Ci siamo.
Domani si aprono le Olimpiadi 2008 di Pechino, imponenti e fastose - si dice e s'è intravisto - come mai prima d'ora, divenute oggetto di dibattiti e discussioni trasversali a ogni schieramento politico, di certo fonte di più d'una inquietudine. Infatti un evento in teoria esclusivamente sportivo (ma in un mondo complesso e globalizzato nulla può più essere esclusivo) s'è trasformato giocoforza nella cassa di risonanza della questione tibetana e nell'occasione per puntare il dito contro il totalitarismo cinese o in generale - più onestamente - contro l'autoritarismo che va diffondendosi in tutto il mondo in modo strisciante, subdolo e mellifluo; si parla non a caso sempre più di dittature dolci.
Questa è la seconda volta che affronto su questo blog il tema del ruolo attivo che potrebbero avere gli atleti alle Olimpiadi 2008 (quel post venne anche citato e linkato su Blogosfere). Vincere una medaglia olimpica ha un grande valore sportivo (e oggigiorno pure economico!) ma non è un valore; testimoniare a favore dei diritti civili e delle libertà individuali (come fecero Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi del 1968 in Messico) non ha un valore intrinseco ma è di per se un valore universale!
Torniamo alle inquietudini dunque, prendendo spunto dalle notizie sui Giochi che hanno catturato la mia attenzione.
L'urbanizzazione della "nuova Pechino", concepita in funzione delle imponenti costruzioni olimpiche, ruota attorno ad un asse viario lungo 5 miglia che unisce la nuova stazione ferroviaria all'Olympic Green attraversando la Piazza Tienanmen. L'architetto autore del progetto ha un nome che non passa inosservato, lo stesso del padre, quell'Alber Speer a cui Adolf Hitler aveva affidato il progetto di una nuova Berlino capace di tramandare alle generazioni future la magnificenza del III Reich: in particolare Albert Speer padre aveva disegnato un asse viario lungo 5 chilometri e largo 120 metri quale fulcro della riorganizzazione degli spazi e dei volumi urbani. Sono rimasto senza parole leggendo di questo parallelismo tra Berlino 1936 e Pechino 2008. Non me la sento proprio di liquidarlo come una semplice e innocente coincidenza.
M'inquieta anche la censura sul web. Perché se la Cina ritiene di potere oscurare in modo plateale siti come la BBC o Amnesty International senza che il suo ruolo e la sua immagine ne abbiano a soffrire i casi sono due: è governata da irresponsabili autolesionisti - e ne dubito - oppure devo amaramente concludere che non teme alcuna conseguenza. Così come pensa di potere fare il bello e cattivo tempo in Tibet. Ora è chiaro che la Cina odierna non ha assolutamente nulla a che spartire con la Germania nazista degli anni '30... però il pensiero scivola sempre lì.
Trovo invece addirittura comico il botta e risposta verificatosi negli ultimi giorni tra qualche voce dell'establishment politico e di quello sportivo. «Il gesto dell'atleta tedesca Imke Duplitzer, che ha annunciato di non prendere parte alla cerimonia inaugurale dei Giochi per protesta contro il mancato rispetto dei diritti umani in Cina, sia da stimolo per tutti gli atleti, compresi quelli italiani», questo l'invito rivolto ai nostri atleti dal Senatore Maurizio Gasparri. «Perché - replica il presidente del CONI Petrucci- si chiede allo sport di sostituire la politica?». E continua spiegando che se i nostri atleti hanno ricevuto il tricolore dal presidente della Repubblica Napolitano è un loro dovere farlo sfilare nella cerimonia d'apertura. Gli inviti di Gasparri e Petrucci suonano scontati e pleonastici, avrebbero fatto meglio a starsene zitti entrambi. Politica è sport sono semplicemente due sottosistemi della società civile, non possono interferire su questioni che riguardano esclusivamente la coscienza delle persone. In altre parole un atleta ha il diritto è dovere di fare ciò che la sua consapevolezza di cittadino (del mondo) gli dice di fare: la sua coscienza è territorio off-limits.
