Ventidue passi d'amore e Sospensioni di gravità sono libri di poesia con qualche concessione alla saggistica. Dopo aver messo sul blog il racconto del mio amico Giuseppe, ecco una mia "rapida" incursione nel territorio narrativo del racconto quasi-breve (meno di 13.000 battute). Una piccola premessa. Lunedì 4 giugno ho partecipato, qui a Perugia, a una selezione a 2 posti per la finale del Concorso di scrittura Volo rapido indetto da Porsche Italia. In venti ci siamo cimentati, ispirati da una breve traccia, a scrivere un racconto in 911 minuti (dalle 10 di mattina alle 1:13 del giorno dopo). Pare tantissimo ma il tempo corre ancora più del solito in questi frangenti! Metti poi pranzo, cena, incontro con lo scrittore di gialli Gianni Biondillo - membro della giuria - e il tempo si è ridotto di quasi 1/3. Ma il conviviale con il raffreddatissimo quanto simpatico Riondillo è stato il valore aggiunto di questa esperienza.
Alle 22 stavo per ringraziare e salutare senza consegnare il mio elaborato. Ormai ero certo di non farcela a completare nel tempo rimasto il lavoro impostato. Allora ho tagliato un 25-30% di quanto scritto, cercando di lasciare l'essenziale. Il risultato non mi soddisfaceva lo stesso. E il giorno dopo ho pure scoperto che, a dispetto dell'attenzione dedicata alle correzioni finali, erano sfuggiti una sfilza di refusi ed errori. Questo per dire quanto ieri sia rimasto sorpreso a sapere che, dopo le due ragazze selezionate per la finale, il terzo classificato ero io! Questo è il racconto scritto lunedì scorso, giusto un po "limato" e ripulito dagli errori.
IN CONTINUAMENTE
Il sole galleggia appena un dito sopra l’orizzonte. Dalla valle pulsa il rimbombo del traffico in lontananza, poi un rumore emerge, vicino, sempre più vicino. Un’auto compare da dietro la curva sollevando una nuvola di polvere, percorre un centinaio di metri e s’arresta sul ciglio della strada. Una donna apre la portiera. Ha più di trent’anni e certo meno di quaranta, indossa jeans comodi e un top. Fa per mettere un piede a terra ma ci ripensa. Fruga nella borsetta, prende sigaretta e accendino. Si guarda intorno, porta la sigaretta alle labbra, poi un attimo prima di accenderla cambia idea, getta l’accendino sul sedile, esce fuori e va a sedersi sul cofano. Vuole godersi quel bel tramonto a dispetto del terremoto che la scuote dentro. Pensieri ed emozioni, vecchi dubbi che cadono simili a foglie morte, tutto questo si agita dentro lei come fa il vento con i suoi capelli chiari: nel muoversi riflettono le fiamme accese in cielo dal tramonto, sembrano essi stessi fiamme vive.
Di solito Marcella passava la domenica insieme a Carlo e a Barbara, in famiglia, ma quel giorno era scappata via appena terminato di pranzare. Andava con Susanna, sulle colline sopra la città, aveva detto. Un bacio alla figlia sulla fronte e uno al marito sulle labbra. Lui l’aveva guardata perplesso. Lei sentì in quello sguardo la grande paura di perderla. Marcella gli voleva bene e stava male all’idea di essere proprio lei a farlo soffrire. Gli occhi di entrambi si inumidirono.
– Sta’ tranquillo, Carlo, vado con Susanna, a uno di quei suoi raduni new age… lui – aggiunse – è a Milano. –
Stava già imboccando il vialetto quando Barbara la chiamò dalla porta: – Mamma mamma, cantiamo una volta quella canzone, per favore. –
– Ho fretta amore… –, ma si fermò. In fondo si trattava di cantare solo una strofa e un ritornello, nemmeno un paio di minuti per accontentare la figlia. Era da un paio di mesi che Barbara si era messa in testa di imparare quel pezzo, con quella scala particolarmente difficile, e ormai riusciva ad intonarla bene come la madre. Cominciarono a cantare insieme le stesse note finché Marcella sbarrò gli occhi e la interruppe di colpo.
