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sabato 16 giugno 2007

Benedetti i ladri che hanno rubato le maschere

2 : commenti
Circa un anno fa Chicca Morone - quando ancora capitava di sentirci - mi fece conoscere questo bel passo tratto da Il folle di Gibran che non avevo mai letto prima. Chi non ha mai finto di essere altro da , persino con se stesso, nel timore di esser preso per folle? Quante volte proprio perdendo tutto troviamo quello che cercavamo invano?
Mi chiedi in quale modo io sia divenuto folle. Accadde così: Un giorno, assai prima che molti dèi fossero generati, mi svegliai da un sonno profondo e mi accorsi che erano state rubate tutte le mie maschere - le sette maschere che in sette vite avevo forgiato e indossato -, e senza maschera corsi per le vie affollate gridando: "Ladri, ladri, maledetti ladri". Ridevano di me uomini e donne, e alcuni si precipitarono alle loro case, per paura di me. E quando giunsi nella piazza del mercato, un giovane dal tetto di una casa gridò: "E' un folle". Volsi gli occhi in alto per guardarlo; per la prima volta il sole mi baciò il volto, il mio volto nudo. Il sole baciava per la prima volta il mio viso scoperto e la mia anima avvampava d'amore per il sole, e non rimpiangevo più le mie maschere. E come in trance gridai: Benedetti, benedetti i ladri che hanno rubato le maschere". Fu così che divenni folle. E ho trovato nella follia la libertà e la salvezza: libertà dalla solitudine e salvezza dalla comprensione, perché quelli che ci comprendono asserviscono qualcosa in noi. Ma che non mi vanti troppo di essere in salvo. Anche un Ladro in un carcere è salvo da un altro ladro.
P.S. Era stata la frase con cui si conclude il mio Ventidue passi d'amore a suggerire a Chicca il collegamento:
Benedetti i limiti: in fondo ci offrono la coscienza di quel che c'è oltre.

martedì 12 giugno 2007

911 minuti "in continuamente"!

