(Post di Franco Sarbia)
Si trova in
Anatolia il sito archeologico di uno dei più antichi centri protourbani al mondo:
Çatalhöyük, edificato agli albori del neolitico, fu abitato tra il 9400 e il 7800 BP (Before Present: Prima del Presente).
Le sue case dai tetti piani sono addossate le une alla altre e in tutta la sua estensione non ci sono strade che lo attraversino. Fin dall'apertura degli scavi, da oltre mezzo secolo, i suoi particolarissimi caratteri sono stati ritenuti esclusivi e le loro ragioni sono rimaste largamente inesplicate. Mai mi sarei aspettato di veder emergere una risposta proveniente dall’abisso del tempo in
Chenāqchī-ye ‘Olyā, un villaggio tuttora abitato del quale nessuno finora aveva svelato la straordinaria similitudine con le caratteristiche di Çatalhöyük: rese oggi perfettamente leggibili dall'accoppiamento strutturale di questo organismo vivente con il suo ecosistema. L'ho scoperto la scorsa estate durante il mio viaggio in Persia: sperduto ai confini del cielo.
Chenaqchi-ye Olya è un villaggio Armeno situato in Iran su un altipiano tra le montagne del
Markazi alla quota di 2389 m slm, nei pressi di una sorgente, ai piedi del monte Kūh-e Chenāqchī di 2883 m. È interamente edificato in mattoni crudi, e muri esterni intonacati d'argilla impastata con paglia di cereali e sterco di mucca. Il nucleo più antico non ha strade, attraverso le rampe d'accesso ai tetti piani ricoperti d'argilla gli animali sono ricoverati nei cortili e nelle stalle, le persone scendono alle case con piccole scale di legno.
Il villaggio condivide queste
qualità costruttive, e molte altre, con l'antichissimo Çatalhöyük: situato a 1533 chilometri di distanza a Ovest, nelle vicinanze del fiume Carsamba sul fertile altipiano di Konia antistante il
Tauro a 1008 m slm. Non risulta che qualcuno, finora, abbia rilevato la speciale natura di Chenaqchi-ye Olya: un organismo il cui codice generatore è giunto fino a noi immutato da 10.000 anni come un fossile vivente.
A differenza di Çatalhöyük, incendiato e abbandonato attorno al 7830 BP, eventuali tracce del nucleo originario di questo borgo potrebbero essere state assimilate dal processo ininterrotto di edificazione, manutenzione, restauro e ristrutturazione nel corso dei secoli. E tuttavia le peculiarità strutturali dell’ambiente naturale accoppiato al villaggio ne lasciano supporre una ragguardevole antichità. Il poggio sul quale si trova è confinato da uno strapiombo di roccia ed è difendibile su un solo fronte. Poiché sufficientemente lontano dalla parete della montagna, e per la sua posizione sopraelevata, è al riparo sia da frane e valanghe, sia da esondazioni. Dalla sorgente il rivo scorre alla base del poggio, prima di precipitare, con la cascata Charagan, in un laghetto ai piedi del dirupo. La
neve copiosa d’inverno, in primavera lascia il posto ad abbondante foraggio, poi permane a chiazze fino a giugno e alimenta le sorgenti per tutto l’anno. A dispetto dell’altitudine, sull'altipiano sovrastante il villaggio, i cereali giungono a maturazione, mentre a ridosso del paese, nel bacino di afflusso alla cascata, verdeggiano latifoglie e varietà di alberi da frutta, e specialmente di noci: importante riserva energetica invernale. A valle i canali derivati dalla pozza sottostante irrigano gli orti del pendio che da questo si apre in lieve declivio.
La presenza di bovini oggi prevale in Chenāqchī-ye ‘Olyā come fu in Çatalhöyük, precocemente, alcuni millenni prima che si diffondesse a oriente e lungo la valle dell’Eufrate al termine del processo di domesticazione. Sebbene le capre s’adattino perfettamente al clima montano, l’abbondanza di prateria erbosa degli alti pascoli e la scarsità di piante arbustive favorisce assai più il pascolo dei bovini. L’allevamento delle mucche si integra particolarmente con l’agricoltura di montagna: non reca danni agli alberi da frutta e produce ottimo concime composto da sterco, foglie e paglia del letto. I buoi sono insostituibili per l’aratura del duro suolo d’alta quota e per il tiro di slitte o carri su strade scoscese.
Quando la neve alta impedisce il pascolo, i bovini richiedono un ricovero caldo e asciutto. E i coloni li accompagnano dalle rampe sui tetti piani del villaggio fino ai cortili d’accesso alle stalle. Le coperture ne reggono perfettamente il peso perché sostenute da una potente travatura, talmente fitta di tronchi ravvicinati da apparire sovradimensionata, vista dall'interno delle case. I solai sono concepiti in modo da sostenere oltre al passaggio degli animali anche il massimo gravame raggiungibile dalla neve. La copertura d’argilla fine e compressa, incrostata dal sole, ha una forte capacità impermeabilizzante. Anche quando la manutenzione scarseggia non vi crescono erbacce neppure in primavera, tanto è compatta. I tetti sono piani: in modo che il manto nevoso sciogliendosi non crei rigagnoli e il lastrone di ghiaccio che si forma durante la notte alla sua base non scorra verso i bordi erodendo la superficie.
Se prima dell'avvento degli spazzaneve a motore, d’inverno a quella altitudine, su montagne dove abbondano le precipitazioni nevose più che la pioggia, su quel poggio esposto al vento, vi fossero state state strade sarebbero state immediatamente rese impraticabili dalla neve ventata. E sarebbe stata fatica improba mantenerle sgombre. Così invece l’abbondante manto nevoso permane a lungo alto sui tetti piatti, protraendo la sua azione termoisolante per tutta la stagione fredda. Né la bufera può arrecar danni alle case così protette sotto la spessa coltre.
