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sabato 5 gennaio 2008

Capirsi e non capirsi, pietre e foglietti

In questi primi giorni del 2008 ho ritrovato la serenità che avevo perso negli ultimi del 2007, complice anche un improvviso e fastidioso mal di schiena, ormai - è il caso di dirlo - alle spalle. 

Di amici con cui posso parlare senza timore di essere frainteso ne ho più di cinque, meno di dieci: quelli che se pure dico una parola di troppo non s'inalberano, perché mi conoscono bene e sanno che possono fidarsi delle mie intenzioni e delle mie azioni. Sono pochi, non mi capita facilmente d'incontrare persone che non si fermino alla superficie delle parole.


E in questi ultimi giorni sono stato fortunato a passare del tempo con alcuni amici di questo tipo. Ringrazio di cuore Chiara, Eva, Luigina, Marcella con cui ho già parlato parecchio nel nuovo anno, e anche Giuseppe, che si fa sempre vivo con le sue graditissime telefonate.

Mi piacerebbe essere più bravo a farmi capire anche da chi mi conosce poco, essere più diplomatico, avere più tempo per spiegare cose che tendo a dare per scontate, e soprattutto più energie da dedicare a ciò. È diversi anni ormai che mi scontro spesso con questo mio limite e così sono poche le persone con cui riesco a comunicare ad un livello vero e profondo

Penso che alla fine sia questione semplicemente di fiducia. Se si considera la fiducia che gli altri ripongono in te come qualcosa che va semplicemente guadagnato, non riuscirai mai ad averne abbastanza. Ma per me la vera fiducia è qualcosa di istintivo: o c'è o non c'è, se nasce allora nasce subito; non è quella che si costruisce lentamente per accumulazione di "prove", eppure non crolla al primo soffio di vento, anzi sopravvive alle tempeste. Non mi interessa ottenere la fiducia che deriva da un ragionamento, da un calcolo, da un aver dovuto dimostrare qualcosa. Poi chiaramente vedo che altri pensano esattamente il contrario: trovare un terreno comune in cui le due posizioni coesistano non è semplice.

Riguardo il capirsi e non capirsi delle persone, mi viene in mente un'espressione che usava spesso mia madre e che, visceralmente, non ho mai condiviso: "Le parole sono pietre". Beh, dipende! Le parole sono prima di tutto quello che vogliamo che siano: per me ad esempio assomigliano più a dei foglietti di carta, con annotati su ognuno di loro tanti di quei significati che non basterebbe una vita a comprenderli tutti. Se qualcuno si fa male o se la prende perché gli ho lanciato uno di questi foglietti, non mi sento in colpa più di tanto: probabilmente li leggiamo in modo diverso, evidenziando e notando significati differenti. 

Sto parlando naturalmente solo di scambi tra adulti, che dovrebbero ben sapere di essere i primi responsabili di ciò che accade loro. A un bambino invece un foglietto può far male quanto una pietra, questo sì, per questo bisogna stare parecchio più attenti.

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