2 : commenti
Ventidue passi d'amore e Sospensioni di gravità sono libri di poesia con qualche concessione alla saggistica. Dopo aver messo sul blog il racconto del mio amico Giuseppe, ecco una mia "rapida" incursione nel territorio narrativo del racconto quasi-breve (meno di 13.000 battute).
Una piccola premessa. Lunedì 4 giugno ho partecipato, qui a Perugia, a una selezione a 2 posti per la finale del Concorso di scrittura Volo rapido indetto da Porsche Italia. In venti ci siamo cimentati, ispirati da una breve traccia, a scrivere un racconto in 911 minuti (dalle 10 di mattina alle 1:13 del giorno dopo). Pare tantissimo ma il tempo corre ancora più del solito in questi frangenti! Metti poi pranzo, cena, incontro con lo scrittore di gialli Gianni Biondillo - membro della giuria - e il tempo si è ridotto di quasi 1/3. Ma il conviviale con il raffreddatissimo quanto simpatico Riondillo è stato il valore aggiunto di questa esperienza. Alle 22 stavo per ringraziare e salutare senza consegnare il mio elaborato. Ormai ero certo di non farcela a completare nel tempo rimasto il lavoro impostato. Allora ho tagliato un 25-30% di quanto scritto, cercando di lasciare l'essenziale. Il risultato non mi soddisfaceva lo stesso. E il giorno dopo ho pure scoperto che, a dispetto dell'attenzione dedicata alle correzioni finali, erano sfuggiti una sfilza di refusi ed errori. Questo per dire quanto ieri sia rimasto sorpreso a sapere che, dopo le due ragazze selezionate per la finale, il terzo classificato ero io! Questo è il racconto scritto lunedì scorso, giusto un po "limato" e ripulito dagli errori.
IN CONTINUAMENTE
Il sole galleggia appena un dito sopra l’orizzonte. Dalla valle pulsa il rimbombo del traffico in lontananza, poi un rumore emerge, vicino, sempre più vicino. Un’auto compare da dietro la curva sollevando una nuvola di polvere, percorre un centinaio di metri e s’arresta sul ciglio della strada. Una donna apre la portiera. Ha più di trent’anni e certo meno di quaranta, indossa jeans comodi e un top. Fa per mettere un piede a terra ma ci ripensa. Fruga nella borsetta, prende sigaretta e accendino. Si guarda intorno, porta la sigaretta alle labbra, poi un attimo prima di accenderla cambia idea, getta l’accendino sul sedile, esce fuori e va a sedersi sul cofano. Vuole godersi quel bel tramonto a dispetto del terremoto che la scuote dentro. Pensieri ed emozioni, vecchi dubbi che cadono simili a foglie morte, tutto questo si agita dentro lei come fa il vento con i suoi capelli chiari: nel muoversi riflettono le fiamme accese in cielo dal tramonto, sembrano essi stessi fiamme vive. Di solito Marcella passava la domenica insieme a Carlo e a Barbara, in famiglia, ma quel giorno era scappata via appena terminato di pranzare. Andava con Susanna, sulle colline sopra la città, aveva detto. Un bacio alla figlia sulla fronte e uno al marito sulle labbra. Lui l’aveva guardata perplesso. Lei sentì in quello sguardo la grande paura di perderla. Marcella gli voleva bene e stava male all’idea di essere proprio lei a farlo soffrire. Gli occhi di entrambi si inumidirono. – Sta’ tranquillo, Carlo, vado con Susanna, a uno di quei suoi raduni new age… lui – aggiunse – è a Milano. – Stava già imboccando il vialetto quando Barbara la chiamò dalla porta: – Mamma mamma, cantiamo una volta quella canzone, per favore. – – Ho fretta amore… –, ma si fermò. In fondo si trattava di cantare solo una strofa e un ritornello, nemmeno un paio di minuti per accontentare la figlia. Era da un paio di mesi che Barbara si era messa in testa di imparare quel pezzo, con quella scala particolarmente difficile, e ormai riusciva ad intonarla bene come la madre. Cominciarono a cantare insieme le stesse note finché Marcella sbarrò gli occhi e la interruppe di colpo. – Ma Barbara, non è possibile! L’abbiamo cantata mille volte e continui a sbagliare sempre quella parola! – – Non è “in continuamente” – insistette – è “continuamente”, “continuamente” e basta. Devi cantare così “cambia idea”, una pausa e poi “continuamente”. – Possibile che non te lo ricordi mai? – capiva che stava esagerando ma non riusciva più a smettere. – Si dice “continuamente” oppure “in continuazione”, mai “in continuamente”. – Dai non fare il broncio amore, lo sai che la mamma ti vuole bene anche quando sbagli. Ora devo proprio andare… ripassala con papà. – Era dispiaciuta di avere mortificato Barbara. Da mesi le correggeva quell’espressione e lei ogni volta da capo, imperterrita… era un po’ cocciuta, questo sì, ma quell’errore ossessivo proprio non riusciva a spiegarselo. Susanna eri lì che l’aspettava lungo la statale, al bivio con la diramazione non asfaltata. Un laconico cartello fatto a mano indicava “Villa Verde”. Le due amiche si scambiarono i saluti e un abbraccio veloce. – Dai Marcella, andiamo