– Ma Barbara, non è possibile! L’abbiamo cantata mille volte e continui a sbagliare sempre quella parola! –
– Non è “in continuamente” – insistette – è “continuamente”, “continuamente” e basta. Devi cantare così “cambia idea”, una pausa e poi “continuamente”. –
– Possibile che non te lo ricordi mai? – capiva che stava esagerando ma non riusciva più a smettere. – Si dice “continuamente” oppure “in continuazione”, mai “in continuamente”.
– Dai non fare il broncio amore, lo sai che la mamma ti vuole bene anche quando sbagli. Ora devo proprio andare… ripassala con papà. –
Era dispiaciuta di avere mortificato Barbara. Da mesi le correggeva quell’espressione e lei ogni volta da capo, imperterrita… era un po’ cocciuta, questo sì, ma quell’errore ossessivo proprio non riusciva a spiegarselo.
Susanna eri lì che l’aspettava lungo la statale, al bivio con la diramazione non asfaltata. Un laconico cartello fatto a mano indicava “Villa Verde”. Le due amiche si scambiarono i saluti e un abbraccio veloce.
– Dai Marcella, andiamo che siamo già in ritardo. –
Ciascuna salì sulla propria auto e partirono in tandem. Marcella seguiva Susanna, i finestrini ben chiusi per non far entrare la polvere sollevata davanti, e mentre saliva sulla collina rimase a bocca aperta: da quella prospettiva il panorama era insospettabilmente attraente benché si fosse ancora vicini alla città.
A Susanna aveva confidato tutto quello che era successo negli ultimi mesi. La gioia insperata, il dolore che quella stessa gioia aveva suscitato. Era inchiodata ad un bivio e non riusciva a fare una scelta. Per questo l’amica l’aveva convinta ad andare con lei all’incontro di quella domenica. A volte Susanna le sembrava un po’ pazza: parlava di energie, reiki, spiriti-guida, angeli e chi più ne ha ne metta, con quel tono di – ma come, non lo sai? – che quasi sempre l’affascinava e qualche volta finiva per irritarla. Ma si fidava ciecamente di lei, anche perché i suoi consigli si rivelavano sempre validi. Susanna le raccontava da mesi degli incontri con Ivo e se Marcella non l’avesse conosciuta bene avrebbe pensato che l’amica la prendeva in giro: episodi su episodi, ricchi di particolari, su come quel medium, o meglio l’entità che tramite lui si manifestava, aiutava le persone a trovare la loro strada, a prendere da sé le decisioni più giuste.
A Villa Verde si ritrovarono in circa venti persone e Marcella, a parte l’amica, non conosceva nessuno: c’era gente di ambo i sessi, di tutte le età e di ogni sorta, studenti e pensionati, emuli dei figli di fiori accanto a dame ingioiellate. Susanna indossava un bianco sari indiano e rientrava a tutti gli effetti nella categoria “figli dei fiori”. Presero un tè tutti insieme e intanto si presentavano tra loro, qualcuno iniziò subito a fare qualche domanda a Ivo, lui ascoltava attentamente, annuiva ma non rispondeva a nessuno. Marcella non ne ebbe coraggio, anzi cominciava a chiedersi cosa ci stesse a fare lì. Finché Ivo invitò tutti a sedersi al centro della grossa stanza, a formare un cerchio, a prendersi per mano. Una donna anziana guidò il gruppo in una meditazione, poi rimasero in silenzio fin quando il medium cominciò a parlare.