La struttura del villaggio, dimensionata per trarre vantaggio dalle rigide condizioni climatiche, è altrettanto appropriata per contenere i danni dei movimenti sismici, grazie all'altezza limitata delle case, alla fitta griglia di pareti di mattoni crudi, dal lato esterno ispessito e impermeabilizzato con intonaco multicomponente, alle robuste travature estese senza soluzione di continuità per l’intera area coperta.
D’estate la configurazione piana delle coperture e gli usci a scendere permettono di utilizzare il regime di brezza per la regolazione della temperatura e dell'umidità. Al tramonto la fresca corrente di montagna scende nelle case attraverso le aperture, mentre il sole più caldo del mezzogiorno incidente sui tetti pompa aria calda verso l’alto e aspira aria fresca e umida in discesa verso il fondovalle attraverso le camere interrate. La compattezza dell’insediamento e la quasi totale assenza di aperture lungo il perimetro esterno lo rendono anche relativamente protetto dai razziatori e dai lupi, ma le ragioni della configurazione compatta del villaggio, come s’è visto, non sembrano principalmente difensive, al contrario di quanto s’era finora immaginato per Çatalhöyük. La quota di quest’ultimo è inferiore a quella di Chenāqchī-ye ‘Olyā, e tuttavia durante il suo lungo ciclo di vita tra il X e l'VIII millennio BP, la mezzaluna fertile era caratterizzata da condizioni climatiche diverse dalle attuali, con abbondanti precipitazioni che tra la
Cappadocia e il Tauro oltre i mille metri erano principalmente
nevose. Successivamente, fino al VI millennio BP si sono andate progressivamente riducendo, compromettendo la produttività dell’agricoltura di montagna.
Le caratteristiche strutturali ed urbanistiche giunte fino a noi dalla notte dei tempi attraverso Chenāqchī-ye ‘Olyā sono certamente il prodotto evolutivo dei primi insediamenti umani al termine della glaciazione di Wurm: quando in aree montane caratterizzate dal ritiro stagionale dei ghiacciai, alle latitudini nord fra i 35° e i 38° dei due paesi a confronto, l’abbondante foraggio alimentava una sovrappopolazione di grandi erbivori. Le civiltà millenarie che si sono incontrate e avvicendate sullo stesso allineamento, sono testimoniate fin dal XII millennio BP dal tempio megalitico di Göbekli Tepe, a circa 1000 km da Chenāqchī-ye ‘Olyā, dai siti abitati da piccole comunità della “produzione incipiente”, all’origine delle prime pratiche agricole e di allevamento, quali Shanidar e Zawi Chemi, poi sempre più a levante Tell Shemshara e Kamir Shahir, rispettivamente a 400 km a 200 km dal nostro villaggio. Da qui dopo un’incubazione di alcuni millenni prese avvio la rivoluzione agricola all’origine della nostra era. Possiamo quindi immaginare che le tecniche d'interazione virtuosa con gli elementi naturali, di protezione dalle calamità e dalle depredazioni, e di minimizzazione dei consumi energetici grazie alla capacità di autoregolazione termoigrometrica di Çatalhöyük, dimostrate dalla sua millenaria sostenibilità, si siano evolute proprio a partire dalla risposta alle condizioni estreme del precedente lungo periodo glaciale, e si siano infine conservate in Chenāqchī-ye ‘Olyā perché specialmente appropriate ai rigori dell'alta montagna.
La supposta remota genesi di Chenāqchī-ye ‘Olyā (چناقچي عليا) sembra trovare conferma nelle basi Assiro-Accadiche dell’etimologia del nome. Diverse parole assonanti possono aver contribuito a definire l’attuale denominazione. Per Chenāqchī si può fare riferimento a: Qanājû, Qanû, appezzamento di terreno; Qanānu: fare un nido, annidare, insediare una fattoria con terreni agricoli, una casa colonica, appezzamento di terreno con casa affidato ai coloni; Kanāku, sigillo sigillare, chiudere una casa, una porta; Ganānu, confinare una persona; Qannu, confine, intorno, esterno di una regione, periferia. Mentre per Olyā è indiscutibile le derivazione dall’accadico elīu: superiore, parte superiore, pinnacolo, cima, più alto. L'ipotesi trova conferma nell'attributo dell'omonimo sottostante villaggio di Chenaqchi-ye Sofla, da accadico šapliš: a valle, inferiore. Immaginando i possibili incroci tra le basi di senso complementare, il significato sintetico originario di Chenāqchī-ye ‘Olyā risulta essere semplicemente “Borgo protetto di montagna” superiore, di confine.
Franco Sarbia
Valdengo, 22 Gennaio 2015
Per la datazione ho scelto la modalità BP, Before Present, perché rispettosa dei diversi calendari adottati dalle culture presenti nell'area;
Le coordinate geografiche di Chenaqchi-ye Olya sono: 35°22'40.00"N; 49°39'39.00"E
Le immagini dall’alto in basso sono: 1) Nucleo storico di Chenaqchi-ye Olya dall’alto; 2) Çatalhöyük: ricostruzione virtuale; 3) Çatalhöyük: sculture taurine; 4) Skyline del villaggio dalla cascata Charagam; 5) Çatalhöyük: Struttura di un interno; 6) Chenāqchī-ye ‘Olyā: rampe d’accesso e coperture; 7) Laghetto alla base della cascata. La documentazione fotografica su Çatalhöyük è stata raccolta in rete.