Morendo, una persona dà la sua vita per un’altra. Parti di te che si amputano per rinascere nuove, innestate nel meglio che quell’amore ti aveva dato. Si muore così per lasciare il meglio di sé a quelli che ti hanno saputo leggere. E so che quando sarà per me, sarà giusto e utile, per me e per le persone che, amando, ho anche necessariamente oppresso. Non temo la morte. Temo il delitto che c’è in natura e che uccide a tradimento, prematuramente. Questo temo: la natura criminale.
Che tipo di crimini ha in mente, quando, negli anni Sessanta, Goliarda Sapienza scrive queste parole? Modesta, la protagonista del romanzo L’arte della gioia, supera molti ostacoli facendo uso della morte e del delitto in una visione esistenziale e simbolica di continuo rinnovamento. Simbolico difficile da comprendere in pieni anni di piombo quando i molti editori e intellettuali italiani a cui il romanzo era stato dato da leggere lo avevano rispedito al mittente, ricacciato dentro la cassapanca, dove Goliarda se lo cullava con gli occhi di madre pieni d’aspettativa. Ma non troppo: non era una donna a tal punto sicura di sé, a tal punto ambiziosa.
“Come tutti gli individui sani sono molto ambiziosa”, fa dire a Modesta mentre inizia a raccontarla. Ma poi cancella questo incipit originario di L’arte della gioia.
Nel film di Citto Maselli, “Lettera aperta a un giornale della sera”, del 1969, Goliarda recita se stessa in questo momento della sua vita: un’intellettuale indaffarata e fuori dal coro che va ogni giorno in biblioteca per fare ricerche con l’intento di scrivere un romanzo storico coraggioso.
Le cineprese di Citto la riprendono nella sua casa di via Denza a Roma. Eccola: come ogni mattina fatica ad alzarsi dal letto, anche se è già sveglia. Nel buio tasta la presenza rassicurante delle sigarette sul comodino e prima dei cerini trova l’orologio.
“Oh dio è tardissimo”, dice recitando, ma dentro di sé sa benissimo che oggi lei è un’altra donna rispetto a quella che era stata per molti anni, piena di doveri e di scadenze. Oggi è una scrittrice, una donna libera, anche a costo di patire la fame!
Ha intanto trovato i cerini e ne sfrega uno sul lato ruvido della scatola. La fiamma le illumina il viso: le occhiaie molto visibili circondano il suo sguardo traboccante vitalità. Si alza, finalmente, e apre la persiana per fermarsi lì, a guardare oltre il vetro accendendosi un’altra sigaretta. Il gesto lento di portare alla bocca il piccolo involucro bianco la calma e l’aiuta a pensare. A trasformare il suo senso di isolamento dagli altri in una solitudine costruttiva.
Nello stesso momento in cui lei sta componendo l’inizio del romanzo di Modesta, non lontano da lei, alcune donne urlano in piazza la propria liberazione e fanno il femminismo. Altre girano le manovelle del ciclostile a ritmi produttivi sempre più crescenti, come il proliferare di collettivi, movimenti, partiti, comunità e ideali famiglie elettive dentro cui vivere beati...
Lei sta alla finestra e, mentre guarda passare il treno dell’attuale rivoluzione, scandaglia il territorio variegato della propria coscienza: è possibile vivere una esistenza intensa e libera senza bisogno di passare da una all’altra chiesa?
Ha intanto spento una sigaretta e ne ha in mano un’altra, che ancora non accende, la rigira tra le mani, mentre ripassa in mente la propria presenza su questo pianeta e quella di Maria Giudice, sua madre. La rivede, delirante di verità, non sopravvivere alla tanto desiderata fine della dittatura, non sopravvivere alla falsa libertà del “fascismo bianco”, che aveva previsto. Rivede il confine di sua madre - e di se stessa - affacciata dal pozzo, aggrappata alla morte. O alla vita.
La protagonista del suo romanzo, Modesta, avrebbe detto di no a tutte le chiese, comprese quelle che proclamano la rivoluzione o la giustizia in terra. Sarebbe stata brava, più brava di lei e di sua madre: una donna capace di sfidare, centimetro per centimetro, cicatrice su cicatrice, il pozzo della malinconia.