– Compito di un Maestro non è darvi certezze. –
– Un Maestro vi dà e vi toglie. –
– E quello che distingue un vero Maestro da un falso maestro è proprio questo. Vi dà e vi toglie. Così come fa la vita. –
Adesso il disco arancione del sole stava per toccare il profilo delle colline. Marcella tirò un grande respiro e urlò: – Va bene, ho deciso. Lo farò. Lo farò. Lo farò. –
Nel punto in cui aveva fermato l’auto la strada costeggiava il precipizio. Guardò in basso e le vennero le vertigini. Pensò che era una coincidenza perfetta avere preso quella decisione proprio il 20 settembre: quella notte l’estate avrebbe passato il testimone all’autunno e questa consapevolezza amplificava il naturale senso di ineluttabilità di un tramonto, che quanto più è bello tanto più sottolinea la morte di se stesso. Ebbe un sussultò. Capì che non stava semplicemente guardando un crepuscolo, stava osservando il paesaggio stesso della sua anima e rise, emozionata della corrispondenza tra sé e quello che vedeva attorno. Osservò il fiume che correva nella vallata e i riflessi d’argento che scintillavano nella sua corrente. Quel corso d’acqua pareva uno schizzo tracciato da una mano infantile: correva tutt’altro che dritto, indugiava, tornava indietro, svoltava da una parte e dopo un po’ cambiava idea e si buttava dalla parte opposta. Proprio come stava accadendo alla sua vita.
Ivo scandiva le parole con calma, sillaba per sillaba. Nel silenzio della stanza la sua voce tagliava l’aria come un coltello.
– Qualcuno di voi ha una moglie a casa che l’aspetta. Ma nel suo cuore ha lei? –
– Qualcuna di voi ha un marito a casa che l’aspetta. Ma nel suo cuore ha lui? –
– Spesso accade di trovarsi a un bivio e non sapere quale scelta affrontare… –
La sua esistenza in fondo era stata lineare. Finché non era comparso Luca, nove mesi prima. Il modo in cui era successo era talmente improbabile che spesso si era domandata se stesse vivendo un sogno a occhi aperti. E talvolta aveva oscillato tra l’idea del sogno e quella dell’incubo! Come gran parte degli informatori farmaceutici, per le feste di fine anno telefonava a tutti i medici della sua area per gli auguri, né più né meno di come faceva con amici e parenti. Mancavano un paio di giorni a Natale e stava telefonando all’ennesimo dottore, quando per distrazione invece di chiamarlo ne aveva cancellato il numero dalla rubrica del telefonino. Poco male. C’era la sua agendina di carta, ma aveva letto male il prefisso: 392 invece di 329. Dall’altro capo della linea aveva sentito un paio di squilli poi una voce digitale invitarla a lasciare un messaggio in segreteria:
– Buonasera dottor Giulietti, sono la dottoressa Marcella Marini della Medicalfarma e volevo augurare a lei, e alla sua famiglia, un felice Natale e un sereno anno nuovo. Arrivederci a dopo le feste. –
Qualche giorno dopo Natale, Luca le aveva telefonato. Le aveva spiegato di non essere il dottor Giulietti che aveva cercato. Si era scusato, temeva veramente di sembrarle un idiota. Il fatto era che aveva riascoltato il suo messaggio tante volte e la sua voce gli suonava familiare, molto familiare… però era altrettanto sicuro di non conoscere nessuna Marcella Marini, così alla fine si era deciso a chiamarla. Ma non doveva farsi brutte idee, era sposato, non cercava avventure…
Lei per un attimo aveva pensato a uno scherzo. Solo un attimo. In pochi minuti avevano scoperto di avere entrambi una figlia di nove anni, di abitare a novecento chilometri l’uno dall’altro e soprattutto di avere molte cose in comune. Così si erano congedati salutandosi come due vecchi amici, con la promessa di sentirsi ogni tanto. Quella sera Marcella raccontò di Luca a Carlo, le sembrava una cosa buffa. Il marito a dire il vero non rise, anzi la guardò un po’ perplesso. Marcella gli disse che non doveva farsi strane idee. Erano tutti sposati, anzi felicemente sposati, Luca e la moglie nel nord, loro dall’altra parte d’Italia. Poteva soltanto essere l’inizio di una amicizia a distanza, nulla di più.
E per un po’ le cose erano andate così. E persino quando lei e Luca avevano preso a sentirsi regolarmente ogni giorno e più volte al giorno, Marcella non si era resa conto di quanto quelle telefonate stessero diventando importanti per lei. Se ne era accorto invece Carlo. E Marcella non capiva la sua gelosia.
