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domenica 12 ottobre 2008

È facile smettere di fumare (I)

Non sono un fumatore, non lo sono mai stato. Ma sono tollerante con chi ha il vizio: a casa ho un posacenere per chi vuol fumare e lascio farlo a chi sale sulla mia auto, se lo chiede. Considero i divieti di fumo, estesi ormai ovunque, in prima analisi un segno d'isteria collettiva. Dovrebbe bastare buon senso ed educazione a regolare la convivenza tra fumatori e non fumatori, salvo concludere che la maggioranza dei fumatori non possiede né buon senso né buona educazione, al punto da preferire sottostare a un divieto che controllare le proprie azioni... non mi pare verosimile.

Oggi ho accompagnato in libreria due mie amiche fumatrici, Chiara ed Eva. Entrambe hanno comprato un libro davvero particolare di cui, non avendo il vizio delle sigarette, ignoravo del tutto l'esistenza, e di cui - constato adesso - molti ex fumatori dicono meraviglie, dicono che funziona! S'intitola È facile smettere di fumare ed è stato scritto dal britannico Carr Allen (1934-2006). Anche le mie amiche si aspettano, con qualche dubbio e molte speranze, che basti leggere questo libro per essere in grado, voltata l'ultima pagina, di smettere di fumare. Se funzionerà con Chiara, che da vent'anni fa fuori minimo due pacchetti al giorno, non avrò alcun dubbio che È facile smettere di fumare non è una bufala. Be', vediamo cosa succederà. Comunque, chiacchierando con Chiara ed Eva dei motivi per cui si fuma e si può decidere di smettere, mi sono sorte alcune riflessioni, che qui condivido.

Ho cercato nel web dati sulla percentuale di fumatori sul totale della popolazione italiana, per verificare se le mie ipotesi fossero suffragate o meno. La prima cosa che mi ha colpito è che si trovano molte meno informazioni di quanto immaginassi. Uno studio ISTAT di gennaio 2006 (scaricabile qui) sembra attestare l'effetto positivo dell'applicazione dell'art. 51 della Legge 3/2003 ("divieto di fumo nei locali al chiuso accessibili ad utenti o al pubblico, compresi i luoghi di lavoro e i locali ricreativi, ad eccezione degli spazi riservati ai fumatori, purché dotati di impianti per la ventilazione ed il ricambio di aria regolarmente funzionanti"). Peccato che l'analisi si basi solo sul semplice confronto di un campione tra dicembre 2004 (poco prima dell'entrata in vigore della norma) e marzo 2005: in questi 3 mesi i fumatori di più di 14 anni (popolazione che viene presa in considerazione in tutte le indagini di seguito menzionate) sono calati dal 22,9% al 21,8%, mentre quelli che hanno tentato di smettere sono passati dal 20,9% al 23,0%. Per un quadro della situazione antecedente, il medesimo studio ISTAT mostra tramite una tabella come la percentuale di fumatori dal 1995 al 2003 si sia mantenuta pressoché costante (tra il 24 e il 25%); nonostante - aggiungo - le tante campagne di comunicazione pubblica (costate certamente l'iradiddio) succedutesi nel frattempo per contrastare il tabagismo. Un calo significativo (quasi due punti percentuali) si registra solo nel 2004: i ricercatori dell'ISTAT lo valutano effetto dell'aspettativa dell'entrata in vigore della Legge 3/2003 (renderebbe pertanto più significativo il calo di un punto percentuale tra dicembre 2004 e marzo 2005, che sarebbe stato "assorbito" dal calo registrato in tutto il 2004). Su un altro sito trovo riportato che in Italia (dati ISTAT e DOXA anno 2002) fuma il 26,60% della popolazione con più di 14 anni. Un valore decisamente più alto di quello che lo studio ISTAT del 2006 riportava relativamente al 2002 (24,5%). Secondo quanto pubblicato dal sito del Ministero della Salute i fumatori erano il 25,6% nel 2005 e il 24,3% nel 2006. Ma come! Ciò contraddirebbe il 21,8% (marzo 2005) dichiarato dall'ISTAT a gennaio 2006. Infine sul sito della Legatumori è ospitata una recentissima indagine DOXA-ISS: I dati del 2008 confermano quanto osservato dall’analisi del trend storico degli anni precedenti, secondo cui negli ultimi 50 anni si assiste ad una costante diminuzione dei fumatori. Nel 2008 si è avuta una riduzione complessiva di 1,5 punti percentuali rispetto all’anno precedente nella prevalenza passata dal 23,5% al 22,0%. N.B. Anche per il 2007 si conteggia una percentuale (23,5%) maggiore di quel 21,8% successivo all'entrata in vigore della Legge 3/2003.