che siamo già in ritardo. Ciascuna salì sulla propria auto e partirono in tandem. Marcella seguiva Susanna, i finestrini ben chiusi per non far entrare la polvere sollevata davanti, e mentre saliva sulla collina rimase a bocca aperta: da quella prospettiva il panorama era insospettabilmente attraente benché si fosse ancora vicini alla città. A Susanna aveva confidato tutto quello che era successo negli ultimi mesi. La gioia insperata, il dolore che quella stessa gioia aveva suscitato. Era inchiodata ad un bivio e non riusciva a fare una scelta. Per questo l’amica l’aveva convinta ad andare con lei all’incontro di quella domenica. A volte Susanna le sembrava un po’ pazza: parlava di energie, reiki, spiriti-guida, angeli e chi più ne ha ne metta, con quel tono di – ma come, non lo sai? – che quasi sempre l’affascinava e qualche volta finiva per irritarla. Ma si fidava ciecamente di lei, anche perché i suoi consigli si rivelavano sempre validi. Susanna le raccontava da mesi degli incontri con Ivo e se Marcella non l’avesse conosciuta bene avrebbe pensato che l’amica la prendeva in giro: episodi su episodi, ricchi di particolari, su come quel medium, o meglio l’entità che tramite lui si manifestava, aiutava le persone a trovare la loro strada, a prendere da sé le decisioni più giuste. A Villa Verde si ritrovarono in circa venti persone e Marcella, a parte l’amica, non conosceva nessuno: c’era gente di ambo i sessi, di tutte le età e di ogni sorta, studenti e pensionati, emuli dei figli di fiori accanto a dame ingioiellate. Susanna indossava un bianco sari indiano e rientrava a tutti gli effetti nella categoria “figli dei fiori”. Presero un tutti insieme e intanto si presentavano tra loro, qualcuno iniziò subito a fare qualche domanda a Ivo, lui ascoltava attentamente, annuiva ma non rispondeva a nessuno. Marcella non ne ebbe coraggio, anzi cominciava a chiedersi cosa ci stesse a fare lì. Finché Ivo invitò tutti a sedersi al centro della grossa stanza, a formare un cerchio, a prendersi per mano. Una donna anziana guidò il gruppo in una meditazione, poi rimasero in silenzio fin quando il medium cominciò a parlare. – Compito di un Maestro non è darvi certezze. – – Un Maestro vi dà e vi toglie. – – E quello che distingue un vero Maestro da un falso maestro è proprio questo. Vi dà e vi toglie. Così come fa la vita. – Adesso il disco arancione del sole stava per toccare il profilo delle colline. Marcella tirò un grande respiro e urlò: – Va bene, ho deciso. Lo farò. Lo farò. Lo farò. – Nel punto in cui aveva fermato l’auto la strada costeggiava il precipizio. Guardò in basso e le vennero le vertigini. Pensò che era una coincidenza perfetta avere preso quella decisione proprio il 20 settembre: quella notte l’estate avrebbe passato il testimone all’autunno e questa consapevolezza amplificava il naturale senso di ineluttabilità di un tramonto, che quanto più è bello tanto più sottolinea la morte di se stesso. Ebbe un sussultò. Capì che non stava semplicemente guardando un crepuscolo, stava osservando il paesaggio stesso della sua anima e rise, emozionata della corrispondenza tra sé e quello che vedeva attorno. Osservò il fiume che correva nella vallata e i riflessi d’argento che scintillavano nella sua corrente. Quel corso d’acqua pareva uno schizzo tracciato da una mano infantile: correva tutt’altro che dritto, indugiava, tornava indietro, svoltava da una parte e dopo un po’ cambiava idea e si buttava dalla parte opposta. Proprio come stava accadendo alla sua vita. Ivo scandiva le parole con calma, sillaba per sillaba. Nel silenzio della stanza la sua voce tagliava l’aria come un coltello. – Qualcuno di voi ha una moglie a casa che l’aspetta. Ma nel suo cuore ha lei? – – Qualcuna di voi ha un marito a casa che l’aspetta. Ma nel suo cuore ha lui? – – Spesso accade di trovarsi a un bivio e non sapere quale scelta affrontare… – La sua esistenza in fondo era stata lineare. Finché non era comparso Luca, nove mesi prima. Il modo in cui era successo era talmente improbabile che spesso si era domandata se stesse vivendo un sogno a occhi aperti. E talvolta aveva oscillato tra l’idea del sogno e quella dell’incubo! Come gran parte degli informatori farmaceutici, per le feste di fine anno telefonava a tutti i medici della sua area per gli auguri, né più né meno di come faceva con amici e parenti. Mancavano un paio di giorni a Natale e stava telefonando all’ennesimo dottore, quando per distrazione invece di chiamarlo ne aveva cancellato il numero dalla rubrica del telefonino. Poco male. C’era la sua agendina di carta, ma aveva letto male il prefisso: 392 invece di 329. Dall’altro capo della linea aveva sentito un paio di squilli poi una voce digitale invitarla a lasciare un messaggio in segreteria: – Buonasera dottor Giulietti, sono la