ma che dice questo qui? E chi l'avrebbe mai riabbracciata? Il viaggio se lo stava facendo su un treno affollato e puzzolente ecco dove lo stava facendo!
La rabbia di Renata stava lentamente trasformandosi in sconforto, tristezza e confusione. Si trovava ad essere in uno stato d'animo assurdo come quello di una bimba che, rimproverata dai genitori non volesse dar loro ragione a nessun costo. Anche di fronte all'evidenza, anche se capiva di essere dalla parte del torto, non voleva cedere. Era come se il libro, le parole, i versi ed anche gli spazi bianchi tra le righe la stessero amorevolmente rimproverando, mostrandole una verità che non voleva vedere ma che era di fronte a lei. Eppure, forse proprio per questo, sentiva che non poteva smettere di leggere come se il libro avesse preso il controllo di lei e la spingesse ad arrivare in fondo.

Così siamo partiti:
sprovveduti come fanciulli

tanto incoscienti
da esser quasi saggi.


Renata aveva la sensazione di essere in movimento e non erano gli scossoni del treno.
Che confusione nella testa ! Rivedeva se stessa mentre per inseguire il Carlo, rifiutava la corte di tutti gli altri "imbranati".
Ma che aveva inseguito? Che aveva voluto? Che aveva visto?... Ah... il fascino del "Bel Tenebroso!". Nel libro ora Renata vedeva se stessa, sciocca ragazzina che insegue il lupo mannaro e capiva che tutto quello che aveva pensato di Carlo, tutto quello che aveva visto in lui non erano altro che fantasie, sogli, illusioni, allucinazioni. Ora lo vedeva meglio il Carlo, bel ragazzotto viziato vestito bene con soldi non suoi. E ora vedeva meglio anche se stessa e la sua ingenuità.

Nei tuoi occhi trovo dipinte vive
le stagioni dell’anima mia...


Quanto avrebbe voluto che il Carlo le avesse detto una frase così!
Ma quello manco sapeva dove stava di casa l’anima. Era troppo occupato dai suoi vestiti, dalla sua moto, dall’apparire un vincitore di fronte agli amici, tutti come lui, per occuparsi di qualcosa di futile e invisibile come l’anima e la poesia. E chi non conosce né anima né poesia, non può essere capace di amare.

Tra desiderio e aspettativa
il rischio è sottile.

Tra il cuore e la ragione
la vittoria è sempre inutile.

Tra un’amore e l’altro
fingiamo che la felicità
dipenda da chi amiamo.


Inutile! Certo che era inutile e se è inutile la vittoria è inutile anche la battaglia. “Inutile cercarsi un uomo tanto sono tutti così! Sarò felice lo stesso da sola! Meglio Sole che Male Accompagnate! Ecco!” pensò. Ma non ebbe il tempo di crogiolarsi con quel pensiero.
“Bau!” L’abbaiare di un cane la fece trasalire. ”Il posto è mio non vede che è prenotato.“. Di fronte a lei stava una vecchia cicciona occhialuta, con un trucco così pesante che avrebbero potuto intonacarci un muro cadente, una infinità di anelli sulle dita grassoccie, un taillor fuori moda evidentemente allargato, ed assurdi collant rossi, che l’avrebbero resa visibile anche in caso di nebbia, infilati su di un paio di scarpe lise e stanche di dover sopportare tanto peso. Sotto braccio aveva un cagnolino dalla faccia odiosa che sottolineava abbaiando le frasi della padrona. ”Ma certo che non l’ha visto. (bau) Voi ragazze moderne non fate mai attenzione, avete la testa fra le nuvole (bau). La vostra unica aspirazione è diventare veline senza cervello. Scatolette vuote. (bau) Mica volete studiare. Tuttalpiù vi mettete a leggere qualche poesia d’amore per riempirvi la testa. (bau)”
Renata si alzò senza parlare. Inutile mettersi a discutere. Teneva il libro ben stretto fra le mani per essere sicura di non perderlo. Era il suo unico compagno di viaggio e cominciava a volergli bene. “Mi scusi signora.” disse allontanandosi. “Signorina! Prego (bau)!” risposero i due con tono piccato.
La tristezza di Renata si fece ancor più cupa. Così sarebbe diventata! Senza un compagno! Così, una vecchia zitella pazza e inacidita. Così, una persona arida e arrabbiata col mondo. La cosa più triste per Renata era che era sicura che al fondo di tanta rabbia e acidità vi era un antico dolore, una ferita aperta e sanguinate che col passare degli anni s’era incancrenita. Magari in un giorno lontano quella donna era stata come lei.
Con questi pensieri nella testa, Renata stava camminando risalendo il lungo il treno affollato. Avrebbe voluto sedersi ma il treno sembrava stracolmo di gente. Nessuno sembrava badare a lei e al suo dolore. Si sentiva sola anche se era in mezzo ad una folla ed anzi, la folla sottolineava ancor più la sua solitudine.
Entrando nell’ultimo vagone Renata vide se stessa riflessa nello specchio accanto alla cartina con la rete ferroviaria italiana. Che disastro! Tutta sudata, coi capelli mosci e ora che ci guardava era anche ingrassata! Dentro quel vestito aderente le sembrava di essere una salsiccia. E chi avrebbe mai guardato una ragazza simile! In piedi, sballottata dal treno, tornò a guardare il libro:

Ti ho portata con me a vedere l’alba,
gnomi e fate mi chiedono dove sei,

gli rispondo, sei qui nel mio cuore.

Hanno capito, si sono fatti attenti.