Insomma, qualcosa non quadra. Sembrerebbe ad esempio che passato il primo effetto dell'applicazione della Legge 3/2003, nel giro di pochi anni la popolazione di fumatori si sia persino accresciuta per poi lentamente tornare a calare. Il fatto è che tutte le comparazioni che ho trovato prendono in considerazione archi temporali troppo limitati (da un minimo di 3 a un massimo di 12 mesi) per distinguere una vera e propria tendenza da una semplice fluttuazione. Non per niente l'unico confronto (ISTAT) che ho trovato su un margine di tempo maggiore (tra il 1995 e il 2003) mostra un'incidenza costante del tabagismo. Certo, studi diversi possono utilizzare diversi metodi di selezione del campione e analisi dei dati, ma resta la contraddittorietà dei dati finali di dominio pubblico.

Per lavoro mi occupo anche di dipendenze, in particolare nella fascia di età adolescenziale. È un dato acquisito nella letteratura scientifica che informare dall'alto sui pericoli delle droghe, nonché centrare le campagne di comunicazione sulla "paura", non produce alcun effetto dissuasivo rispetto alla curiosità di provare le sostanze, anzi, favorisce ancora di più il classico appeal di ciò che è proibito. Un tipo di informazione contro le droghe che ha invece qualche possibilità di arrivare al target a rischio è quella dal basso, quella che nasce e circola nel gruppo dei pari (stimolata ad esempio dalla metodologia della peer education), trasversale alle varie tematiche di vita delle persone e non puntata tout court contro il comportamento a rischio da contrastare, centrata sulla promozione di comportamenti positivi piuttosto che sulla stigmatizzazione di quelli negativi. Eppure le campagne contro il fumo sembrano andare esattamente in direzione opposta. Non può essere certo una disattenzione!

Mettendo insieme tutto ciò arrivo a una conclusione paradossale: che il divieto di fumo nei luoghi pubblici, così come le scritte "terroristiche" che capeggiano a caratteri cubitali sui pacchetti di sigarette, non siano finalizzati a ridurre il fenomeno del tabagismo, come a prima vista pare ovvio che sia. Troppi interessi economici dietro - temo - per preoccuparsi realmente della salute dei fumatori. Ipotizzo che in realtà questi divieti "servano" a mantenere il consumo di tabacco sui livelli attorno ai quali s'è attestato, livelli che consentono all'industria del tabacco di perpetuarsi con buoni margini di profitto.

Sospetto che servano in particolare a diffondere la sigaretta specialmente tra le nuove generazioni. Che impatto ha, per un bambino prima e un adolescente poi, osservare un adulto consumare una sostanza su cui è scritto letteralmente che uccide! Se gli adulti mostrano di fregarsene perché lui dovrebbe "essere da meno"? E in cosa consisterebbe il potere dissuasivo del divieto di fumo in un locale, tanto enfatizzato al momento dell'entrata in vigore della Legge 3/2003? Ormai andare "a fumare fuori" è diventata un rito collettivo, persino socializzante, più ostentato con orgoglio che vissuto con disagio.

Ecco il paradosso: ci dicono che vogliono ridurre il consumo di tabacco, mentre in realtà stanno scientemente facendo di tutto per mantenerlo in vita. Perseguono esattamente l'obiettivo opposto a quello che dichiarano e mostrano di fare.

Insomma, il punto è che qualunque esperto di comunicazione sa che riportare sui pacchetti di sigarette una frase come "nuoce gravemente alle tue finanze" avrebbe molto più presa delle usuali "scritte" terroristiche stile minaccia di morte. Tanto più inutile stampare sui pacchetti immagini di polmoni tumefatti dai tumori o peggio (come stanno per fare in Gran Bretagna); funzionerebbe invece - che so - la foto di un bambino sorridente che corre e gioca su un prato verde e la scritta "una boccata d'aria pura è meglio".
(segue)

2 commenti:

  1. Grazie davvero per il riepilogo dei dati. Mi sorprende che il divieto nei luoghi pubblici non abbia funzionato. Hai pensato di guardare al numero di sigarette vendute? Forse non sono diminuiti i consumatori ma è diminuito il consumo, cosa comunque positiva.

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  2. Grazie a te.
    In realtà tutto è nato da una chiacchierata tra amici e dai dubbi e sospetti che ne ho ricavato... non volevo certo fare uno studio del fenomeno! Solo provare a vedere dove portava il mio ragionamento.

    Ho seguito la tua sollecitazione e ho trovato i dati del consumo di sigarette in Italia: se andiamo a guardare con occhio attento quel che è successo nell'ultimo decennio i miei sospetti sembrano davvero confermati. Voglio dedicare un nuovo post a ciò e il prima possibile: la faccenda si fa interessante.

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