dottoressa Marcella Marini della Medicalfarma e volevo augurare a lei, e alla sua famiglia, un felice Natale e un sereno anno nuovo. Arrivederci a dopo le feste. – Qualche giorno dopo Natale, Luca le aveva telefonato. Le aveva spiegato di non essere il dottor Giulietti che aveva cercato. Si era scusato, temeva veramente di sembrarle un idiota. Il fatto era che aveva riascoltato il suo messaggio tante volte e la sua voce gli suonava familiare, molto familiare… però era altrettanto sicuro di non conoscere nessuna Marcella Marini, così alla fine si era deciso a chiamarla. Ma non doveva farsi brutte idee, era sposato, non cercava avventure… Lei per un attimo aveva pensato a uno scherzo. Solo un attimo. In pochi minuti avevano scoperto di avere entrambi una figlia di nove anni, di abitare a novecento chilometri l’uno dall’altro e soprattutto di avere molte cose in comune. Così si erano congedati salutandosi come due vecchi amici, con la promessa di sentirsi ogni tanto. Quella sera Marcella raccontò di Luca a Carlo, le sembrava una cosa buffa. Il marito a dire il vero non rise, anzi la guardò un po’ perplesso. Marcella gli disse che non doveva farsi strane idee. Erano tutti sposati, anzi felicemente sposati, Luca e la moglie nel nord, loro dall’altra parte d’Italia. Poteva soltanto essere l’inizio di una amicizia a distanza, nulla di più. E per un po’ le cose erano andate così. E persino quando lei e Luca avevano preso a sentirsi regolarmente ogni giorno e più volte al giorno, Marcella non si era resa conto di quanto quelle telefonate stessero diventando importanti per lei. Se ne era accorto invece Carlo. E Marcella non capiva la sua gelosia. – Ma come – diceva, – ma ti pare che se ti volessi tradire davvero non troverei qualcuno più vicino che a Milano! – – Guardate alla vostra vita. Le certezze di ieri sono gli errori di oggi, ciò che era ignoto ieri è oggi ciò che più conta per voi. – – La vita vi ha dato qualcosa, poi ve la toglie. Ve la toglie per darvi qualcos’altro e così via, in continuamente. – – Che cosa? – sobbalzò. – Ivo aveva detto “in continuamente”! – No, doveva avere capito male. – Non ci sono altre regole se non questa. Voi ne avete paura, ma dovete accettarlo: tutto cambia, in continuamente, in continuamente, in continuamente. No, aveva capito benissimo. E adesso era sicura che le parole di Ivo fossero rivolte proprio a lei. Mentre guardava il sole sparire dietro l’orizzonte, Marcella capì senza alcun dubbio che non amava più Carlo. E che per lei la famiglia era sempre stato un bisogno, prima ancora che una gioia: doveva sentire dietro alle spalle la sicurezza di un marito vicino, di un focolare caldo in cui trovare rifugio e far crescere loro figlia. Eppure era successo l’imprevedibile, nel giro di poche settimane lei e Luca si erano innamorati al telefono. Una cosa insensata. Carlo era diventato folle di gelosia ma alla fine aveva insistito lui stesso che smettessero di sentirsi da un capo all’altro della penisola e si incontrassero sul serio. Carlo pensava che questo fosse il male minore, un sacrificio che poteva sopportare perché di certo si trattava solo di un’infatuazione, non di una storia che sarebbe durata, sia lei che Luca avrebbero capito che la vita vera era quella con le loro famiglie. Invece proprio incontrandosi Marcella e Luca si erano riconosciuti, completamente, e amati come non avevano mai amato nessun altro. Era il sole di Luca quello che adesso la scaldava nel petto. Luca si era separato dalla moglie a giugno e da allora chiedeva a Marcella di fare altrettanto; aveva cambiato lavoro e viveva già nella sua stessa città. Lei aveva resistito all’incalzare degli eventi, si era fatta violenza a negare in tutti i modi il suo sentimento, perché voleva bene a Carlo, perché non voleva far soffrire né lui né Barbara. Ma proprio Barbara era stata l’inconsapevole portatrice di un messaggio che qualcuno, lassù, aveva scritto per lei. E infine era arrivato Ivo a svelarle questo messaggio. Quella parola sbagliata era come una chiave che aveva aperto un lucchetto. Sì, avrebbe lasciato Carlo, sarebbe andata a vivere con Luca. Avrebbe reso più complicata la sua stessa vita, non ne dubitava, e quella di Carlo, e quella della piccola Barbara che avrebbe vissuto un po’ con la madre e un po’ col padre. I terremoti arrivano, le case crollano e chi sopravvive ricostruisce: non ci si può opporre al destino. Marcella si rese conto che per tutto quel tempo aveva continuato a giocherellare con la sigaretta che teneva tra le dita, era da anni che cercava di smettere di fumare. Carlo non aveva nessuna intenzione di smettere e da sola non c’era mai riuscita. Luca non aveva mai fumato. Guardò un’ultima volta giù nel dirupo, buttò la sigaretta nel vuoto, risalì sull’auto, girò la chiave e corse verso la sua nuova vita.