La poesia! La poesia le dava conforto! La poesia stava portando Renata indietro nel tempo. Si sentiva come una bambina. Le venivano in mente le fiabe che le raccontava sua madre. Quanto avrebbe voluto tornare piccola! E rifugiarsi nel cuore di sua madre! Sentire quel calore, e quelle carezze! Ora invece cercava di rifugiarsi in quel piccolo libro, come se le pagine e i segni danzanti le avessero costruito un nido.
Era ormai arrivata agli ultimi versi. Si ricordò improvvisamente che il maestro delle elementari, a cui aveva voluto un gran bene, diceva sempre che per apprezzarle le poesie vanno lette a voce alta. "Una poesia è come una musica, ragazzi. È meglio sentire una musica che vedere uno spartito ed è meglio declamare, recitare leggere ad alta voce e far vivere una poesia piuttosto che farla dormire nel silenzio." E così, sicura di non essere ascoltata da nessuno in mezzo alla confusione assordante del treno, tenendo il libro con una mano, Renata lesse:

"A furia d’abbracciarti in sogno / consumerò il firmamento."

“Allora non farmi spegnere la notte: / cadi qui vicino a me, stellina cara.”

Le rispose una voce.

Renata ebbe un sussulto e, anche se non lo ammise mai, divenne rossa in viso. Alzò gli occhi. Di fronte a lei c’era un ragazzo. Le mani, che stringevano lo stesso libro di Renata, non sembravano male. Ma la barbetta, i capelli castani, e il vestito erano una pena ed era pure diventato rosso, lui. Magari però rimettendolo a posto e rivestendolo, forse poteva essere anche passabile.
Anche lui aveva sobbalzato sulla sedia e aveva alzato gli occhi dal libro. La barba incolta, con cui
cercava di darsi un contegno da Uomo, non poteva nascondere il suo rossore. Di fronte a lui, in piedi, vide una ragazza niente male. Di quelle che di solito sono degli altri. La fronte sudata e i capelli grondanti di caldo la facevano apparire come una sirena appena uscita dall’acqua. E le curve, che l’abito aderente sottolineava, lo affascinavano. Con una ragazza così non aveva sicuramente niente da perdere. Tanto, lo sapeva benissimo di non essere bello, quindi trovò il coraggio di parlare per primo:

"Ciao, anche tu appassionata di poesia ?" "Mi piacciono i libri..."
"Scusa, non volevo ma sai stavo proprio leggendo... ma guarda che caso... e mi è venuto spontaneo proseguire."
"Non hai niente da scusarti, hai ragione è proprio un caso...."
"Ma sei in piedi ! Se vuoi tolgo la mia roba, un sacco di altri libri e così ti puoi sedere... Cioè, non so... sempre che non ti disturbi."

Renata pensò che ridotta com’era nessun ragazzo ci avrebbe mai provato. E così accettò.

"Grazie, che libri hai? Studi anche tu?"
"Mi piacerebbe studiare ufficialmente, ma sai, beh, non ce la passiamo benissimo, neanche male se è per questo ma non voglio pesare sui miei e così li aiuto. Abbiamo una piccola casa editrice in perdita e una libreria antiquaria. Praticamente vivo immerso nei libri e allora studio in modo non ufficiale, ma si impara un sacco di roba lo stesso e..."

"Bellissimo!”

“Eh?”

“Quello che fai ! È bellissimo!”

“Ah.”

“Ma scusa non ci siamo presentati. Io mi chiamo Renata e tu ?"

"Se mi prometti che non ti metti a ridere te lo dico..."

"Promesso... ma perché dovrei ridere ?"

"Perché la famiglia di mio nonno era comunista convinta e non sopportava i nomi dei santi, la sorella di mio nonno l'avevano chiamata Dinamite, ma si faceva chiamare Dina. Io mi chiamo come mio nonno, Antares."

Renata sorrise, per la prima volta in tutto quel viaggio,
"Uh... eh. No, non sto ridendo... eh... ma non è anche il nome di una stella?"

"Sì, sei una delle poco che lo sanno, una gigante rossa per la precisione."

"Beh, a dire il vero sei tutto rosso anche tu!"

Antares rise - "Non riesco proprio a darmi un contegno eh? Ho la sensazione che in questo mondo meccanizzati ci vergognamo un po' di leggere poesie. Ma in fondo", proseguì ammiccando e abbassando la voce, "siamo i migliori ! Magari dovremmo organizzarci in una associazione segreta come in Fahrenheit 451 di Bradbury, l'hai letto?"

"Sì ! E uno dei pochi romanzi di fantascienza che sopporto!"
E così continuarono a parlare. Lui era spontaneo perché "Figurati se una ragazza così bella mi guarda!
Ma almeno mi parla, è una delle poche a cui interessano i libri.", lei perché "Sono un totale disastro, figurati se ci prova... (in fondo non è male e non sembra nemmeno stupido.)"
E, a forza di parlare, il treno stava lentamente terminando il suo viaggio, mentre Renata e Antares, anche se ancora non lo sapevano, avevano appena iniziato il loro. Anni dopo ripensandoci dissero che quel libro era stato proprio un puntuale aiuto dal Cielo.

racconto di Giuseppe Levi

Basato sull’opera poetica Ventidue passi d’amore
di Daniele Passerini (2005, A&B Editrice / Bonanno Editore)

3 commenti:

  1. L'ho letto tutto, dall'inizio alla fine, non potevo staccarmi.
    E' bellissimo! Complimenti al tuo amico.
    Ma anche complimenti alle tue poesie :)

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  2. ma come, si rubano le foto??? Non si fa!!!

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