Se è vero che Citto Maselli, suo compagno di vita per diciotto anni, l’aveva salvata due volte dal tentato suicidio è anche vero che è stata Goliarda, da sola, ad imparare a guardare dentro le profondità del pozzo, cadendo, sì, ma anche risalendo più ricca di prima.
Prova una forte emozione, mentre ci pensa. E l’ambizione di trasporre in poesia ciò che prova.
Avrebbe fatto fare e dire al personaggio di Modesta quello che lei sta imparando a sapere. Anche se non sa se osare, non sa se sia poi del tutto così!
La vita vera è tanto più complicata...
Finalmente si siede al suo tavolo di scrittura. Abbandonata quasi intera l’ennesima sigaretta nell’unico angolo del piccolo scrittoio che non sia pieno di fogli, incurante della cenere che sporca il pavimento, inizia a scrivere: le mani le tremano, gli occhi sono spugne inzuppate e si sente un fiume in piena.
È dall’1.1.1900 che sono sulla terra. È poiché, come tutti gli individui sani, sono molto ambiziosa, mi decido a raccontarvi le mie avventure. E se poi avrò la fortuna che qualche ragazzo o ragazzina leggendomi si innamori di me, allungherò (nell’invidia o nell’amore) ancora di qualche attimo la mia presenza su questo pianeta.
Solo più di trenta anni dopo la sua nascita, la sana ambizione del personaggio di Modesta, che pronuncia queste parole, ha trovato consensi ed editori in tutta Europa, facendo diventare Goliarda Sapienza, post mortem, la scrittrice affermata che non è mai stata in vita. La difficoltà ad emergere della sua opera letteraria ha come una sorta di coerenza esistenziale: non sarebbe possibile raccontarla senza il suo ricadere ogni tanto nel pozzo, senza i suoi molti crucci, tra cui, negli ultimi venti anni, quello di non vedere pubblicato la sua Modesta tanto amata.
Negli anni Ottanta, nonostante lo sfratto per morosità, i mobili pignorati, il conto del droghiere e del tabaccaio; nonostante, dopo la storia del furto, del processo e della colletta, quasi nessuno dei suoi vecchi amici la inviti più, Goliarda continua ostinata a fare letteratura: una delle cose meno redditizie al mondo e l’unica che le procuri vera gioia.
Sa di avere scritto qualcosa che le sopravvivrà. Ma teme moltissimo che questo non sia vero, come teme la propria fragilità. Forse teme che la pubblicazione del romanzo di Modesta, ed una eventuale imprevista notorietà, possa trasformarla in una persona irriconoscibile a se stessa. Anche per questo preferirebbe morire prima di diventare famosa.
Da morta è possibile allungare ancora di qualche attimo la propria presenza su questo pianeta: purché di lei si dica che è voluta diventare una scrittrice non per trovare qualcosa di desiderabile per se stessa, ma per cercare una strada diversa dalla semplificazione che separa il dolore dalla gioia come fossero due acerrimi nemici e non l’uno il risvolto dell’altra.
[ii]Grazie all’amministrazione comunale di Gaeta, e in particolare all’interessamento dell’ Associazione culturale “Novecento”, diretta da di Antonio Lieto, le ossa di Goliarda Sapienza riposano ora al cimitero comunale di Gaeta, in cui è anche stata apposta una stele: “in questa cappella riposa Goliarda Sapienza scrittrice e attrice voce libera innamorata di Gaeta”.
NEW! Dicembre 2010: La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza, romanzo biografico di Giovanna Providenti è stato finalmente pubblicato.
Finalmente "La porta è aperta vita di Goliarda Sapienza" è stato pubblicato da Villaggio maori edizioni.
RispondiEliminaI link dove trovare la copertina e ulteriori informazioni, anche per ordinarlo, sono i seguenti:
http://www.descritto.it/area/ordina.php?riga=166
http://villaggiomaori.com/2010/12/03/giovanna-providenti-la-porta-e-aperta-vita-di-goliarda-sapienza/
http://goliardasapienza.it/2010/12/03/giovanna-providenti-la-porta-e-aperta-vita-di-goliarda-sapienza/