giovedì 7 giugno 2007

La Forza di Lei

2 : commenti
Pubblico con grande piacere questo bel racconto breve, anzi brevissimo, che uno dei miei più cari amici ha scritto per partecipare a un premio letterale indetto dell'associazione culturale Energheia di Matera: visto il pochissimo spazio a disposizione (4000 battute) Giuseppe ha scelto la forma epistolare per sviluppare una storia a dir poco deliziosa.


La Forza di Lei

Carissimo,

scusa se non ti ho scritto da molto, ma gli eventi successi sono stati tali e tanti da risultare incredibili pure per me. Non ti dico tutto subito per non rovinarti la sorpresa. Ma cominciamo da dove si comincia. Allora tu sai quanto io sia orgoglioso di essere Carabiniere. Quando lo sono diventato finalmente, dopo un'anno di esercito, i corsi e il tirocinio, mi sono sentito Forte, finalmente mi sono sentito che nella vita potevo contare qualcosa. E questo mi ripagava di tutte le umiliazioni subite in famiglia, da mio padre, dai miei fratelli tutti più grandi e forti di me. Adesso ero io che facevo parte delle Forze dell'Ordine e che magari potevo fermare a loro col loro camion e fargli pure un verbale.

Per un sacco di tempo mi è toccato fare lavoro d'ufficio. D'altra parte si capisce, tocca imparare il mestiere e non bastano certo i corsi che cianno fatto assieme per diventare dei veri Carabinieri. Poi un giorno il Capitano mi fa: "Varriale c'è un lavoro per voi. Una missione operativa. Si tratta di liberare un seminterrato abusivamente occupato. Dovete presentarvi all'indirizzo, accertare il numero e l'identità degli occupanti e consegnare questa ingiunzione di sgombero al responsabile della abusiva occupazione. Mi raccomando ! Niente iniziative personali ! Vai all'indirizzo, osserva la situazione insieme al tuo collega e se vi sembrasse critica o anche solo dubbia chiamate!"

Ci recammo assieme al collega al posto indicato. Un villino vecchio che una volta, ma proprio una volta doveva essere stato in campagna. Il cancello o quello che ne rimaneva era stato scardinato da tempo. Il collega aspettò fuori ed io entrai nel vialetto pieno d'erba. La casa sembrava piuttosto malconcia e solo le finestre e la porta del piano seminterrato parevano buone.
Sinceramente non ero tranquillo. Troppo silenzio. Ero pronto a tutto. Sai com'è, la fantasia corre. Chissà chi c'è dentro. E se sono dei veri delinquenti ? E se sparano prima loro ? No sarebbe troppo stupido. Ma se sono dei balordi, magari dei tossici.

Ormai ero di fronte alla porta. Mi sistemai bene la divisa. Bussai.

"Buongiorno, venga !" Ero pronto a tutto, ma queste parole e il sorriso di chi le aveva dette mi spiazzarono totalmente. A dirle era una ragazza. Aveva con se un bimbo, suo figlio nato in Italia. Quello che mi impressionava è che malgrado la situazione inguaiata, straniera, con permesso, senza più il lavoro ed ora senza manco una casa, emanava gioia, gioia di vivere. Raccolse i bagagli che aveva già preparato. "Se mi accompagna da Don Mario avrà completato la sua missione." Non sapevo che rispondere. Chiamai Don Mario, la conosceva e l'avrebbe sistemata lui, chiesi il permesso al capitano, andammo.

Mentre andavamo continuava a sorridere e a parlare dei suoi progetti. Quando non lavora studia, magari col tempo si prenderà pure una laurea. Una laurea... io manco se piango in cinese me la piglio. Più la guardavo più capivo che non emanava solo gioia ma anche forza. Forza vera. Quella ragazza in poco tempo, mi fece capire che la forza non è nei muscoli, non è in un arma, non è in una divisa. La forza non è neppure nella Legge e nella Autorità, come non è nella ricchezza. La forza di lei sta nel sorriso e nella vita. Sta nel saper affrontare una realtà e un destino disperato con una fiducia incrollabile e col sorriso sulle labbra. Avere Fede vuol dire inanzi tutto avere fiducia nel futuro.

E così l'ho aiutata. Non potevo accettare che finisse male. L'ho aiutata cercare un'altro lavoro, a districarsi fra le mille norme leggi leggine moduli e moduletti della burocrazia italiana in modo da farle tenere il figlio.

Da quel giorno ne sono successe di cose. Ma non posso raccontartele tutte ora. Il bimbo piange e non voglio che Irina si svegli.

Perché
, e questo è veramente incredibile, a forza di aiutarci e conoscerci alla fine ci siamo sposati. Ora, amico mio, mi sento forte dentro e pronto ad affrontare il futuro.

Un abbraccio, G. Varriale
(Giuseppe Levi)

