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mercoledì 28 marzo 2007

La Fotografia nell'Anima
o L'Anima nella Fotografia...

POSTATO DA BETTY 

La fotografia… permettetemi d’agganciare l’argomento dal mio punto d’osservazione...
Sapete, ho sempre nutrito un innato trasporto e motivo per la fotografia, con quest’arte di cogliere e fissare attimi che divengono così eterni, molto più indelebili dei disegni rupestri dei nostri preistorici antenati. Non reputandomi un’artista della fotografia, ho comunque sempre tenuto molto vicina la mia macchina fotografica in ogni circostanza e ho spesso riflettuto su questo mio stretto rapporto con quest’occhio invisibile, a volte discreto, altre meno, sempre pronto a vedere attraverso i nostri occhi, eppur capace di cogliere molto più di quel che noi stessi crediamo di fissare attraverso il “mirino” - in questo c’è affinità tra il cecchino e il fotografo, forse, in ogni caso le statistiche confortanti dicono che ci sia un maggior numero di fotografi che di cecchini, almeno così mi auguro – eppure anche qui vorrei chiedervi se non crediate che a volte un fotografo in fondo non è meno di un cecchino per quanto possa invadere intimamente i nostri attimi ?
Vi è mai capitato d’incontrare qualcuno che non possiede nemmeno una fotografia ? A me si, non vi sorprende pensare che vi è chi non ha mai raccolto attimi? Ricordo che rimasi dispiaciuta, riflettendoci successivamente, ho pensato si trattasse di una persona sfortunata, ecco. Sciocca e approssimativa riflessione la mia direste, o no ? Ma provate attorno a questo perno a imbastire la sua possibile storia (per questo bisognerebbe creare l’etichetta “racconti”)… La fotografia è indispensabile per non dimenticare, per perpetuare nel tempo emozioni, pensieri, sentimenti, esperienze, suggestioni, luoghi, storie, la nostra storia.... In fondo è forse un modo per sfuggire al senso di precarietà, di temporaneità con cui conviviamo, per fermare il tempo, appunto, perché nulla sfumi di noi, anche quando noi non saremo più qui a raccontarci… perché il viaggio non finisca con noi… Si, il viaggio è una metafora che personalmente utilizzo e ho utilizzato spesso per raccontare la mia visione della vita, dei sentimenti. Il particolare che l’occhio della fotocamera riesce a immortalare è nella mia interpretazione la possibilità di recuperare quel che a prima vista ci sfugge, è una chance per rallentare e guardare meglio, sopperire alla distrazione del momento e afferrare i significati che non sempre sono prevedibili nello stesso momento in cui si preme leggermente sul pulsante dell’otturatore. Questa è anche una delle ragioni per cui continuo ad avere una romantica predilezione per le tradizionali macchine fotografiche reflex piuttosto che per le digitali, affermando ciò, chiedo venia qualora suscitassi qualunque forma di dibattito legato alle diverse tecniche fotografiche, ma per me è un riferimento puramente sentimentale. Io provo un’esuberante palpitazione persino nell’essere ignara di quali risultati giungeranno tra le mie mani una volta sviluppati e stampati i negativi. C’è, c’è stato un periodo in cui per vicissitudini intrecciate di vita il mio rapporto con le fotografie è divenuto particolarmente stretto, sapete, contemporaneamente per varie ragioni mi sono trovata a dover far riaffiorare tutta l’infinità di fotografie che compongono il puzzle della mia vita sino ad oggi, per lungo tempo mi so trovata a tirar fuori tutto quel patrimonio che un po’ pigramente riposava in scatole, album e supporti tecnologici più moderni, ben protetto nel buio di armadi e cassetti di cui talvolta ci si dimentica… Seduta sul pavimento, fuori i colori dei pomeriggi invernali, mi sono lasciata avvolgere da questo tappeto fatto di sguardi, mani, moltitudini, luoghi, pietre, foglie, cieli, fiori, colori, voci, suoni, profumi, stagioni, mesi, giorni, notti, tramonti, albe… E ho pensato a come nel divenire della nostra vita la stessa fotografia possa donarci balsamo divino o ferro bruciante di una spada. Che strana, ho pensato ancora una volta, è la vita… Le cose non vanno mai come credi… E ti scopri quasi incredulo, quando ormai il gesto è compiuto, a strappare una fotografia… Avete mai provato a strappare una fotografia anche semplicemente perché ritenete sia mal riuscita ? O perché, istintivamente, facendolo credete di cancellare delle tracce ? Avete sentito male ? Io si, m’è capitato di provare su me stessa la medesima sensazione di strappo che le mie mani hanno perpetrato a qual pezzo di carta e oltretutto si protrae nei giorni successivi.. Ne parlo perché io l’ho fatto, eh sì, e nel scriverlo ritornano vivide le sensazioni, impresse appunto come in una fotografia… che strano gioco di parole… Strappare una fotografia tanto quanto occultarla o vivere convincendosi che quell’attimo fissato dall’obiettivo non sia mai esistito è avvilente e dà un profondo senso di perdita irreparabile, malinconico abbandono di quel che siamo stati e abbiamo vissuto. Eppure io, per esempio, raccolgo soprattutto foto di viaggi, viaggi itineranti in luoghi vicini e molto lontani dove la meta è il viaggio stesso e i luoghi non hanno la peculiarità d’essere belli o brutti secondo un comune metro di valutazione estetico, e mentre proseguo mi lascio condurre lungo strade secondarie quando, se, possibile, con una giusta dose di ponderazione e altrettanta audacia. Credo che gli scatti più belli siano proprio quelli che non si pianificano, ingabbiati nei condizionamenti di un itinerario predestinato, troppo razionalmente pianificato da condurci solo in una direzione, che, sebbene sia quella nota e imparata a memoria, non sempre è la migliore, una volta che ci si confronta sul campo, per imparare prima che vincere. Per vivere pienamente quel che vi è di buono ad attenderci se osassimo svoltare l’angolo e andare incontro o “contro” a quello che ci hanno insegnato essere l’incerto, si potrebbe incontrare uno “scatto” che vale una vita… il Pulitzer della nostra vita. La fotografia, per non perdere i ricordi e per continuare a raccoglierne, strada facendo… E a questo scopo vorrei condividere con voi le parole di José Saramago che ho postato nell’apposita sezione “poesie indimenticabili”. È una prosa ma io la sento come una poesia, un fotogramma…

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