Altra notizia paradossale di ieri: rifiutato il visto d'ingresso in Cina all'ex pattinatore USA Joey Cheek, reo di aver speso il proprio nome in favore della battaglia per il rispetto dei diritti umani nel Darfur. Proviamo a metterci (con un po' d'ironia) nei panni dei previdenti funzionari cinesi che hanno respinto la domanda di visto. "Non sarà mica che questo Cheek - avranno pensato - già che viene qui a parlare della situazione in Darfur sotto i riflettori delle nostre Olimpiadi, finisca con l'accostarci quella del Tibet? Uffa con questo Tibet! Vogliono sempre la libertà quei tibetani montanari e semina-zizzania... che pretesa! Non ce l'abbiamo noialtri cinesi, figuriamoci se la possiamo concedere a loro! Ma cosa avranno poi questi occidentali ad accanirsi contro la nostra grande Repubblica: veramente pensano di essere più liberi di noi??? Non è forse vero che negli USA la polizia di frontiera è autorizzata a sequestrare sine die, a chiunque transiti in una dogana, il portatile, il palmare, il cellulare, qualsiasi dispositivo per immagazzinare dati, anche una semplice chiavetta USB? Non è forse vero che giusto ieri in Texas hanno giustiziato con l'iniezione letale l'ennesimo condannato a morte? Che il 12 giugno scorso la Corte suprema federale ha riconosciuto ai detenuti di Guantánamo il diritto di ricorrere alle corti civili federali contro la propria detenzione? E non è forse vero che in Italia l'esercito è sceso nelle strade e nelle piazze per garantire la sicurezza dei cittadini? Proprio come facciamo da tanto tempo noi in Cina! Insomma, perché vi scandalizzate così platealmente per quello che facciamo a casa nostra e non guardate ai panni sporchi di voialtri? "
Le estremizzazioni sono caricature a tinte forti della realtà: servono a metterne meglio in evidenza le difficili sfumature. Al di là dell'aspetto provocatorio di questa immaginaria riflessione d'un cinese pieno di furor patrio, sono visceralmente schierato a favore della libertà del popolo tibetano e ancor di più alla salvaguardia della sua immensa tradizione spirituale.
Il punto è che persino la weberiana etica protestante del capitalismo è ormai morta, seppellita dalle metastasi del liberismo più sfrenato, piegata alla pervasiva "religione unica" di un mercato finanziario mondiale i cui capitali sono ormai alimentati soprattutto da oriente, Cina e India in primis. Ma se in India, pur nelle sue mille contraddizione, come sottolinea spesso Federico Rampini, il Mercato si sviluppa nella cornice di uno Stato democratico, la Cina sta proponendo al mondo intero un ammiccante modello alternativo di Mercato in regime totalitario. Così a parole i governi occidentali auspicano la democrazia in Cina, di fatto stanno "cinesizzando" le libertà individuali nei loro stessi Paesi, usando la "guerra al terrorismo" per scavare la trincea su cui massacrare le libertà civili e individuali conquistate nel XX secolo. Per questo nessuna autorità occidentale, sportiva, politica, morale, ha osato mettere sul serio sul piatto il boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino. Bush e Sarkozy mi sembrano esemplificare perfettamente le belle parole spese per salvare la faccia, parole a cui i governati cinesi, forti della dipendenza del mondo dall'economia della loro Nazione (e del fatto che restano ben pochi Stati a poter tirare la prima pietra della purezza democratica!) possono tranquillamente rispondere "fatevi i fatti vostri".
Personalmente spero che in qualche atleta olimpico batta il cuore di un eroe ancora più che quello di un semplice campione. Così come fu in Messico nel 1968 per Smith e Carlos. Sono pronto ad applaudire. Che possa essere l'occasione per cominciare a costruire un mondo migliore adesso, prima che la realtà virtuale arrivi a consentire la manipolazione occulta e la censura invisibile persino di una diretta televisiva.
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