martedì 5 giugno 2007

Il Poliamore

2 : commenti
Ringrazio l'amico Mitri per l'inoltro di un articolo sulla trasformazione in atto dei rapporti sentimentali e sessuali (e di conseguenza della famiglia) vista dal filosofo francese Jacques Attali. Il suo pensiero appare provocatorio e assai lontano dalla morale comune. Ma le provocazioni stimolano la riflessione, tanto più ora che in Italia il tema della famiglia s'è fatto così scottante.
Trovo ineccepibile ed evidente il principio del poliamore. Scagli la prima pietra chi non ha mai sperimentato o constatato che donne e uomini possano provare intensi e sinceri sentimenti d'amore per più partner: contemporaneamente (anche se personalmente non mi sono mai spinto oltre 2!) così come sequenzialmente nel corso della loro vita.
Condivido in linea di principio l'idea che la famiglia "cattolica" sia al capolinea. Ci attendono mutamenti epocali tutt'altro che facili, e arroccarsi al passato, nuotare contro corrente, non sarà di aiuto ma anzi renderà più doloroso il passaggio. Per consentire al "mondo nuovo" di nascere bisogna lasciare il vecchio al suo destino. Ci sono tanti processi di trasformazione sociale in atto: dal patriarcato alla vera parità tra i sessi, dal consumo indiscriminato delle risorse allo sviluppo sostenibile, dai nazionalismi alle mulitietnicità, dalla religione di massa alla spiritualità individuale, dalla famiglia nucleare alla famiglia aperta, dall'amore al poliamore ecc. Sospetto però - devo essere sincero - che il poliamore sia un sentimento caratteristico di chi, consapevole o inconsapevole, si accontenta di avere accanto una persona che stima, a cui vuol bene, senza però amarla in modo profondo. E perciò continua a cercare in altri partner quello che non trova nel suo. Un vero grande amore non può per definizione essere un poliamore! Riflettete su questo, leggendo l'articolo che segue.
Amare più persone contemporaneamente è possibile. Anzi, è naturale. Fa parte della natura umana. Così come desiderare relazioni sessuali con persone diverse o cercare esperienze nuove e stimolanti. Solo la morale comune e le leggi si oppongono a queste esigenze dell'uomo e della donna contemporanei, generando una situazione di ipocrisia e ambiguità. E' la teoria del grande filosofo e sociologo parigino Jaques Attali che per primo ha teorizzato il 'Poliamore'. Tutto è nato da un articolo comparso sull'Express (magazine francese), in cui Attali teorizza il crollo della famiglia tradizionale a favore di una pluralità dei rapporti sentimentali e sessuali. Le élites intellettuali francesi lo hanno fatto proprio e ne stanno facendo un 'manifesto della società del futuro'. Un pensiero nuovo, che, facendosi forte di cambiamenti già esistenti, sovverte ogni tradizione. "Le società occidentali si muovono verso la dimensione del 'poliamore'. E' un'analisi che nasce nelle élites parigine destinata a diventare un trend generale. E' la teoria su cui Attalì sta studiando e scrivendo. E arriva anche in Italia, nella rigida Italia. Gli intellettuali ne sono molto colpiti". Massimiliano Panarari, politologo e studioso di Attali, spiega ad Affari in cosa consiste esattamente la 'teoria del poliamore'. "La famiglia naturale monogamica occidentale è destinata alla scomparsa a causa dell'evoluzione dei costumi, ma senza battaglie ideologiche o laiche, solo per una normale trasformazione della società. E' un processo che muove da due fattori: una mobilità sociale molto elevata, visibile tuttora (cosa che spinge anche Attali a definire la società di oggi 'liquida') e il riconoscimento, maturato lentamente dagli anni 60 a oggi, che uno degli obiettivi sociali più importanti è la felicità. Si è affermato il diritto al desiderio di felicità". Intendendo per felicità? "Proprio qui sta il cambiamento. Fino ad ora la felicità coincideva con la realizzazione di una vita accanto ad una sola persona, ora si comincia a concepire l'idea che la vita possa essere un susseguirsi di rapporti d'amore autentici. Non si parla della poligamia di certo mondo arabo dove le donne fanno le componenti degli harem a un uomo, ma di rapporti che possono essere anche contemporanei senza perdere la loro autenticità". Quasi una rivoluzione di cui s'intravvedono i presupposti... "Ci sono delle avanguardie. Come in ogni movimento culturale. Non possiamo non tenere conto del fatto che in parte già esistono e sono molto diffuse in forma adulterina e ipocrita. La cosa che manca è la formalizzazione sociale di un nuovo modo di concepire i rapporti e la società ovvero una pluralità degli stili di vita che già esiste". Il passo che manca? "E' un diritto che si deve affermare". C'è una fascia sociale maggiormente predisposta ad accettare questo tipo di cambiamento? "Non è un caso che la nuova mentalità si affermerà prima nel ceto borghese parigino, per poi diffondersi anche là dove la Chiesa ha uno speciale impatto sulle classi inferiori. La cosa fondamentale è che il cambiamento venga inteso come un elemento in più a favore dei diritti. Poi il singolo è libero di decidere". La teoria è nata in Francia? L'Italia? "Qui la situazione è più critica. La Chiesa esercita più potere che in Francia, paese tendenzialmente laico. E il grado di ipocrisia che descrivevo prima in Italia per molte ragioni è portato all'esasperazione. C'è difficoltà nel tutelare le coppie di fatto tra uomo e donna che non sono sposate, figuriamoci... Un bel ritratto della nuova tendenza è la realtà dipinta da Ozpetek nei suoi film: una società mista, plurale e diversificata, ma omogenea e pacificata". Il sesso che ruolo ha? "Ha una componente fondamentale. Per un processo iniziato sull'onda degli anni Sessanta, ma poi rallentato. Si parte dall'idea che il sesso sia la base di un rapporto sentimentale, da vivere in libertà. Poi è molto forte l'idea della varietà e della sperimentazione. E' un bisogno fisico e mentale. Non riconoscerlo è totale ipocrisia. Da qui l'esigenza che l'uomo contemporaneo ha di avere un maggior numero di partner sessuali". E la religione che fine farà? "Diventerà una risposta per la spiritualità del singolo. Una serie di precetti residuali ad uso dell'individuo, dice Attali". I figli? Sparsi con quanti padri?... No scherzi a parte: l'esigenza di avere figli? "Rimane, sia per le donne che per gli uomini. E' la matrice dell'affermazione di femminilità e virilità". Insomma complessivamente questa 'società del futuro'? "In Francia c'è un libro di Attali, che sta polverizzando i record, sulla società europea tra 50 anni. In Italia è in traduzione. Si prevede il disastro ecologico, culturale, che lui identifica con la morte della borghesia illuminata. Una luce: una società meno coercitiva sui piani morali. Ulrich Beck, Anthony Giddens sono due teorici della globalizzazione che si occupano dello stesso tema e stanno teorizzando il 'processo di contrattualizzazione dei rapporti sentimentali': la fine dell'amore eterno poiché tutto è come un contratto a tempo e non c'è più unilateralità...".
(intervista di Virginia Perini)