– Ma come – diceva, – ma ti pare che se ti volessi tradire davvero non troverei qualcuno più vicino che a Milano! –
– Guardate alla vostra vita. Le certezze di ieri sono gli errori di oggi, ciò che era ignoto ieri è oggi ciò che più conta per voi. –
– La vita vi ha dato qualcosa, poi ve la toglie. Ve la toglie per darvi qualcos’altro e così via, in continuamente. –
– Che cosa? – sobbalzò. – Ivo aveva detto “in continuamente”! – No, doveva avere capito male.
– Non ci sono altre regole se non questa. Voi ne avete paura, ma dovete accettarlo: tutto cambia, in continuamente, in continuamente, in continuamente. –
No, aveva capito benissimo. E adesso era sicura che le parole di Ivo fossero rivolte proprio a lei.
Mentre guardava il sole sparire dietro l’orizzonte, Marcella capì senza alcun dubbio che non amava più Carlo. E che per lei la famiglia era sempre stato un bisogno, prima ancora che una gioia: doveva sentire dietro alle spalle la sicurezza di un marito vicino, di un focolare caldo in cui trovare rifugio e far crescere loro figlia. Eppure era successo l’imprevedibile, nel giro di poche settimane lei e Luca si erano innamorati al telefono. Una cosa insensata. Carlo era diventato folle di gelosia ma alla fine aveva insistito lui stesso che smettessero di sentirsi da un capo all’altro della penisola e si incontrassero sul serio. Carlo pensava che questo fosse il male minore, un sacrificio che poteva sopportare perché di certo si trattava solo di un’infatuazione, non di una storia che sarebbe durata, sia lei che Luca avrebbero capito che la vita vera era quella con le loro famiglie. Invece proprio incontrandosi Marcella e Luca si erano riconosciuti, completamente, e amati come non avevano mai amato nessun altro. Era il sole di Luca quello che adesso la scaldava nel petto.
Luca si era separato dalla moglie a giugno e da allora chiedeva a Marcella di fare altrettanto; aveva cambiato lavoro e viveva già nella sua stessa città. Lei aveva resistito all’incalzare degli eventi, si era fatta violenza a negare in tutti i modi il suo sentimento, perché voleva bene a Carlo, perché non voleva far soffrire né lui né Barbara. Ma proprio Barbara era stata l’inconsapevole portatrice di un messaggio che qualcuno, lassù, aveva scritto per lei. E infine era arrivato Ivo a svelarle questo messaggio. Quella parola sbagliata era come una chiave che aveva aperto un lucchetto.
Sì, avrebbe lasciato Carlo, sarebbe andata a vivere con Luca. Avrebbe reso più complicata la sua stessa vita, non ne dubitava, e quella di Carlo, e quella della piccola Barbara che avrebbe vissuto un po’ con la madre e un po’ col padre. I terremoti arrivano, le case crollano e chi sopravvive ricostruisce: non ci si può opporre al destino.
Marcella si rese conto che per tutto quel tempo aveva continuato a giocherellare con la sigaretta che teneva tra le dita, era da anni che cercava di smettere di fumare. Carlo non aveva nessuna intenzione di smettere e da sola non c’era mai riuscita. Luca non aveva mai fumato. Guardò un’ultima volta giù nel dirupo, buttò la sigaretta nel vuoto, risalì sull’auto, girò la chiave e corse verso la sua nuova vita.
Bravo Daniele ! Un racconto solido, ispirato e profondo.... di quelli che fanno pensare !
RispondiEliminaDici che fa pensare...? Sì, può darsi. Io stesso in certi momenti credo che Marcella sia un personaggio positivo, in altri sospetto che sotto sotto possa essere soprattutto egoista. Ma fondamentalmente - e per quella che è la mia storia personale mi costa molto ammetterlo - sono dalla sua parte. La vita ci impone spesso delle scelte e apprezzo chi ha il coraggio di fare una scelta "sbagliata" comunque più di chi si trincera dietro una non-scelta "giusta".
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