domenica 3 giugno 2007

Quanto pesa la lacrima di un bambino che soffre?

2 : commenti
Apro una parentesi per pubblicare qualche foto di Madeleine McCann, in particolare quelle dove si nota il segno particolare di una macchia (un cosiddetto coloboma) sotto la pupilla, a ore 7 dell'iride dell'occhio destro, che può senz'altro facilitare un eventuale riconoscimento. Molti avranno già ricevuto mail al riguardo: avendo un blog disponibile mi sembra doveroso utilizzarlo come ulteriore canale di diffusione.
Oggi ricorre un mese esatto dalla scomparsa della piccola (il 12 maggio scorso ha compiuto quattro anni). Il 3 maggio la famiglia inglese McCann - composta da Kate e George, entrambi medici, e tre figli, Madeleine e due gemellini di 2 anni - si trovava in vacanza a Praia da Luz, meta turistica sulla costa meridionale portoghese. Quella sera, di ritorno da una cena in compagna di amici a meno di un centinaio di metri dal loro alloggio, i McCann hanno trovato una finestra forzata: Maddie, lasciata a dormire con i due fratellini, non c'era più. Secondo la polizia non sarebbe stata la prima volta che la coppia lasciava soli i figli all'interno del villaggio turistico e questo potrebbe aver invogliato qualcuno a entrare in casa e rapire la piccola. Dopo 4 settimane l'unica traccia a cui sono approdati gli inquirenti sembrerebbe un campione di DNA sconosciuto rinvenuto nella stanza dov'è avvenuto il rapimento. Per il resto le indagini sono in alto mare.
Sorvolo sull'orrore che si prova solo al pensiero che esista gente in grado di rapire un bambino, sottrarlo all'affetto dei suoi cari, usarlo come fosse un oggetto... Piuttosto invito tutti a rivolgere ogni tanto una preghiera affinché la piccola Maddie, e tutte le bambine e i bambini scomparsi ricevano, ovunque siano, ogni aiuto possibile, umano e angelico, nonché a fare gesti concreti come quelli suggeriti da Maria Rosa Dominici, giudice minorile del Tribunale di Bologna, in una intervista che esorto a vedere ed ascoltare cliccando su questo link. Ormai queste vicende trovano sponda anche su internet. Il sito creato per aiutare la ricerca di Madeleine, è stato visitato da 55 milioni di persone nelle prime 48 ore, ha raggiunto 100 milioni in tre giorni e attualmente è attestato a 142 milioni di contatti. Attenzione: il sito in questione, fonte di queste foto (http://www.findmadeleine.com/), è l'unico autorizzato dalla famiglia McCann; i soliti "sciacalli" hanno aperto decine di altri siti con immagini della bambina e richieste fraudolente di donazioni per finanziare le ricerche. Il fenomeno dei bambini che scompaiono in tutto il mondo è purtroppo assai più vasto di quanto trapeli episodicamente sui mass media: anzi, lo iato acutissimo che c'è tra l'incidenza e la pubblicità data a questa piaga è probabilmente segno della rimozione collettiva di una tragedia antica, che pertanto tocca paure ancestrali delle persone. Purtroppo l'uomo nero non si è mai limitato a vivere soltanto nelle favole popolari che da sempre tentano di esorcizzarlo. Limitandoci a quanto succede in Italia, sul suo noto blog Beppe Grillo cita fonti ufficiali e parla di circa 3500 bambini scomparsi (e non ritrovati) nel solo anno 2006; il blog di Grillo è anche la fonte dell'intervista a Maria Rosa Dominici, di cui ho lasciato il link più sopra. Sono stato a visitare anche il sito della Polizia di Stato http://www.bambiniscomparsi.it/ dove sono "aperte" le schede di una ventina di bambini svaniti nel nulla a cominciare da Angela Celentano nel 1996, Denise Pipitone nel 2004 e i fratellini Pappalardo nel 2006, per citare i casi più noti.


Sai quanto pesa la lacrima di un bambino viziato? Meno del vento. Sai quanto pesa la lacrima di un bambino che soffre? Più del mondo. 
(Gianni Rodari)

sabato 2 giugno 2007

Tre piccole recensioni dei 22 passi

0 : commenti
Ho letto con molto piacere Ventidue passi d'amore: davvero suggestivo, gradevole e coinvolgente. Auguro molto successo a questo libro, tutto quello che merita!

(Paola Giovetti)
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Ventidue passi d'amore sono un vero e proprio sentiero che s'inoltra in un bosco denso di simboli: una felice sorpresa non solo di contenuti, ma anche per la sobrietà del linguaggio che rende l'intera raccolta leggibile a molti livelli!

(Chicca Morone)
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Ventidue passi d'amore è semplicemente delizioso. Bravo Daniele.


(Enrico Vaime)

venerdì 1 giugno 2007

Dedicato a Chiara "l'africana"

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Ringrazio la mia amica Chiara di avermi permesso di pubblicare questa foto, scattata qualche mese fa nella missione in Tanzania dove prestava opera di volontariato. Adesso, tornata in Italia, sta facendo il servizio civile nazionale. E sta pure studiando per prendere una seconda laurea in teologia e potere così insegnare religione. Tanto di cappello! Come si vede dalla foto Chiara è estremamente solare, una ragazza con una grande e contagiosa voglia di vivere, e adora i bambini... a cominciare dal suo nipotino, ormai ben più grande di quello che qui tiene in braccio!

L'anima della danzatrice vive in tutto il suo corpo

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Nonostante il grande Gibran sia uno dei miei autori preferiti, non conoscevo questa sua breve lirica su cui oggi per caso mi è caduto l'occhio leggendo un giornale:

L'anima del filosofo veglia nella sua testa 
l'anima del poeta vola nel suo cuore 
l'anima del cantante vibra nella sua gola 
ma l'anima della danzatrice vive in tutto il suo corpo.
Sarei curioso di conoscere il testo in lingua originale, per vedere se il traduttore è stato più bravo a mantenere o addirittura a creare l'allitterazione veglia - vola - vibra - vive.
In effetti questo brano di Gibran - che è poesia e aforisma insieme - esprime magnificamente la dolce risonanza che si prova vedendo un corpo (specie femminile) muoversi a ritmo di danza. Trovo affascinante la "scala" (ascendente) che porta dal filosofo al poeta, al cantante, alla danzatrice. Il filosofo usa la testa per collegare tra loro le parole, il poeta usa il cuore per aggiungere la bellezza alle parole, il cantante usa la gola per aggiungere la musica alla poesia, la danzatrice usa tutto il corpo per aggiunge il movimento alla musica.
Un'ultima riflessione.
L'anima veglia sulla testa, vigila dunque sullo strumento che le permette di interagire con la materia. E' significativo che la testa, e dunque la mente e il pensiero, siano posti al gradino più basso. Salendo di grado l'anima vola nel cuore. Si libera, inebria e gioisce attraverso amore, emozioni, sentimenti! Salendo ancora di grado l'anima vibra nella gola. Qui è facile pensare al Logos, al potere divino e creativo della vibrazione sonora sotto forma di vocalizzo... mantra... parola... preghiera... Infine l'anima vive nel suo Tempio, il corpo. Si pensi alle vie yogiche dell'India in cui la moksh (illuminazione) viene cercata proprio attraverso il controllo totale del corpo (un controllo profondo, non mentale).
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